Un ‘Gran Tour’ fra le necropoli fantasma dei Campi Flegrei.
“…Sotto il cielo più limpido il suolo più infido; macerie d’inconcepibile opulenza, smozzicate, sinistre; acque ribollenti, crepacci esalanti zolfo, montagne di scorie ribelli ad ogni vegetazione, spazi brulli e desolati, e poi, d’improvviso, una vegetazione eternamente rigogliosa, che alligna dovunque può e s’innalza su tutta questa morte, cingendo stagni e rivi, affermandosi con superbi gruppi di querce perfino sui fianchi d’un antico cratere…”, scriveva in ‘Viaggio in Italia’ (1 marzo 1787), lo scrittore tedesco Goethe, alludendo al vulcanesimo ancora attivo (specialmente oggi!), di detta area.
E’ il resoconto, datato 6 aprile 2019, della rubrica “Atlante dei luoghi dimenticati”, una serie di racconti “on the road” sulle strade antiche campane, per descrivere e gettare luce sui siti culturali ed archeologici che, si sottolinea, per mala gestione e mala politica, sono abbandonati a se stessi o addirittura obliati e ormai totalmente fuori dai giri turistici della regione in parola.
Siamo a Pozzuoli e dintorni. Qui dove in rovina purtroppo strutturale, trovasi un insieme straordinario di storia e di paesaggio naturale, un patrimonio inestimabile anche a livello internazionale, purtroppo alterato dall’azione umana, ‘grazie’ ad un mix di incuria e cemento selvaggio.
Com’era d’uso nelle città antiche, fuori dalle mura si stagliavano le necropoli, costruite costeggiando le vie principali, quasi a ricordare al viandante la fragilità della vita. A Pozzuoli, i resti più rilevanti e significativi si estendono all’inizio del tratto extra urbano della Via Consularis Puteolis-Capuam, con particolare concentrazione nelle zone di via Celle e di San Vito. Lo sconcerto ti assale quando si percorre la prima, per rimirare la necropoli romana, appena dopo la breve galleria, provenienti da piazza Annunziata. La caratteristica struttura ad architettura funeraria a celle, in cui venivano conservate le anfore con i resti mortali degli antichi abitanti di Puteoli, versa da anni tra erbacce, cartacce e bottigliette di plastica infilate dappertutto, con tra gli scavi pure una sorta di…moderno “vespasiano”. Ipogei e colombari, con due tabernae, giacciono lì, esposti e senza che nessuno intervenga, all’usura del tempo ed alla devastante azione dell’uomo che li ha, irresponsabilmente, utilizzati nei secoli come cantine, ovili, porcili e persino abitazioni. Essi furono tuttavia a lungo annoverati tra le mete degli eruditi antiquari che visitavano la zona, incantati ed attirati dal loro fascino arcano.
Ma se questi eventi erano pressoché inevitabili in un’epoca in cui non esistevano regole di salvaguardia, risulta scandaloso che tanto abbandono colpisca queste testimonianze ancora oggi, nell’epoca dei vincoli e dei divieti, lasciandole alla mercè di tombaroli e vandali.
Uno dei paradossi si raggiunge, però, con il tramonto inglorioso della necropoli del ‘fondo di Fraia’, all’inizio di località San Vito. Adorno di stucchi, tempietti, tracce di affreschi, nicchie e sculture, esposti all’umidità ed al degrado; vedere questo sito, sconosciuto ai più perché facente parte di un terreno privato inaccessibile, inquieta di più perché ogni anno milioni di persone visitano alcuni dei suoi stucchi esposti, è voce ricorrente, al British Museum di Londra. Veneri, figure mitologiche che suonano la lira, reggono in mano patere (=scodelle) rituali o cavalcano leoni e mitiche creature marine, contornati da festoni di foglie d’alloro, figure appartenenti al corteo dionisiaco, compaiono in stucchi di alta qualità, esposti nelle teche dedicate ai beni archeologici di Napoli e Pompei, pronti ad incantare quotidianamente i visitatori ignari del degrado in cui versa la tomba da cui provengono.
Un abbandono cosi lascia veramente basiti. Un tangibile disinteresse degli incivili barbari di turno e del “Palazzo” della politica fine a se stessa, come se la storia, le tradizioni e la cultura non interessassero, in termini di tutela e di sicurezza.
Ancor più grave, si mostra il caso del Parco archeologico della via Puteolis – Neapolis. Poco distante dalla Solfatara e dall’Anfiteatro di Pozzuoli esiste, infatti, un antico tracciato stradale corrispondente all’antica via Puteolis Neapolis: non è mai stato effettivamente aperto al pubblico, ma le ‘meraviglie’ contenute al suo interno sono veramente eccezionali. Già agli inizi del ‘900, Charles Dubois individuò un’area appena fuori le mura della Puteoli alta, lungo la quale erano disposte file di sepolcri, e riportò tali informazioni sulla monografia dedicata a Pozzuoli (Pouzzoles Antique – histoire et topographie), all’inizio del ‘900, ipotizzando che tale arteria doveva essere la via Antiqua che collegava Pozzuoli con Napoli (Puteolis-Neapolis).
La ragione, il Dubois, difatti la ebbe, quando negli anni ’80 la Soprintendenza Archeologica fece alcuni sopralluoghi presso quest’area. Dal 1992 al 1997, con una serie di scavi ad hoc, vennero portati alla luce circa 400 metri di strada basolata romana, con numerosi sepolcri a colombario, poi numerosi frammenti di ceramiche greche, databili fino al VII sec. a.C., per cui si evinse che detto percorso era probabilmente adoperato dai coloni greci di Cuma per raggiungere Parthenope, e forse, più tardi la stessa Dicearchia. Ma non solo: nella stessa area fu scoperta anche una villa rustica, sempre di età greca, ed un santuario, forse dedicato ad Eracle.
La strada romana fu realizzata solamente nel 100 a.C., quindi ancora in età repubblicana. I primi 300 metri dell’Antiniana sono una continuità di monumenti funerari e non si conosce ancora il motivo di tale agglomerato. La parte settentrionale della strada ospita per lo più monumenti gentilizi con alcuni mausolei.
Intanto, a proposito di abbandono, atti di vandalismo e ruberie varie (il classico colpo di grazia!), in danno di tutti questi tesori del passato, autentici scrigni della memoria, va rilevato e denunciato il ruolo squallido ed ignobilmente speculativo, svolto spesso da tombaroli e “soci”, con i loro scavi abusivi e clandestini, razzie, furti, traffico illegale di opere d’arte, quale primo anello della losca catena dell’Archeomafia e, quindi, di denaro sporco riciclato. Una volta ripuliti da false documentazioni i “pezzi” trafugati, entrano in azione i committenti ed i ricettatori, che si occupano di piazzarli sul mercato nero. Infine i compratori, tra cui musei soprattutto esteri, compiacenti.
Nel 2023, secondo Legambiente, sono 642 i reati accertati in materia, di cui 58 consumati in Campania.
Autore: Gennaro D’Orio – doriogennaro@libero.it