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Gennaro D’Orio. Antica Roma, edilizia sicura con la pozzolana flegrea. Ma…

pozzolana flegrea

A voler parafrasare una famosa locuzione latina. Quid non fecerunt gli antichi romani, fecit un ingrediente “magico”, una sorta di cenere vulcanica, proveniente per lo più dall’area dei Campi Flegrei (= ardenti), dall’allora Puteoli, l’attuale Pozzuoli: onore al merito.
Ci riferiamo, infatti, alla “pozzolana flegrea” che, mescolata con calce ed acqua, determinava una reazione chimica capace di produrre un legante resistente all’acqua, una miscela che, in uno con un aggregato di pietre o mattoni, costituiva il cosiddetto Opus Caementicium, il miracoloso materiale dell’epoca, capace di resistere ai secoli: l’ingrediente segreto.
Nel variegato panorama delle innovazioni architettoniche introdotte dalla civiltà romana, l’opus caementicium rappresenta, senza dubbio, un monumento di ingegnosità e praticità. Questo particolare tipo di conglomerato, precursore del moderno cemento, ha rivoluzionato il modo di costruire degli antichi romani, consentendo la realizzazione di strutture in grado di sfidare i secoli. Emblematico, infatti, è il Pantheon di Roma, con la sua incredibile cupola, che rimane un’icona dell’ingegno umano e, grazie alla sua eccezionale resistenza/versatilità, ha permesso di erigere edifici di dimensioni maestose, come i grandiosi acquedotti e gli imponenti anfiteatri, che tutt’oggi lasciano a bocca aperta studiosi e turisti. E che senza il “mix da pozzolana”, come sperimentato in precedenza, avrebbero rischiato prima o poi di crollare.
I Romani incorporavano anche altri additivi nelle loro miscele di cemento, per potenziarne le proprietà. Uno di questi additivi si dice fosse l’acqua di mare, che reagiva con la calce formando ulteriori minerali che rinforzavano il cemento e lo rendevano più resistente all’erosione.
La pozzolana, una roccia eruttiva effusiva, una sorta di tufo il cui termine è esteso a polveri vulcaniche di vario genere, capaci di reagire con la calce per dare malte con notevoli proprietà idrauliche, deriva proprio da Pozzuoli, in particolare dalla “puteolana pulvis”, esportata in tutto il mondo, in origine soprattutto dai Campi Flegrei.
Come in passato, ancora oggi il “miracoloso” additivo è un importante elemento nella fabbricazione dei cementi, in particolare quelli di tipo pozzolanico, dotati di particolare resistenza agli agenti chimici e perfetti per l’impiego subacqueo.
Le pozzolane flegree ebbero origine nel quaternario e si deposero su una piattaforma di tufo giallo compatto, frutto di una attività vulcanica sottomarina pure del Quaternario, fra le più antiche formazioni trachitiche di Cuma e di Monte Procida.
Le pozzolane flegree sono un impasto di lapilli di dimensioni variabili, la cui massa è prevalentemente grigio chiara, a volte un po’ gialliccia; questa tinta si può modificare per la presenza di pomici bianche e di lapilli grigi. Nella zona del Vulture ve ne sono altre, caratterizzate dalla presenza di haüyna.
Mentre le malte a cemento comune sono facilmente aggredite dalle acque marine, quelle di pozzolana sono poco aggredite, sia perché la quantità di calce è abbastanza bassa, sia perché la natura acida dei composti (silicati e alluminati), che si formano in una malta a pozzolana quando ha fatto presa, li rendono meno attaccabili di quelli che si formano in una malta a cemento. Potremmo dire quasi che in tutti gli antichi monumenti romani c’è sempre un pò di “Pozzuoli” al loro interno.
Già Vitruvio, nel suo “De Architectura”, descriveva quattro tipi di pozzolana: nera, bianca, grigia, rossa.
Baia, una delle località più attraenti e mondane, ieri come oggi, deriva il suo nome dal compagno di Ulisse, il leggendario Baios, che, secondo le fonti, perse la propria vita in questa terra dove ancora oggi giacciono le sue spoglie. Ercole stesso passò in questi territori con la sua mandria di buoi, sottratta a Gerione, e qui vi costruì una strada che, da Bacoli (antica Bauli), porta a Lucrino. Ricca di sorgenti idrotermali, in epoca romana, Baia prosperò al punto da divenire uno dei luoghi prediletti dai patrizi romani che qui vi eressero le proprie lussuose dimore. Mario, Pompeo e Cesare, in età repubblicana, costruirono sontuose residenze sulle alture in prossimità del mare, che erano tutte più o meno collegate tra loro in una progressione ininterrotta, tanto che tutta Baia sembrava essere un unico grande palazzo, i cui confini ancora oggi non si riescono a definire. Ricerche, eseguite nel 2020, hanno identificato altri resti della “villa dei Cesari”, sotto l’attuale Castello di Baia, e sono in corso ancora delle indagini archeologiche che ne chiariranno la natura al più presto.
Aristocratici e imperatori si incontravano dunque in queste splendide terre per oziare all’ombra dei pini e deliziarsi con la brezza marina. Claudio, Adriano, Severo Alessandro frequentarono tutti molto assiduamente Baia e le sue famose terme. Caligola vi fece addirittura costruire un ponte di barche per collegare la splendida cittadina a Pozzuoli, distante due miglia romane. Nerone, invece, fece costruire vicino al mare, dove oggi sono due piccoli cantieri navali, una enorme piscina e vivai per la coltivazione di pesci ed ostriche.
A Baia, tra la fine del II sec. a.C. ed il I sec. a.C., Caio Sergio Orata fece enorme fortuna con l’ostricoltura. Egli iniziò ad allevare le ostriche in appositi vivai e si serviva di esse per nutrire le famose orate, importando dall’oriente il famoso riscaldamento a ipocausto (=pensilia balinea), un sistema utilizzato in seguito anche negli ambienti termali, dove l’aria calda che circolava sotto i pavimenti consentiva di mantenere al caldo ogni vano degli edifici termali e delle prestigiose dimore dei ricchi patrizi romani.
Dai più considerata la mitica porta dell’Ade, un paradiso di sole e delizie, prima di entrare negli oscuri inferi, Baia fu decantata da Orazio come la più incantevole località del mondo. Plinio il Giovane ci ha restituito una testimonianza esemplare parlandoci delle strutture delle sue lussuose dimore che avevano sempre una zona produttiva, per le più disparate coltivazioni, ed un’area destinata sempre all’otium del proprietario e dei suoi preziosi ospiti, come giardini, ambulacri, biblioteche, piccoli teatri e terme. Ne sono un esempio, la villa dell’Ambulatio ed i settori termali di Venere, Sosandra e Mercurio che, ancora oggi, si possono ammirare arroccate sulla collina che affaccia sul porto di Baia.
In parte sommerse a causa del fenomeno del bradisismo, le terme romane, soprattutto quelle del settore cosiddetto di Mercurio, affascinano tuttora per la presenza di acqua che ancora inonda una sala absidata, primo probabile esempio di cupola in opus caementicium di epoca romana.
Il cemento che si produceva in quest’area in età romana, grazie all’uso congiunto con la “pozzolana” e l’acqua di mare, permise di costruire ambienti a volta che precedono lo stesso Pantheon di Roma. In una di queste grandi sale voltate, proprio in prossimità della cupola di Mercurio, la natura ha voluto regalarci una curiosa attrazione: un meraviglioso albero di fico che, invece di crescere dalla terra verso l’alto, è capovolto e affonda le sue radici nella volta dell’edificio mentre il tronco ed i rami pendono dal soffitto, creando una suggestiva atmosfera, preambolo alla successiva sala absidata, inondata dall’acqua, dove l’acustica crea un effetto davvero particolare lasciando tutti esterrefatti.
Ozio, vizi, vino arrecano gioia ma tante volte, si sa, diventano un cocktail ideale anche per alimentare rancori. E nell’area di Baia si consumarono anche i peggiori delitti, come quello che Nerone organizzò per assassinare la madre, l’Augusta Agrippina, che morì sotto i colpi al ventre che subì. Qui si tramarono tanti altri intrighi politici e si ordirono le peggiori congiure come quella che Lucio Calpurnio Pisone, uomo colto e ricchissimo, aveva architettato con altri congiurati contro lo stesso Nerone. La bella e dolce vita. Ma fu la bella vita che passò alla storia. Ville, impianti termali, cultura, ozi e belle donne. Questa era la vita da favola di molti signori dell’epoca romana.
Il povero Boccaccio, che in epoche più recenti rimase deluso dal comportamento della sua agognata Fiammetta, battezzò poi quest’area come il luogo di nascita di Venere. E proprio a Venere sono dedicati un tempio, che si incontra lungo la strada che porta al castello, ed una intera sezione delle terme. Queste ultime, abbellite con statue di marmo, mosaici e begli affreschi, pur avendo vissuto momenti di abbandono, sono sempre state considerate ottime per la cura del corpo e dello spirito.
In un passo di Tito Livio si apprende che il primo ad utilizzare le sorgenti idrotermali con scopi curativi fu Gneo Cornelio Scipione, che soffriva di artrite. Le terme flegree, in quanto gratuite ed accessibili a tutti, attiravano, infatti, più della medicina, e lo stesso grande imperatore Federico II di Svevia, se ne servì per curarsi e rilassarsi.
Durante i periodi angioino ed aragonese poi, le terme di Baia e dintorni divennero di nuovo di moda ma alcuni secoli dopo, un evento naturale pose per sempre fine al loro splendore: la nascita in una notte del Monte Nuovo, durante una eruzione vulcanica, che fece scomparire interi villaggi e gran parte delle stesse terme.
Il bradisismo di tutta l’area flegrea fece poi sprofondare una parte della città di Baia che resta tuttora sommersa nelle splendide acque del golfo di Pozzuoli, a circa dieci metri di profondità e a 300/500 metri dalla riva. Essa attualmente è divenuta un richiamo per tutti gli amanti di archeologia subacquea e per coloro che vogliano intraprendere una avventura stupenda alla ricerca di splendidi reperti visibili sul fondo del mare.
Gli scavi dell’area archeologica di Baia, si sono concentrati sull’area dominata da tre grandi cupole, a cui era stato dato il nome di tempio di Diana, tempio di Mercurio e tempio di Venere, pensando che fossero parte di edifici di culto. Si tratta in realtà di ambienti di tre diversi stabilimenti termali, costruiti a distanza di un secolo l’uno dall’altro.
La particolare conformazione geologica della zona forniva, infatti, grandi possibilità di sfruttare vapori, acque termali e fonti naturali di calore. La disponibilità di un materiale edilizio particolarmente efficace, come appunto la pozzolana, consentiva anche di realizzare strutture architettoniche di grande respiro, tre cui la cupola del cosiddetto “tempio di Diana”.
Le strutture conservate sono relative a lussuose villae residenziali. L’area a causa del bradisismo è stata soggetta più volta ad un abbassamento del suolo sotto il livello del mare, che ne ha determinato la parziale scomparsa da “sopra terra”.
Il resto, tutto il resto, è storia purtroppo “sofferta” di tanti mesi, di questi giorni, con il suolo che, particolarmente da circa tre anni, ha ripreso a sollevarsi (bradisismo ascendente), con conseguenti scosse da eventi tellurici, tali da incidere e non poco sulla stabilità abitativa nei Campi Flegrei e sulla popolazione che, giustamente, non si sente più sicura.
Questa volta, la pozzolana “curativa” proprio non c’entra. Non ci può, purtroppo. Credeteci.

Autore: Gennaro D’Orio – doriogennaro@libero.it

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