Dipinti di una forza immaginativa stupefacente: gli animali vengono fuori dalle rocce come pietra animata.
La famosa grotta di Lascaux è stata sigillata per sempre, ma i francesi hanno fatto Lascaux 2 su un poggio vicino, duplicando l’originale alla perfezione.
Merita un visita anche Lez Eyzies, in qualche modo la “capitale” della preistoria più recente, insomma quel periodo da quarantamila a diecimila anni fa in cui si manifestò il nostro diretto antenato, l’uomo di Cro- Magnon.
La meraviglia che provarono il 12 settembre 1940 i due ragazzini scopritori capitati nella caverna fino ad allora ignota per recuperare il loro cane, la stessa che dovette afferrare alla gola i primi studiosi e poi negli anni una lunga teoria di visitatori colti è ormai sepolta. Almeno in quella forma: perché la grotta di Lascaux, nel Perigord noir (una delle quattro zone che costituiscono la Dordogna), è stata sigillata per sempre. Dagli Anni Settanta è chiusa al pubblico; ancora qualche paleoantropologo ci lavora, ma smetterà presto. La presenza umana in poco tempo ha modificato il particolarissima clima dell’interno, sigillato per più di diecimila anni, mettendo a serio repentaglio le più belle pitture che i nostri antenati preistorici ci hanno tramandato 15 mila anni fa.
Dire che ce le hanno tramandate è nello stesso temo vero ma non necessariamente esatto: in realtà non si sa bene che cosa avessero in mente quando si intrufolavano nel ventre della terra con grandi difficoltà, cercavano gli antri più raramente figure umane. Il grande paleoantropologo Le Roi-Gurhan ha ipotizzato che si trattasse di riti a sfondo cosmico-sessuale, quindi religioso, ma gli studiosi restano cauti. Certo, era un rituale. Georges Bataille entrò nella caverna all’altezza degli Anni Sessanta e vide in quelle pitture il passaggio dal mondo dello strumento a quello del gioco, in qualche modo la nascita dell’arte, dall’homo faber all’homo ludens, ma anche questa è una (bella) teoria. Anche perché l’homo faber di oggi ha dovuto mettersi di buzzo buono per conservarci un poco di quell’emozione che dopo Bataille provarono in pochi.
Dagli Anni Settanta Lascaux è stata infatti duplicata, ci assicurano alla perfezione. I francesi hanno rifatto la caverna su un poggio vicino, rispettando al centimetro le misure, e alla minima sfumatura i colori Oggi Lascaux 2 è la più comoda caverna del mondo, ci si arriva senza fatica, e il colpo d’occhio è sempre mozzafiato, anche se siamo di fronte a una copia. Una sala con una sorta di cupola biancastra, squarciata nella zona apicale, e tutta dipinta con una precisione e una forza immaginativa che lascia a bocca aperta. Gli animali vengono fuori dalle rocce, sono essi stessi come rocce animate: i loro contorni, i rilievi del loro corpo seguono l’andamento delle pareti, come se gli artisti (o stregoni?) del Paleolitico superiore avessero voluto estrarli – alla Michelangelo – dalla pietra stessa. E c’è come un guardiano, un mostro misterioso con due corna, il sesso maschile e il ventre incinto, gambe e volto vagamente umani.
Il Caronte di Lascaux è anche la prima figura della grotta, che pare spingere il branco di animali nel cuore della terra. Ce n’è abbastanza per abbandonarsi a sogni e speculazioni d’ogni tipo, che curiosamente non hanno granché influenzato gli scrittori di fiction. Salvo una, naturalmente: l’incredibile best sellerista americana Jean M. Auel (è appena uscito per Longanesi il quinto volume della sua saga dedicata ai “Figli della terra”, dal titolo “Focolari di pietra”. La sua è letteratura di consumo e di buona divulgazione scientifica. E al di là di quel delizioso “Il più grande uomo scimmia del Pleistocene” di Roy Lewis o del classico “The Inheritors” di William Golding, tiene da sola l’intero campo. Il primo libro è però ambientato in un altro tempo e in un altro luogo, mentre il secondo è più vicino, perché immagina un contatto fra l’uomo di Neanderthal, scomparso dall’Europa fra 50 mila e 25 mila anni fa, e il primo sapiens sapiens, l’uomo moderno che sempre in Europa si è affermato in quel periodo.
Siamo nella stessa fascia cronologica della Auel, ma non in Perigord, ragion per cui la scrittrice americana resta regina incontrastata delle tre valli che fanno centro su un piccolo villaggio di ottocento abitanti (frazioni comprese): Lez Eyzies. Questa è in qualche modo la “capitale” della preistoria più recente, insomma quel periodo da quarantamila a diecimila anni fa in cui si manifestò il nostro diretto antenato, l’uomo di Cro Magnon.
Il nome deriva dal sito archeologico di Eyzies dove è stata trovata nel 1868 la sepoltura di un maschio sui cinquant’anni, imponente di statura, con un corredo funerario di collanine: l’alba della nostra civiltà. E pensare che nel delizioso villaggio le generazioni si sono susseguite per qualcosa come almeno quarantamila anni, fa una certa impressione. Le abitazioni medioevali sono costruite sotto un imponente riparo roccioso dove c’erano gli insediamenti dei nostri antenati (non abitavano le caverne: le dipingevano soltanto), il bel museo della preistoria è ricavato da una vecchio castello che pare emergere dall’imponente scogliera scavata dal fiume Vezère.
Insieme alla Beune e alla Dordogna, questi tre corsi d’acqua delimitano una zona ricchissima di enormi ripari rocciosi e caverne straordinarie: come quella di Rouffignac, dieci chilometri su tre piani, dove il viaggio al centro della terra si fa su un trenino da luna park, che ha la funzione di proteggere il sito dal contatto umano, e dai nostri batteri. Pare di essere in un romanzo di Jules Verne, fino a quando si arriva in una sorta di “cappella”, uno spazio rotondo dal soffitto liscio e calcareo dove in bianco nero, con svelti e precisissimi tratti continui, sono disegnati innumerevoli mammuth (150 in tutta la caverna) e cavalli. Noi li guardiamo comodamente alzando il capo, ma solo perché il suolo è stato abbassato. Chi li ha dipinti aveva a disposizione molto meno d’un metro d’altezza, e ha lavorato coricato.
Stava in piedi, invece, l’ignoto artista che tracciò i contorni di due renne, la femmina piegata sulle ginocchia, il maschio intento a leccarle il muso, nella caverna di Font de Gaume, dove si arriva camminando per un corridoio largo quanto una persona, non un centimetro di più. L’esperienza è di quelle che non si dimenticano. Ma i siti, qui, sono tantissimi, e non tutti vietati a chi soffre di claustrofobia. Che nel caso potrà concedersi, per prendere un po’ d’aria, una bella dimostrazione di vita quotidiana nella preistoria proposta nel prato davanti alla grotte delle Gorges d’Enfer: se l’accensione del fuoco è scontata, la preparazione di una bella minestra in brodo senza poter disporre di pentole e pignatte riserverà indubbiamente qualche sorpresa.
Fonte: La Stampa 01/06/02
Autore: Mario Baudino