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Francesca CECI. Le monete raccontano.

numismatica

La monetazione repubblicana è ricca di immagini ispirate da importanti episodi storici contemporanei, tutti diligentemente sintetizzati nel piccolo campo del tondello
Accanto ai tipi monetali incentrati sulla storia mitica di Roma, percepita come avvenuta benché antichissima, molti denari repubblicani esaltano eventi reali e ben piú vicini ai tempi in cui le emissioni videro la luce. Non mancano infatti sui conî temi celebranti fatti e personaggi coevi, pur restando fermo il divieto di effigiare sulle monete il ritratto riconoscibile di uomini viventi, in vigore sino agli inizi del 44 a.C., quando Cesare ottenne dal Senato l’onore, mai concesso prima, di apporre il proprio volto sui denari.
Gli episodi prescelti sono di regola pertinenti al magistrato che batteva moneta e si tratta di momenti significativi per la gens del monetiere, cosí come per la città e per la politica «estera» di Roma. E per rendere assolutamente identificabile ciò che veniva presentato – mantenendo quindi appieno l’intento celebrativo affidato all’immagine – veniva in ausilio l’iscrizione, senza la quale poteva risultare assai arduo individuare il significato del soggetto riprodotto sulla moneta stessa.
L’oro del giuramento
Oltre a tali tipologie, le monete potevano commemorare evenienze particolari e contingenti, usando a tal fine immagini stereotipate facilmente identificabili da parte dei fruitori dell’epoca. È questo il caso, per esempio, degli splendidi stateri noti come «oro del giuramento», i primi a essere coniati nel prezioso metallo, riferiti di norma alla serie modernamente denominata «romano-campana», perché battuta a nome di Roma tra la fine del IV e l’ultimo quarto del III secolo a.C. in zecche dislocate perlopiú in Campania, secondo un sistema ponderale di tipo greco e con un repertorio stilistico complessivamente non romano.
Lo statere presenta sul dritto una testa giovanile bifronte, forse riferibile ai Dioscuri, e, al rovescio, due soldati differentemente abbigliati, che puntano le spade su un porcellino sacrificale sorretto da un uomo, secondo l’antico rituale italico destinato a sancire un giuramento e a commemorare un trattato seguito a una vittoria, in questo caso romana, come esplica la leggenda ROMA in esergo.
La preziosa rarità dello statere, la complessità dell’immagine alludente a un fatto realmente accaduto e il contesto cronologico inquadrabile nel III secolo a.C., hanno portato il moderno dibattito scientifico a interrogarsi sull’identificazione dell’evento storico commemorato.
Vari studi hanno dapprima voluto riconoscervi la celebrazione della vittoria romana a Sentinum (oggi Sassoferrato, nelle Marche), conseguita nel 295 a.C. nel corso della terza guerra sannitica su una coalizione di Italici e Galli Senoni, poi ratificata con un giuramento di fedeltà e immortalata, come in un dipinto commemorativo, in questa moneta d’oro emessa a nome di Roma nel 290 a.C.
Fatti reali o allusioni generiche?
Interpretazioni piú recenti vi vedono invece il richiamo alla fedeltà degli alleati italici all’Urbe durante la seconda guerra punica, datandolo poco prima della battaglia di Canne del 216 a.C., o ancora una generica allusione alle vittorie romane ottenute all’epoca nel Lazio e nella Campania e ai trattati che vi avevano fatto seguito.
Come abbiamo piú volte ricordato, i magistrati monetari usarono in abbondanza temi mitici e storici esaltanti imprese familiari, tra cui anche provvedimenti giuridici che incontrarono largo favore popolare e percepiti come degni di essere commemorati, come l’elargizione del grano in momenti di penuria alimentare.
Un denario di Tiberio Minucio Augurino datato al 135 a.C. riporta infatti, sul rovescio, una scena complessa, in cui risalta una colonna sormontata dalla statua di un uomo, affiancata da due spighe e da due personaggi che rendono onore al monumento. La leggenda e le testimonianze di Livio (IV, 16, 2-4) e Plinio (Naturalis historia, XVIII, 15 e XXXIV, 21) hanno permesso di riconoscere in questo tipo la bronzea columna Minucia, innalzata fuori la Porta Trigemina, tra l’Aventino e il Tevere, in onore dell’avo del monetiere, Lucio Minucio, prefetto dell’Annona nel 439 a.C. In un difficile frangente politico non privo di tumulti popolari e peggiorato anche da una carestia, costui provvide alla distribuzione di grano al modico prezzo di un asse al moggio. L’evento ebbe rilevanza tale che al magistrato fu dedicata una statua che lo ritraeva, posta su una colonna, ricordata ancora sulle monete del suo discendente a distanza di circa trecento anni.
Resta nel campo delle largizioni granarie anche il famoso denario dei questori L. Calpurnio Piso e Q. Servilio Cepio, la prima moneta nella storia di Roma a riferirsi nell’immagine agli stessi magistrati preposti all’emissione. Il primo personaggio era competente per l’approvvigionamento urbano, mentre il secondo presiedeva tra l’altro l’erario statale. I due si trovarono associati in un momento di crisi del sistema di rifornimento dell’Urbe, ricordato anche dalle fonti letterarie, nel corso del quale il Senato autorizzò l’acquisto di un quantitativo supplementare di grano, sostenuto finanziariamente da riserve preziose prelevate dal pubblico erario.
L’emissione fu battuta a Roma tra il 103 e il 100 a.C., in un momento di forti contrasti tra opposte fazioni politiche. I populares legati a Mario avevano infatti sostenuto alcune leggi frumentarie presentate da un proprio uomo di fiducia, Lucio Appuleio Saturnino, con l’intento di raccogliere il favore della plebe; l’oligarchia senatoria osteggiò fortemente tale progetto, promuovendo iniziative analoghe – come quella ricordata nella nostra emissione –, in una lotta senza esclusione di colpi, compreso il ricorso all’omicidio politico.
Nei denari di Piso e Cepio il dritto è riservato alla testa di Saturno, nel cui tempio era conservato l’erario di Roma, mentre sul rovescio figurano i due questori – per inciso, del tutto irriconoscibili e quindi indicati solo con una figura-tipo – seduti sul subsellium e con due spighe ai lati. La leggenda Ad fru(mentum) emu(ndum) ex S(enato) C(onsulto) («per l’acquisto di frumento su deliberazione del Senato»), ben esplica il fine della emissione straordinaria e a chi andava il merito di averla decretata.
A volte, però, bastava delineare un semplice profilo per esprimere un intero programma politico.
La politica dei volti
Gli aurei battuti da Cesare e dal suo fedele pretore Aulo Irzio nel 46 a.C., costituiscono un esempio palese di aggiramento delle norme che impedivano di celebrare sulle monete il ritratto di un vivente. Già soltanto l’idea che qualcuno pensasse di commettere tale alterigia era considerata una deliberata pretesa di onori divini, tipica dei passati monarchi abominati dall’ultima repubblica, pretesa di cui spesso fu accusato Cesare negli ultimi tempi della sua vita. I cesariani, nell’ambito della politica di esaltazione personale del loro condottiero, tentarono comunque di eludere questo divieto su speciali – e circoscritte – emissioni in oro, battute in occasione degli splendidi festeggiamenti tributatigli quale trionfatore in Gallia, nel Ponto e in Africa. Il dritto di questi aurei reca infatti il consueto volto velato di una divinità femminile, probabilmente Vesta; ma su alcuni esemplari è possibile riconoscere, seppure celati sotto l’aspetto divino, i tratti marcati e virili di Cesare, cosí come allude al dittatore la corona d’alloro che spunta sulla fronte da sotto il velo che copre il capo.
Barba corta per il lutto
Il sotterfugio non portò comunque fortuna a Cesare, che poco dopo la concessione del diritto di effigie dell’inizio del 44 a.C., fu ucciso alle Idi di marzo. Ma era stata aperta la strada a una nuova forma di propaganda politica chiara, immediata e ad ampio spettro.
Sono cosí giunti sino a noi i profili, quasi fotografici, di tutti i maggiori protagonisti delle travagliate vicende politiche immediatamente precedenti il principato, i cui tratti corrispondono vigorosamente alle personalità che le fonti scritte ci hanno tramandato, in maniera piú o meno faziosa.
Fra i tanti esempi possibili, troviamo Marco Antonio, il quale esprime il cordoglio e la sua furia vendicatrice per la morte di Cesare – nonostante le accuse rivoltegli dall’acerrimo nemico Cicerone, di aver anche lui partecipato all’omicidio – facendosi ritrarre sul dritto di un denario con la corta barba scomposta portata dai Romani durante il lutto di un proprio caro. In tal modo il triumviro manifestava, con il solo accenno di una rada peluria sul profilo volitivo, il proprio pensiero politico e ciò che ne sarebbe conseguito, diffondendo tale minaccioso messaggio anche attraverso quell’efficacissimo mezzo di propaganda politica che era divenuta allora la moneta.

Fonte: http://www.archeo.it, n. 271, settembre 2007.

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