A duecento metri dall’abitato moderno di Casinalbo, località non distante da Modena, è stata scoperta una necropoli di un villaggio terramaricolo risalente all’età del bronzo e annoverabile tra le più grandi d’Italia del medesimo periodo. Le quarantasette sepolture riesumate dalla terra si vanno a sommare alle circa seicento tombe scoperte nella zona, tutte risalenti a un periodo compreso fra il 1450 e il 1150 avanti Cristo, ma gli esperti pensano che in origine ce ne dovessero essere tre mila, disposte in circa un ettaro.
Gli scavi appena conclusi, effettuati grazie alla cooperazione scientifica tra Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena e Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, si sono svolti sotto la direzione di Daniela Locatelli (Soprintendenza) e di Andrea Cardarelli (Università La Sapienza) e sono stati eseguiti da Gialunca Pellacani (Museo civico di Modena) insieme agli operatori e ai collaboratori del Museo e agli studenti dell’Università di Modena e Reggio Emilia frequentanti il corso in Scienze per la conservazione e restauro.
Le sepolture sono disposte in nuclei segnati da una o più grosse pietre utilizzate in qualità di insegne e trasportate nella necropoli dagli antichi abitanti. Il sepolcreto ha restituito urne di ceramica e moltissimi reperti in bronzo, la maggior parte dei quali, in particolare i frammenti di spada, sono stati trovati nel suolo antico della necropoli invece che all’interno delle urne cinerarie come gli archeologi si aspettavano.
Grazie a queste scoperte gli esperti hanno potuto ricostruire il rito funerario e fare luce sull’organizzazione sociale degli abitanti delle terramare. I morti venivano posati su una pira per essere cremati insieme ad alcuni oggetti che ne definissero la condizione sociale: pugnali o spade per i guerrieri e ornamenti per donne o adolescenti delle classi dominanti. Dopo la cremazione, le ossa bruciate venivano scelte, pulite e poste dentro a urne in ceramica e, infine, seppellite nel terreno. Invece, le armi dei corredi funerari maschili, deformate dal fuoco, erano spezzate con un rituale allo scopo di renderle inadoperabili e consacrarle agli dei. Poi erano collocate al centro del sepolcreto e riservate indubbiamente a riti funerari, come provano il grande vaso per liquidi e i frammenti delle tazze di ceramica fine, presumibilmente utilizzate per le libagioni in nome dei morti. Invece, i manufatti che distinguevano le donne e le ragazze potevano essere collocati nelle urne o nelle zone sacre della necropoli, sebbene in posizione periferica rispetto al centro dove si trovavano le armi dei guerrieri.
La campagna di scavo ha così risolto un rompicapo archeologico: fino ad oggi si pensava che l’assenza di armi e la generale scarsità dei corredi funerari nei sepolcreti delle terramare comprovava il carattere egalitario di quelle popolazioni, ma le scoperte di Casinalbo hanno dimostrato che anche la società delle terramare, come le altre dell’età del bronzo, si basava su una rigorosa gerarchia sociale che aveva al suo vertice i guerrieri e le loro donne.
Gli scavi hanno attestato che la necropoli venne abbandonata intorno al 1150 avanti Cristo, quando i villaggi terramaricoli videro la loro fine, ma i grandi segnacoli di pietra restarono visibili per secoli, tanto che gli Etruschi rioccuparono l’area allo stesso scopo nel settimo secolo avanti Cristo.
Adesso gli studiosi stanno analizzando i reperti archeologici e i resti umani per individuare sesso ed età dei defunti e per stabilire il profilo demografico dell’antica comunità. Le analisi già effettuate hanno dimostrato che alla necropoli potevano accedere uomini e donne e che la maggior parte delle persone sepolte avevano un’età compresa tra i 21 e i 40 anni. Inoltre, sulle ossa sono state eseguite analisi chimiche che hanno fornito informazioni sulla dieta dell’antica comunità di Casinalbo e nella necropoli gli esperti dell’Università di Modena e Reggio Emilia hanno eseguito studi archeobotanici e dei sedimenti geologici per ricostruire l’ambiente antico e la sua evoluzione nei secoli.
Gli scavi appena conclusi, effettuati grazie alla cooperazione scientifica tra Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena e Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, si sono svolti sotto la direzione di Daniela Locatelli (Soprintendenza) e di Andrea Cardarelli (Università La Sapienza) e sono stati eseguiti da Gialunca Pellacani (Museo civico di Modena) insieme agli operatori e ai collaboratori del Museo e agli studenti dell’Università di Modena e Reggio Emilia frequentanti il corso in Scienze per la conservazione e restauro.
Le sepolture sono disposte in nuclei segnati da una o più grosse pietre utilizzate in qualità di insegne e trasportate nella necropoli dagli antichi abitanti. Il sepolcreto ha restituito urne di ceramica e moltissimi reperti in bronzo, la maggior parte dei quali, in particolare i frammenti di spada, sono stati trovati nel suolo antico della necropoli invece che all’interno delle urne cinerarie come gli archeologi si aspettavano.
Grazie a queste scoperte gli esperti hanno potuto ricostruire il rito funerario e fare luce sull’organizzazione sociale degli abitanti delle terramare. I morti venivano posati su una pira per essere cremati insieme ad alcuni oggetti che ne definissero la condizione sociale: pugnali o spade per i guerrieri e ornamenti per donne o adolescenti delle classi dominanti. Dopo la cremazione, le ossa bruciate venivano scelte, pulite e poste dentro a urne in ceramica e, infine, seppellite nel terreno. Invece, le armi dei corredi funerari maschili, deformate dal fuoco, erano spezzate con un rituale allo scopo di renderle inadoperabili e consacrarle agli dei. Poi erano collocate al centro del sepolcreto e riservate indubbiamente a riti funerari, come provano il grande vaso per liquidi e i frammenti delle tazze di ceramica fine, presumibilmente utilizzate per le libagioni in nome dei morti. Invece, i manufatti che distinguevano le donne e le ragazze potevano essere collocati nelle urne o nelle zone sacre della necropoli, sebbene in posizione periferica rispetto al centro dove si trovavano le armi dei guerrieri.
La campagna di scavo ha così risolto un rompicapo archeologico: fino ad oggi si pensava che l’assenza di armi e la generale scarsità dei corredi funerari nei sepolcreti delle terramare comprovava il carattere egalitario di quelle popolazioni, ma le scoperte di Casinalbo hanno dimostrato che anche la società delle terramare, come le altre dell’età del bronzo, si basava su una rigorosa gerarchia sociale che aveva al suo vertice i guerrieri e le loro donne.
Gli scavi hanno attestato che la necropoli venne abbandonata intorno al 1150 avanti Cristo, quando i villaggi terramaricoli videro la loro fine, ma i grandi segnacoli di pietra restarono visibili per secoli, tanto che gli Etruschi rioccuparono l’area allo stesso scopo nel settimo secolo avanti Cristo.
Adesso gli studiosi stanno analizzando i reperti archeologici e i resti umani per individuare sesso ed età dei defunti e per stabilire il profilo demografico dell’antica comunità. Le analisi già effettuate hanno dimostrato che alla necropoli potevano accedere uomini e donne e che la maggior parte delle persone sepolte avevano un’età compresa tra i 21 e i 40 anni. Inoltre, sulle ossa sono state eseguite analisi chimiche che hanno fornito informazioni sulla dieta dell’antica comunità di Casinalbo e nella necropoli gli esperti dell’Università di Modena e Reggio Emilia hanno eseguito studi archeobotanici e dei sedimenti geologici per ricostruire l’ambiente antico e la sua evoluzione nei secoli.
Autore: Martina Calogero
Fonte: Archeorivista, 08/11/2009