Imponenti e austeri i resti del complesso monumentale di Castel Gavone, aggrappati alla sommità meridionale della Rocca di Perti, nell’entroterra del Finale Ligure, dominano le sottostanti valli Pora e Aquila e, recentemente recuperati, costituiscono uno degli esempi liguri piú significativi di insediamento fortificato signorile con funzioni residenziali.
Menzionato per la prima volta nel 1180 come caminata marchionis Finarii e innalzato in posizione nevralgica sulla piú importante via di comunicazione tra il Finale e le Langhe, in un periodo imprecisato da collocare tra l’XI e il XII secolo, Castel Gavone, sino alla fine del Cinquecento, risulta strettamente connesso alle vicende della nobile famiglia Del Carretto.
Gli studi, le analisi e i restauri degli ultimi anni hanno appurato che, attorno al 1217, la primitiva costruzione venne sostituita da una nuova struttura difensiva. È, questo, un momento importante per l’analisi delle fasi edilizie del castello, che si inquadra nell’ambito della riorganizzazione del potere marchionale e della pianificazione del territorio, attuate da Enrico II Del Carretto tra la fine del XII secolo e i primi decenni del successivo e incentrate sulla fondazione del Burgus Finarii (l’attuale Finalborgo), nella sottostante piana alluvionale formatasi alla confluenza dei torrenti Pora e Aquila, e sulla ricostruzione della dimora di rappresentanza della famiglia. Allora il maniero, chiamato alternativamente caminata o palatium, sulla base di nuove fonti disponibili e di resoconti degli atti pubblici rogati nei secoli XIII e XIV, riconducibili ai marchesi Del Carretto, doveva costituire un’entità architettonica ben definita. Il suo ruolo preminente quale residenza e sede degli atti marchionali, insieme a precipui connotati di fortificazione con funzioni strategiche e militari, emerge chiaramente nel Bellum Finariense, opera in cui l’umanista Gian Mario Filelfo (1426-1480), avvalendosi di testimonianze dirette, descrive l’assedio e i bombardamenti al castello e a Finalborgo durante la guerra del Finale, condotta nel 1447-1449 dal doge genovese Giano Campofregoso contro Galeotto Del Carretto e il fratello Giovanni I.
I «lapicidi della Pietra di Finale»
Negli ultimi decenni del Quattrocento la dinastia carrettesca raggiunge l’acme della propria ascesa nel complesso quadro politico italiano.
Le indagini archeologiche piú recenti collocano in quest’arco di tempo il prestigioso ampliamento della fortificazione con il rifacimento degli ambienti residenziali intorno alla corte interna porticata, ingentilita da colonne e capitelli ornati di un ricco apparato decorativo, realizzato attorno al 1470 da «lapicidi della Pietra di Finale».
Contemporaneamente viene inoltre ingrandita la preesistente cappella castrense dedicata a San Giorgio, innestata l’appariscente Torre dei Diamanti – esaltata dall’originale rivestimento bugnato «a punte di diamante» –, e viene creata una ulteriore cinta esterna a impianto quadrilatero irregolare, adattata alla conformazione orografica del crinale e imperniata su quattro torrioni angolari cilindrici a base leggermente scarpata. Interventi, tutti, che denotano l’adozione di forme architettoniche innovative, già presenti in ambito lombardo, riconducibili allo stretto legame politico e diplomatico contratto dai Del Carretto con il ducato di Milano e la famiglia Sforza. Ma c’è di piú. Sono infatti evidenti anche i raffronti con la pianta della «città ideale» delineata da Francesco di Giorgio Martini, configurata sulle dimensioni del corpo umano e imperniata su uno spazio libero centrale, nel quale si erge la chiesa, dominato dalla rocca – nel nostro caso la Torre dei Diamanti –, che diviene elemento polarizzatore dell’insieme e straordinario esempio di «architettura del potere». Bombardato nel 1558 e spogliato di molte delle sue ricchezze, con l’acquisizione del marchesato da parte della Spagna nel 1602, Castel Gavone perde progressivamente di importanza, sino a divenire cava per il recupero di materiali da costruzione, prima della radicale distruzione da parte della Repubblica di Genova nel 1715.
Il recupero del complesso
L’intervento di recupero del complesso monumentale risulta perciò mirato, spiega l’architetto Giorgio Brusotti, che ne ha seguito il restauro e la riqualificazione funzionale, «alla conservazione delle strutture esistenti nella loro essenza di ruderi, al recupero delle decorazioni pittoriche e plastiche superstiti, oltre che al consolidamento statico delle strutture murarie». Obiettivo dell’operazione «è garantire il rispetto delle caratteristiche intrinseche dell’edificio, limitando gli interventi a quelli strettamente necessari per consentire una rifunzionalità coerente con il tempo attuale». I lavori hanno quindi interessato il portale d’ingresso in pietra di Finale, il sedime della corte centrale con le pertinenti strutture architettoniche superstiti, la Torre dei Diamanti e il limitrofo Torrione di Fiancheggiamento. Recuperati a fini espositivi anche i cosiddetti «locali ipogei» che, aperti al pubblico insieme alle adiacenti cisterne sotterranee, durante il percorso di visita sono collegati ai piani superiori da un ascensore oleodinamico, un articolato sistema di scale e alcune passerelle aeree.
Info: Ufficio Informazioni Turistiche Finale Ligure, Via S. Pietro 14 tel, 019-681019, fax 019-681804, e-mail: finaleligure@inforiviera.it
Autore: Chiara Parente
Fonte: www.Medioevo.it , n° 158 Marzo 2010