Ho personalmente, a suo tempo, costretto colui che la deteneva a consegnare alla Procura della Repubblica la concrezione staccatasi dalla statua di Lisippo durante il diseppellimento in località Carrara di Fano, concrezione che rappresenta la prova inconfutabile che l’opera era stata in Italia e quindi, non essendo mai stato rilasciato un permesso di esportazione, era uscita illegalmente dal nostro Paese. Sono rimasto molto sorpreso ed amareggiato perciò dalla dichiarazione del soprintendente ai Beni Archeologici Giuliano De Marinis secondo il quale “non si può provare l’illegalità della provenienza” e di conseguenza: “la statua ha perso ogni pretesa di ritornare in Patria” perché “fu messa all’asta con finte certificazioni dopo un passaggio in Svizzera per ripulirla”.
A me risulta invece che la ditta Artemis che alienò al Getty Museum nel novembre 1977 la statua per 3.900.000 dollari non ha mai prodotto nessun documento che legittimasse il possesso della stessa anche se il curatore delle antichità del Museo Getty, Jiri Frel giunse a sostenere falsamente, a chi gli chiedeva di vedere il certificato di esportazione, che non esiste alcuna prova che la statua fosse mai stata in Italia. Concordo invece pienamente con Maria Luisa Polichetti quando sostiene che la vicenda del Lisippo “è da seguire con attenzione, ma serve una azione forte, coinvolgendo tutte le istituzioni. Una task force che si muova sulla base di principi giuridici”.
Tesi identica a quella sostenuta a suo tempo dal ministro plenipotenziario Rodolfo Siviero che di queste cose sapeva tutto. E diceva: “occorre che il Governo si interessi a fondo della faccenda, cosa che fino ad oggi non ha fatto. Resta il fatto che l’opera è stata esportata clandestinamente. Proprio per questo l’Italia può richiederla indietro”.
Saprà il Governo essere all’altezza di tale compito? Non sappiamo. Certo è che fino ad oggi la vera statua di bronzo è stato il Ministro. Nemmeno un parola.
Fonte: Corriere Adriatico 28/09/2005
Autore: Alberto Berardi