In occasione di un intervento di scavo, realizzato con la direzione scientifica di Carla Pirazzini della Soprintendenza e l’assistenza archeologica della Ditta Geoarcheologi Associati tra maggio e luglio 2019 a Este (PD) in via Versori, per la posa di un impianto di raccolta delle acque all’interno del parcheggio del Centro Commerciale Extense, sono emersi nuovi interessanti dati archeologici (fig. 1).
L’area, già nota da quando, alla fine del XIX secolo, nel fondo allora Capodaglio, erano venute alla luce numerose tombe di età preromana, era stata sottoposta a vincolo archeologico nel 1982, anno in cui, durante i lavori di costruzione di quello che diventerà in seguito l’attuale centro commerciale, furono intercettati un tratto stradale, una struttura interpretata come ustrinum (luogo dove si svolgevano le cremazioni) e alcune tombe. Vedi qui sotto il risultato di una precedente indagine magnetica del geofisico Sandro Veronese nel 1982.
Nel 2001 e nel 2002 altri interventi di assistenza archeologica avevano consentito di approfondire e ampliare i dati conoscitivi su questo tratto, che si colloca all’interno di quella che viene definita la fascia delle necropoli meridionali di Este.
Durante i lavori del 2019, per rendere più speditive le operazioni di scavo e poter liberare più rapidamente l’area dai materiali archeologici mobili e consentire quindi la posa delle vasche di raccolta delle acque, si è operato il recupero dei nuclei tombali con l’intervento della restauratrice della Soprintendenza, Federica Santinon, rimandando le operazioni di scavo a una seconda fase, da realizzare in laboratorio.
Grazie a fondi ministeriali, si sono da poco conclusi il microscavo e il restauro di uno dei contesti tombali ad opera della ditta Consorzio Pragma di Roma, mentre si sta avviando in questi giorni la procedura di affidamento per la prosecuzione dei lavori di restauro delle rimanenti tombe.
La tomba 6 (fig. 2), la prima quindi ad essere restaurata e qui presentata in anteprima, in occasione delle Giornate Europee dell’Archeologia 2022, era deposta in una cassetta di lastre in scaglia rosa dei Colli Euganei parzialmente conservata ed era composta da un vaso situliforme usato come ossuario (fig. 3), due coppe su stelo a fasce rosse e nere (fig. 4), una tazzina, un bicchiere, una fibula di tipo Certosa (fig. 5), che consentono di datare preliminarmante il contesto tra fine V e IV sec. a.C.
Gli elementi più interessanti però, che sono emersi già dalle prime fasi di scavo e che hanno reso delicato il recupero, sono i reperti in bronzo: (fig. 6) uno “scettro” frammentario, collocato sul fondo della cassetta e, aderente al corpo del vaso situliforme, quello che è apparso subito come un cinturone in bronzo, disposto con l’intento di alludere a una “vestizione” dell’ossuario, come testimoniato in numerosi contesti nel Veneto antico (fig. 7).
Il cinturone è ricostruibile per buona parte, e si compone della grande placca anteriore rettangolare, della parte terminale della cintura e di parti con gli anelli di riscontro. All’interno dell’ossuario, oltre alle ceneri dell’individuo defunto (presumibilmente di sesso femminile), erano deposti numerosi frammenti di lamine in bronzo, alcuni con evidenti tracce di combustione. L’ipotesi è che si tratti di un secondo cinturone indossato al momento della cremazione (fig. 8).
Tra i frammenti bronzei, spicca una lamina ritagliata e riutilizzata, che riporta una raffigurazione fantastica, con corpo di animale alato, di cui si trovano numerosi esempi in ambito veneto, soprattutto in contesti funerari.
Dopo il restauro, i materiali verranno disegnati, fotografati e studiati, in attesa della pubblicazione.
Fonte: Soprintendenza PD VE, 18 giu 2022
Indagine magnetica del geofisico Sandro Veronese condotta nel 1982:
Galleria immagini: