I tour operator descrivono gli scavi di Ercolano come un centro abitato fermo a una lontana mattina del 79 d.C. Non dicono, però, che fermi a una lontana mattina di chissà quale anno sono anche i lavori di recupero dell’intera area archeologica. Meno conosciuto di quello di Pompei, il sito di Ercolano è un piccolo gioiello d’archeologia. Peccato che su 47 siti presenti, ben 26 siano chiusi al pubblico. Alcuni addirittura da quasi mezzo secolo. E, in effetti, più che un sito archeologico sembra un museo dell’incompiuto.
Chiediamo del “teatro Antico”. Viene pubblicizzato su quasi tutte le guide turistiche. E’ il primo scavo fatto nel 700. «Era visitabile negli anni ’70-80, quando forse nemmeno eravamo nati» ci dice la bigliettaia all’ingresso. E non è una battuta. Qui, quello che chiude difficilmente riapre. Oppure non apre affatto. Come nel caso dell’Antiquarium. E’ una struttura fantasma costruita negli anni ’70 con i soldi della Cassa del Mezzogiorno. Doveva essere un museo.
«Nei sotterranei – raccontano i custodi – sono conservati reperti di eccezionale valore». Ma nessuno li ha mai visti perché in 40 anni la struttura non ha mai aperto. Persino i bagni sono inagibili. «Sono rotti da ottobre e solo ieri (il 20 gennaio 2012, ndr) ne hanno aggiustati una parte. Ci sono stati turisti inferociti che hanno protestato e persino persone anziane che se la sono fatta addosso» racconta un’impiegata.
Lungo il percorso è un susseguirsi di divieti e cartelli che avvertono di crolli e lavori in corso. Ma a vedere bene sono lavori che si sarebbero dovuti concludere già da tempo. Nella casa del rilievo di Telefo, ad esempio, il cantiere è stato aperto nel marzo del 2008. Durata prevista: 9,5 mesi. Ad oggi è chiuso. I lavori di pulitura archeologica e irreggimentazione delle acque per l’accesso alle antiche spiagge durano dall’ottobre del 2008 e ancora non si intravede la fine. Altre opere portano come data di fine lavori il 31 luglio 2010 ma è ancora tutto fermo. Gli esempi sono numerosi. Nelle aree degli scavi ci sono transenne posticce che chiunque può evitare. E così decidiamo di toccare con mano lo stato dei restauri. Altri, invece, hanno preferito incidere indelebilmente il nome dell’amata sui preziosi affreschi. Benché siano rimasti pochi reperti di valore, ci spiegano che alcuni visitatori portano via persino le pietre. Come souvenir.
Nei granai sono conservati alcuni scheletri rinvenuti durante gli ultimi scavi archeologici. I lavori di recupero sono iniziati anch’essi nel 2008 e sono attualmente in corso. Entriamo a vedere da vicino senza che nessuno ci fermi. Eppure il sito è videosorvegliato, come è possibile? I vigilantes, in effetti, ci sono. Tre anziani fanno a turno per sorvegliare tutta l’area. Altri impiegati, invece, li troviamo a chiacchierare al box office, a discutere delle ferie del Natale 2012 o a prendere il sole. Più volte abbiamo chiesto spiegazioni. Al Comune di Ercolano ci hanno informato che la gestione dipende dal sito archeologico; al sito archeologico dicono che è competenza della soprintendenza; alla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, nonostante le insistenti richieste inoltrate, non ci hanno degnato nemmeno di una risposta. Così l’unica spiegazione plausibile è quella che ci dà Peppino, un agente di sicurezza che lavora da anni ad Ercolano: «All’inizio vedevo solo pietre, poi mi sono documentato, ho studiato, sono andato alla ricerca dei reperti più preziosi, ho scoperto che i romani avevano la lavatrice, che molti mezzi meccanici li abbiamo ereditati da loro. Solo allora sono riuscito a dare una risposta a tanto degrado: non hanno capito l’importanza di questi strumenti, di questi scavi e di questa popolazione».
Chiediamo del “teatro Antico”. Viene pubblicizzato su quasi tutte le guide turistiche. E’ il primo scavo fatto nel 700. «Era visitabile negli anni ’70-80, quando forse nemmeno eravamo nati» ci dice la bigliettaia all’ingresso. E non è una battuta. Qui, quello che chiude difficilmente riapre. Oppure non apre affatto. Come nel caso dell’Antiquarium. E’ una struttura fantasma costruita negli anni ’70 con i soldi della Cassa del Mezzogiorno. Doveva essere un museo.
«Nei sotterranei – raccontano i custodi – sono conservati reperti di eccezionale valore». Ma nessuno li ha mai visti perché in 40 anni la struttura non ha mai aperto. Persino i bagni sono inagibili. «Sono rotti da ottobre e solo ieri (il 20 gennaio 2012, ndr) ne hanno aggiustati una parte. Ci sono stati turisti inferociti che hanno protestato e persino persone anziane che se la sono fatta addosso» racconta un’impiegata.
Lungo il percorso è un susseguirsi di divieti e cartelli che avvertono di crolli e lavori in corso. Ma a vedere bene sono lavori che si sarebbero dovuti concludere già da tempo. Nella casa del rilievo di Telefo, ad esempio, il cantiere è stato aperto nel marzo del 2008. Durata prevista: 9,5 mesi. Ad oggi è chiuso. I lavori di pulitura archeologica e irreggimentazione delle acque per l’accesso alle antiche spiagge durano dall’ottobre del 2008 e ancora non si intravede la fine. Altre opere portano come data di fine lavori il 31 luglio 2010 ma è ancora tutto fermo. Gli esempi sono numerosi. Nelle aree degli scavi ci sono transenne posticce che chiunque può evitare. E così decidiamo di toccare con mano lo stato dei restauri. Altri, invece, hanno preferito incidere indelebilmente il nome dell’amata sui preziosi affreschi. Benché siano rimasti pochi reperti di valore, ci spiegano che alcuni visitatori portano via persino le pietre. Come souvenir.
Nei granai sono conservati alcuni scheletri rinvenuti durante gli ultimi scavi archeologici. I lavori di recupero sono iniziati anch’essi nel 2008 e sono attualmente in corso. Entriamo a vedere da vicino senza che nessuno ci fermi. Eppure il sito è videosorvegliato, come è possibile? I vigilantes, in effetti, ci sono. Tre anziani fanno a turno per sorvegliare tutta l’area. Altri impiegati, invece, li troviamo a chiacchierare al box office, a discutere delle ferie del Natale 2012 o a prendere il sole. Più volte abbiamo chiesto spiegazioni. Al Comune di Ercolano ci hanno informato che la gestione dipende dal sito archeologico; al sito archeologico dicono che è competenza della soprintendenza; alla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, nonostante le insistenti richieste inoltrate, non ci hanno degnato nemmeno di una risposta. Così l’unica spiegazione plausibile è quella che ci dà Peppino, un agente di sicurezza che lavora da anni ad Ercolano: «All’inizio vedevo solo pietre, poi mi sono documentato, ho studiato, sono andato alla ricerca dei reperti più preziosi, ho scoperto che i romani avevano la lavatrice, che molti mezzi meccanici li abbiamo ereditati da loro. Solo allora sono riuscito a dare una risposta a tanto degrado: non hanno capito l’importanza di questi strumenti, di questi scavi e di questa popolazione».
Fonte: Il Corriere della Sera, 15/02/2012