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ERCOLANO (Na). Il museo fantasma, inaugurato due volte, mai aperto.

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A Ercolano il museo antiquarium è una struttura fantasma: nonostante sia stato costruito 35 anni fa e inaugurato due volte, nel ’78 e nel ’93 (le vetrine ancora imballate), non è mai stato aperto.
I quattromila reperti archeologici che dovrebbe ospitare, giacciono da anni blindati nel caveau di una banca. O depositati in magazzini, alcuni dei quali infiltrati dalle piogge.
La “culla di legno carbonizzata”, la “statua di bronzo di bacco”, le sculture della “casa dei cervi”, gli “ori” riemersi fra gli scheletri, e poi la mobilia annerita dai 500 gradi della nube ardente vulcanica sono solo alcune delle perle del “museo che non c’è”, negate alla curiosità dei trecentomila visitatori che si recano ogni anno a Ercolano.
Anche le “terme”, la parte più suggestiva degli scavi, sono chiuse al pubblico: i visitatori si trovano la porta d’ingresso chiusa a chiave e nessun cartello a spiegare il perché.
Stessa sorte per il “teatro antico”, il più famoso essendo il primo scavo fatto nel ‘700: è inaccessibile al pubblico.
I trecento calchi dei corpi carbonizzati dall’eruzione del 79 dopo Cristo, rinvenuti al livello della spiaggia sotto una coltre di 19 metri di fango vulcanico, ancora non sono stati esposti nel luogo di ritrovamento, nonostante i lavori per il loro allestimento siano iniziati 12 anni fa.

Se Ercolano piange, Pompei non ride. Un esempio per tutti: a Pompei, il sito dei fuggiaschi, un gioiello degli ultimi scavi della metà degli anni Novanta finanziati dai fondi Fio, è incredibilmente sbarrato da una fune sgualcita.
Anche qui nessun cartello offre una qualsiasi spiegazione. Si trovano nella “regione prima, insula 22esima” del sito archeologico, a pochi metri dall’orto dei fuggiaschi.
Ma i visitatori non possono accedere a questa area rialzata, di interesse eccezionale (si possono vedere i corpi di persone sopravvissute alla prima eruzione, ma uccise dai fanghi vulcanici mentre tentavano di fuggire sopra un metro di pomici), perché l’ingresso è loro impedito da una corda.
La rampa di scale è priva del primo gradino, la teca di vetro antiproiettile di protezione ai calchi è impolverata da chissà quanto tempo.

Difficile tentare di dare una spiegazione al “male oscuro” che affligge da sempre gli scavi di Ercolano e Pompei, ma che s’è acuito in questi ultimi anni che hanno visto, di recente, perfino il commissariamento da parte di un funzionario della Protezione Civile.
Tutta la macchina amministrativa delle soprintendenze campane, del resto, sembra da tempo nel caos. È mai possibile, per fare un esempio, che quella di Napoli, dalla quale dallo scorso agosto dipendono Ercolano e Pompei, sia retta ad interim dall’ex segretario generale del ministero dei Beni culturali – ormai in pensione – Giuseppe Proietti, che è nel contempo pure soprintendente speciale di Roma ed Ostia? Ma non solo.
La soprintendenza di Salerno, da cui dipendono i siti archeologici di Avellino, Caserta e Benevento, è affidata alla dottoressa Maria Luisa Nava la cui nomina ha ottenuto il record degli annullamenti: l’hanno bocciata il Tar (con conferma del Consiglio di Stato), e un decreto della presidenza della Repubblica.
Ciononostante, continua a esercitare le sue funzioni con il rischio che tutti gli atti da lei firmati siano formalmente nulli.

Il tutto accade mentre uno dei massimi esperti di scavi vesuviani (300 pubblicazioni scientifiche fra Ercolano e Pompei), il dirigente Mario Pagano – cacciato inspiegabilmente dalla soprintendenza di Salerno dopo soli 3 mesi dalla sua nomina con procedura pubblica – è da tempo mobbizzato dal ministero dei Beni culturali. Pagano è lasciato a casa da più di un anno con stipendio, ma senza incarico, nonostante due ordinanze della magistratura del Lavoro abbiano disposto il suo reintegro a pieno titolo nei ruoli della direzione regionale archeologica campana. Il motivo del mobbing nei suoi confronti potrebbe nascondersi in un’indagine giudiziaria top secret della procura di Salerno sulla gestione “allegra” dei fondi della soprintendenza salernitana.
Il pm Rocco Alfano e la sua polizia giudiziaria hanno già acquisito la contabilità degli ultimi anni, in particolare dei progetti finanziati dalla Ue.
L’inchiesta penale trae spunto dalle indagini difensive  –  poi riversatesi in un esposto in procura – dell’avvocato Katiuscia Verlingieri (legale di Pagano), che ha scoperto strane irregolarità nei conti di alcuni lavori finanziati dalla Ue a Paestum e Velia.
L’avvocatessa-investigatrice, armata di registratore, è riuscita a dimostrare che un ammanco di 400 mila euro della soprintendenza di Salerno è stato “sanato” dai fondi stanziati dal ministero dei Beni culturali sulla base di una perizia falsa, per lavori di manutenzione in realtà mai fatti.

Autore: Alberto Custodero

Fonte: La Repubblica, 12 luglio 2010

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