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EGITTO. Una piccola ferita poteva diventare mortale. Tac su mummie di 21 bambini egizi indaga lesioni infette e “cerotti”.

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L’International Journal of Paleopathology – pubblicazione scientifica dedicata alle malattie nell’antichità – , nel numero di marzo 2022, pubblicherà uno studio ricavato da una ricerca con Tac sulle mummie di 21 bambini egiziani, che incontrarono la morte in tenera età. L’indagine accurata era finalizzata, soprattutto, a trovare ferite o tracce di pus che indicassero infezioni gravi.
La ricerca è stata condotta da Stephanie Panzer, Marcus Treitl, Stephanie Zesch, Wilfried Rosendahl, Jana Helmbold-Doyé, Randall C. Thompson e Albert R. Zink.
“Nell’antico Egitto – scrivono gli studiosi nell’abstract dello studio – le infezioni erano probabilmente un aspetto comune della vita quotidiana e la principale causa di morte (Thompson et al., 2013 ; Nunn, 2002). Tuttavia, l’evidenza complessiva di infezioni nelle antiche mummie è limitata, specialmente nelle mummie infantili meno frequentemente studiate. L’infanzia è stata a lungo riconosciuta come periodo critico di aumento dello stress fisiologico, della morbilità e della mortalità (Wheler, 2012). La morbilità infantile è anche associata ad una ridotta aspettativa di vita nelle popolazioni antiche (Wheeler, 2012, Finch, 2012, Crimmins and Finch, 2006)”.
“In questa ricerca, abbiamo studiato 21 mummie infantili egiziane ben conservate esternamente dai musei tedeschi (n = 18), italiani (n = 1) e svizzeri (n = 2). I corpi di tutti i bambini sono stati mummificati artificialmente. La cronologia delle mummie è stata determinata sulla base di datazioni del XIV sec. e documenti museali. Le mummie risalgono prevalentemente al periodo tolemaico (332–30 a.C.) e al periodo romano (30 a.C.–395 d.C.) (secondo Shaw (2003)). L’età stimata alla morte dei bambini variava da circa un anno all’età di 12-14 anni (media 4,8 anni). Dodici bambini sono stati valutati come maschi, sette come femmine e in due il sesso era indeterminato.
Nella mummia di un bambino di età compresa tra i nove e gli undici anni (periodo tolemaico-romano), la TC indicava sinusite purulenta come evidenziato da masse essiccate, specialmente nelle parti basali di entrambi i seni mascellari”.
Nella mummia di una bambina di un’età compresa tra i due anni e mezzo e i quattro anni (I-II secolo d.C.), le indagini diagnostiche hanno permesso di portare alla luce un elemento simile ad una benda nella parte inferiore della gamba sinistra “che molto probabilmente rappresenta una medicazione di una lesione cutanea”.
La benda, come indica il pus evidenziato durante l’indagine, era stata utilizzata per curare una ferita purulenta.
Al di sotto del bendaggio, masse iperdense confluenti si espandevano all’interno dei tessuti molli adiacenti posteriormente e a sinistra. La parte inferiore della gamba sinistra è notevolmente gonfia. Resti di muscoli rimpiccioliti sono visibili su entrambi i lati dorsali alla tibia.
Questo studio sembra essere il primo a notare fisicamente una bendatura terapeutica antica su un corpo che poi sarebbe stato mummificato. “Tale trattamento terapeutico era riportato nell’Edwin Smith Papyrus, un testo medico e un trattato sui traumi dell’antico Egitto (1650–1550 a.C. circa). – dicono gli studiosi – Il caso 41 descrive un’infezione di una ferita: “Uno che ha un’infezione in una ferita al petto, che è infiammata-calda/infetta e per questo è febbrile”. La ferita è descritta come rimasta aperta, molto infiammata e gonfia, calda, rossa e con una secrezione oleosa. Questa descrizione dimostra il riconoscimento da parte degli antichi egizi di tre dei quattro segni cardinali di infiammazione, definiti in seguito da Celso (ca. 25 a.C.–50 d.C.) come “tumor, rubor, calor, dolor” (Sanchez e Meltzer, 2012 ; Celso).
L’antico medico egizio raccomandava “rimedi rinfrescanti per estrarre il calore dalla bocca della ferita”, “un rimedio per asciugare la ferita” compreso il sale di natron ed una polvere, tutti applicati con una benda sulla ferita. “Se lo stesso si verifica in qualsiasi parte del corpo” il medico raccomandava di “trattarlo secondo queste istruzioni” (Sanchez e Meltzer, 2012)”. L’aspetto relativamente denso della medicazione apparsa sulla benda della bambina potrebbe suggerire la presenza di natron.
Il natron (carbonato decaidrato di sodio) è un minerale che deriva il suo nome dalla parola egizia del sale “n?ry”, che significa puro, divino. Il simbolo del sodio (Na) deriva dal nome latino del natrium. Il nome latino natrium deriva poi dal greco nítron, che a sua volta derivava dal nome egizio. Questo sale aveva poteri essiccativi sui tessuti della pelle e disinfettanti. Veniva estratto dal Wadi el-Natrun, un lago quasi asciutto in Egitto che conteneva elevate quantità di carbonato di sodio (Na2CO3).
Tra gli altri risultati dell’indagine, va segnalato il ritrovamento, nella mummia di un bambino di due o tre anni (I-II secolo d.C.,), di un livello elevato di liquido essiccato nella capsula allargata dell’anca destra (HU ca. 187), che molto probabilmente indica pus essiccato nell’artrite settica.
L’artrite settica è una grave infiammazione articolare causata da un agente infettivo (batterio, virus o fungo) che nasce al di fuori dell’articolazione e che raggiunge la stessa articolazione in un secondo tempo. In molti casi il germe responsabile è uno stafilococco (Staphylococcus aureus). E’ inutile dire che oggi, questi bambini sarebbero stati salvati grazie all’uso di antibiotici.

Fonte: www.stilearte.it, 18 gen 2022

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