Scoperto per caso durante un progetto di infrastrutture urbane, il mosaico di Haleplibahçe è stato recuperato nel 2005 in uno scavo finanziato dal Museo di Şanliurfa. È uno dei più bei mosaici proveniente dall’est.
L’Anatolia non è soltanto una produttrice di beni di prima qualità come formaggio, burro, olio d’oliva, ma è anche la culla dell’arte del mosaico.
In questa arte decorativa, piccoli pezzetti di materiali come pietre colorate, marmi, vetro e creta vengono disposti uno affianco all’altro su una base di calcina impermeabile, formando disegni che raffigurano motivi geometrici, floreali e figurativi. I pannelli, risalenti al 3400 a.C., formati da tasselli di creta su un muro di Hassek Höyük vicino Siverek, possono essere considerati la prima prova significativa delle origini dell’arte del mosaico in Anatolia. Oltre all’esemplare di Hassek Höyük, i primi mosaici nel vero senso del termine sono stati rinvenuti a Gordion, capitale del regno di Phrygian (Yassihöyük). Questa composizione di sassolini rossi, blu, gialli e bianchi del pavimento di un megaron, che fungeva da tempio nell’XVIII secolo a.C., sembra un tappeto, che rappresenta probabilmente la logica della nascita dei mosaici. I più importanti esemplari dell’arte del mosaico risalgono al periodo romano, subendo un ulteriore sviluppo nel periodo ellenico.
UNA COINCIDENZA FORTUNATA
I mosaici di Haleplibahçe, scoperti per caso durante un progetto di infrastrutture urbane e in seguito recuperati in uno scavo dal Museo di Şanliurfa, sono uno dei più bei esemplari del mondo orientale. Grazie al gran numero di mosaici nelle regioni egee e mediterranee, l’arte del mosaico era considerata la dimostrazione della superiorità del gusto estetico occidentale. Ma i bellissimi mosaici che sono stati ritrovati oggi nel bacino dell’Eufrate, in prossimità di Zeugma (vicino Nizip) e di Haleplibahçe, dimostrano che l’arte del mosaico fa parte sia della cultura orientale che di quella occidentale. A Zeugma, per esempio, luogo di confine sulle sponde dell’Eufrate, sono stati ritrovati esemplari di una bellezza perfino superiore a quella dei mosaici delle ville romane, note come case terrazze nell’antica città di Efeso. La spiegazione è senza dubbio dovuta alla ricchezza di questa regione apportata dal commercio.
L’AVVENTURA ORIENTALE DELLE REGINE AMAZZONI
L’aspetto più affascinante dei mosaici di Haleplibahçe, un esemplare di alto livello, raffinato e di gran gusto, formato da tessere colorate piccolissime, è la straordinaria raffigurazione delle guerriere amazzoni dellea mitologia greca. Si racconta che le leggendarie donne guerriere avessero vissuto sotto il governo della loro regina nella città di Terme (Themiskyria), vicino al fiume Thermodon sulle rive del Mar Nero. Le Amazzoni furono sconfitte durante una battaglia contro i greci, come riporta Erodoto. I Greci fecero vela sui Pontos Euxeinos o sul Mar Nero, portando le Amazzoni catturate su tre navi. Ma le Amazzoni organizzarono subito una rivolta e gli strapparono il controllo delle navi. Le donne uccisero i greci e gettarono in mare i corpi; poi, non essendo esperte dell’arte della navigazione, finirono in mare aperto, sbarcando probabilmente sulle coste dell’attuale Russia meridionale, dove incontrarono e si unirono con gli Sciti. Questa storia, raccontata da Erodoto, è la chiara dimostrazione di un probabile legame tra gli Sciti e le Amazzoni. Gli Sciti, uno dei più potenti gruppi nomadi euroasiatici di guerrieri a cavallo, arrivarono in Anatolia insieme alle proprie famiglie agli inizi del VII secolo a.C., sconvolgendo gli equilibri politici ed economici. Le donne di queste famiglie erano esperte di armi e di guerra. Così le Amazzoni, che Erodoto descrive e identifica con altre donne, non erano altro che le donne scite che respingevano i Greci mentre i loro uomini erano in guerra.
LA STORIA DEI MOSAICI
Nel mosaico di Haleplibahçe sono rappresentate quattro regine amazzoni, tre delle quali famose anche nella tradizione greca. Le Amazzoni, di solito raffigurate in scene di guerra nell’arte antica, qui sono ritratte in una scena di caccia, una caratteristica che contraddistingue questo mosaico. Le quattro regine amazzoni sono rappresentate nel mosaico separatamente, ognuna mentre sta cacciando. Ogni regina è ritratta in un angolo del mosaico: due cacciano a cavallo e altre due a piedi. In alto a sinistra c’è la figlia di Ares, la Regina Ippolita. Mentre affonda la spada nel collo di un leopardo, un cane da caccia sta attaccando un leopardo e un altro uno struzzo con le ali aperte. L’espressione di dolore sul volto insanguinato del leopardo è straordinaria. Il leopardo in questa scena di caccia è un simbolo radicato nell’arte anatolica fin dall’antichità, e gli animali affianco al trono della Dea Madre di Çatalhöyük non sono altro che leopardi. Sotto Ippolita c’è Melanippa a cavallo che sta cacciando un leone, affondadogli nel petto la sua mazza da guerra. Scene di caccia simili sono raffigurate in Anatolia su stellae, sarcofagi e ceramiche, a partire dal VI secolo a.C. La regina amazzone, che si crede sia Antiope, nell’angolo in alto a destra, sta combattendo con una belva feroce di identità incerta, con in mano un’ascia a doppia lama nota come “labrys”. Un’altra amazzone è raffigurata con un arco teso e una freccia. Non si sa quale animale stia cacciando, poiché questa parte del mosaico non è stata ancora scoperta. L’immagine di una pernice in questa scena di guerra, appoggiata su una pietra, con la zampa sospesa a mezzaria e la testa girata, ci stupisce per la sua naturalezza, quasi come se stesse prendendo il volo. L’immagine della pernice in questo mosaico, raffigurata anche su ceramiche dell’età del ferro nell’Anatolia centrale a partire dal VI secolo a.C., è una costante dell’arte rappresentativa anatolica. L’immagine di una ragazza mascherata, soprannominata dalla gente del posto “La Bellezza di Edessa”, che appare ai margini del mosaico, è degna di nota per l’innocenza del suo volto. Altre parti ai margini del mosaico comprendono un cane, un cervo e un’anatra insieme a due fiori di loto e da un Eros senza ali.
NON LONTANO DA BALIKLIGÖL
Scoprire a quale struttura architettonica appartiene il mosaico di Haleplibahçe è essenziale per datare e valutare il mosaico stesso. Gli scavi archeologici nell’area dove i mosaici sono stati localizzati, non lontana dalla storica Balikligöl, culmineranno probabilmente nella scoperta di una seconda Zeugma nel Bacino dell’Eufrate.
L’area in cui è stato ritrovato il mosaico è importante anche perché è la prova più antica del tessuto e delle dimensioni dell’antica città di Edessa, che oggi si trova nella moderna città di Şanliurfa. Edessa fu fondata nel 303/302 a.C. dalla dinastia dei Seleucidi. Quando l’egemonia della dinastia nella regione diminuì, gli Aramaici fondarono nel 132 a.C. un regno chiamato Osroene a Edessa, e la città in seguito divenne un punto cruciale per i Romani durante i continui conflitti con i Parti e i Persiani.
Il mosaico di Haleplibahçe, risalente più o meno tra il III e il V secolo, non è solo l’esemplare più antico tra i mosaici rinvenuti a Edessa, ma rivela anche il livello di prosperità della città in quel periodo e la flora e la fauna dell’area circostante.