Un’abitazione carbonizzata, i resti di un gatto domestico di 4 mila anni fa (più unico che raro per un sito archeologico dell’Età del Bronzo) e l’esistenza di un «culto delle acque» che dice molto sulla misteriosa cultura delle palafitte del Garda.
Queste solo alcune delle sensazionali scoperte al Lavagnone a Desenzano, sito Unesco e Patrimonio culturale dell’umanità.
Dopo due anni è tornata la campagna scavi: sul campo una decina di studenti della Statale di Milano guidati dalla dottoressa Marta Rapi grazie alla concessione ministeriale e ai fondi di Ateneo e Regione. È la torba nera sedimentata la cassaforte che custodisce e che scavata restituisce i preziosi reperti, utili non solo per essere esposti nei musei ma soprattutto a ricostruire la vita degli antenati gardesani.
Il sito è tra i più importanti d’Italia perché copre su 6 ettari l’intero periodo del Bronzo (tra 2000 e 1200 A.c.) lungo le rive dello stagno esteso verso Lonato. Le palafitte erano costruite su pali a sostegno di una base in legno e per questo soggette ad incendi: proprio in questi giorni i lavori sono concentrati su una palafitta distrutta dalle fiamme con i pali carbonizzati. «Anche allora esistevano problemi di sostenibilità ambientale – ha spiegato Marta Rapi -. All’inizio del periodo del bronzo i pali ritrovati appartengono a grosse querce, poi diventano sempre più esili o sezionate, conseguenza del disboscamento».
I palafitticoli erano coltivatori, vestivano con tessuti in lino e lana, allevavano capre, pecore e maiali e convivevano con animali domestici: sorprendente la recente scoperta dei resti di un gatto, probabilmente da compagnia perché ritrovato tra la fauna domestica.
«Questo sito è una fotografia intatta perché dopo l’età del Bronzo non vi è stato più alcun popolamento – spiega la dottoressa Rapi -. Sono ancora ignote le pratiche funerarie: iniziamo ad avere prove di inumazioni crematorie, ma restano da comprendere molti aspetti culturali».
Per questo la pratica votiva con i segni di un «culto delle acque», scoperta in un’area precisa dello stagno ha un valore immenso: i reperti trovati in questa zona, è la scoperta, non erano oggetti caduti o persi per caso, ma un modo per «omaggiare» l’acqua in un culto ancora tutto da scoprire. Pugnali, spade, ma anche il giogo e la piroga (sezionata volutamente) erano proprio in questa area dei doni votivi: quest’ultime verranno esposte al museo Rambotti entro la fine dell’anno.
Intanto i giovani studenti lavorano duro, dalle 7,30 al tramonto per 4 settimane: da Selene a Elena che hanno scritto la loro tesi sul Lavagnone, a Maddalena (specializzanda in antropologia) e Lorenzo per la prima volta sul sito desenzanese, perché qui i reperti da indagare sembrano davvero essere infiniti.
Fonte: www.bresciaoggi.it, 10 lug 2021