E’ stato definito il più importante ritrovamento etrusco di questo secolo. E in effetti, l’annuncio ufficiale della scoperta della “Tabula Cortonensis“, una tavola bronzea incisa in etrusco su entrambe le facce, ha fatto scalpore. Per l’enorme valore archeologico, anzitutto, dato che è uno dei pochissimi reperti in lingua etrusca di cui siamo in possesso, particolarmente lungo (con le sue 206 parole è il terzo in assoluto per lunghezza e il più esteso ritrovato negli ultimi cento anni) e per di più molto raro anche nel contenuto, poiché si tratta di un rarissimo documento giuridico, risalente al periodo tra la fine del III e l’inizio del II secolo avanti Cristo.
Ma anche perché la Tabula rappresenta un giallo nel giallo, che all’enigma della lingua etrusca – sulla traduzione ieri sono scoppiate le polemiche – aggiunge il mistero della sua origine e delle vicende che l’hanno condotta fino a noi. Un mistero su cui gli archeologi sperano ancora di riuscire a far luce, come è stato sottolineato nuovamente ieri nel corso della presentazione del primo studio completo del reperto, pubblicato dall’editrice specializzata “L’Erma” di Bretschneider.
La Tabula non è intera: molti secoli fa, sicuramente già prima dell’alto medioevo, fu spezzata intenzionalmente in otto parti, per ragioni sconosciute. Ma i frammenti recuperati sono solo sette, mentre l’ottava tessera è scomparsa. I sette frammenti furono consegnati nell’ottobre del 1992 a una stazione dei carabinieri assieme ad altri oggetti da un operaio che disse di averli ritrovati in un cantiere edile dove stava lavorando, nei pressi di Cortona. Ma le circostanze (“notavo una parte metallica affiorante dal terreno” recita il verbale dei carabinieri) e il luogo del ritrovamento risultarono così poco convincenti che l’operaio finì sotto processo, conclusosi con l’assoluzione.
Francesco Nicosia, che all’epoca della scoperta era sovrintendente archeologico della Toscana, e ha firmato con il glottologo Luciano Agostiniani lo studio della Tabula, non ha dubbi. I frammenti non vengono da quel cantiere, dove non c’era nulla di archeologicamente interessante, e la cui terra non corrisponde alle incrostazioni ritrovate sul reperto. Erano stati conservati altrove, ed erano stati trattati con una certa cura. Qualcuno aveva addirittura pensato a ripulirli: la tavola reca i segni inequivocabili di una spazzola metallica, forse d’acciaio. Come se non bastasse, Nicosia racconta, e riporta nel suo libro, la strana storia di una trascrizione del testo della Tabula, riguardante solo le parti ritrovate, che “girava” nell’ambiente archeologico.
Anche di questa trascrizione si sa pochissimo. Non è mai arrivata alla magistratura che indagava sul ritrovamento, ma chi l’ha vista riferisce che era molto infedele. Tuttavia, poiché lo studio dell’etrusco non è una disciplina particolarmente diffusa, è difficile non pensare che i sette frammenti abbiano trascorso un po’ di tempo tra le mani di qualcuno che di antichità se ne intendeva. Ma chi sia, per quanto tempo li abbia avuti e soprattutto da dove li abbia presi rimane un mistero, come misteriosa è la sorte del frammento mancante, che potrebbe essere finito nel mercato nero antiquario.
Inutilmente: perché con un paziente e puntiglioso lavoro di analisi e di ricostruzione, Nicosia e Agostiniani sono riusciti a ricomporre tutto il puzzle della Tabula, e se l’ultima tessera è mancante se ne conosce però il contenuto. Quindi, è impossibile venderla, e chi ne è in possesso non può farsene un bel nulla. Servirebbe molto, invece, agli studiosi, che vorrebbero soprattutto riuscire a individuare il luogo esatto di provenienza dell’oggetto, per capirne esattamente il significato e collocarla correttamente nel suo contesto storico. Che potrebbe essere particolarmente rilevante. La Tabula Cortonensis, infatti, per quanto è stato possibile tradurla (non molto: si conoscono solo 300 vocaboli etruschi), appare come la registrazione di una transazione tra alcuni personaggi (il testo nomina 34 persone diverse), alcuni presumibilmente altolocati, altri di ceto sociale inferiore, riguardante dei terreni, uno dei quali relativo al lago Trasimeno.
E sia la zona che la datazione del documento fanno pensare a un periodo molto particolare della storia d’Italia, quando, in seguito alla calata di Annibale, l’Etruria fu turbata da movimenti di rivolta, in seguito ai quali, dicono gli storici, l’aristocrazia latifondista ritenne prudente trasformare alcune delle strutture terriere. Si parla della nascita di piccole fattorie a conduzione familiare e di ceti subalterni che ottengono improvvisamente l’accesso alla terra: una generale riorganizzazione della proprietà terriera di cui la Tabula sarebbe la testimonianza concreta.
Sono molti, quindi, gli interrogativi che circondano i sette frammenti di bronzo e le 206 parole profondamente incise su di esse. A studiarle penseranno gli etruscologi, per i quali la Tabula, malgrado i suoi misteri, rappresenta un preziosissimo contributo.
Autore: Fabio Rossi
Fonte: Gruppo Italiano Amici degli Etruschi, facebook.com, 23 gen 2021