Doveva essere un grande personaggio per avere una sepoltura così monumentale. Lo pensavano da almeno un anno gli archeologi dell’Università di Bologna, prima di riportare alla luce ciò che la terra ha nascosto per 2.600 anni: la tomba di un “principe guerriero”, uno dei leader del suo popolo, i Piceni. Nella fossa del corredo i simboli della sua potenza e ricchezza: un carro, il suo elmo, vasellame in quantità.
Siamo nella piccola valle del Nevola, nel comune di Corinaldo, in provincia di Ancona. A nord e sud le due valli più importanti dove in epoca romana sorsero le città di Suasa e Ostra antica. Anche per questo, una sepoltura così maestosa qui è stata una sorpresa: “Si tratta di una delle tombe più grandi mai ritrovate dopo quella della regina picena di Sirolo – spiega Federica Boschi, docente di Geofisica applicata all’archeologia e direttrice dello scavo – ed è la sepoltura più a nord di questo tipo così monumentale. Supponiamo che sia un maschio, visto l’elmo, lo schiniere e il carro. Probabilmente era il capo della comunità locale, secondo una struttura oligarchica gentilizia propria di questo popolo dai cui vertici non erano escluse le donne”.
Siamo quasi al confine settentrionale dell’area abitata dai Piceni, prima dei Romani, che comprendeva le Marche e parte dell’Abruzzo.
Secondo la prima ricostruzione degli archeologi, la tomba doveva presentarsi come un tumulo, una collinetta di terra di circa 30 metri di diametro, alta forse qualche metro e circondata da un fossato. All’interno doveva essere sepolto il corpo e, al di sotto, la fossa che conteneva il corredo: “La camera con i resti umani non si è conservata purtroppo. Forse era stata portata via già dagli aratri tardo Romani o medievali – continua Boschi – ma abbiamo rinvenuto alcuni frammenti di osso nella fossa con il corredo, il Dna antico sarà analizzato per capire se appartiene a chi era stato sepolto qui”.
Dentro alla fossa il ‘tesoro’. Nessun gioiello o manufatto prezioso tra i cocci affastellati delle ceramiche frantumante dal tempo, ma tutti i segni del potere che ne rivelavano la posizione: “Le ruote in ferro del suo carro (una specie di biga ndr) il suo elmo e una serie di spiedi per la carne – riprende Boschi – e poi il vasellame con decorazioni geometriche tipiche della cultura picena del VII secolo avanti Cristo. Ma anche alcune ceramiche che non sono sicuramente originarie di qui, quindi sono state importate”.
Immaginiamo il corteo funebre che porta alla necropoli. Davanti a tutta la comunità sfilano i membri della famiglia dominante, i parenti e gli eredi che ne prenderanno il posto al vertice. Sfila il carro con l’elmo e lo schiniere. In processione vengono portati gli spiedi per le libagioni, i vasi da deporre: “Tra le ceramiche abbiamo trovato vasi di importazione, non piceni – sottolinea Michele Scalici del Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna (Disci) – tra i quali spicca una grande olla daunia, che viene dalla attuale Puglia, e testimonia una rete di scambi e di relazioni anche transmarine”.
“Era un personaggio di rango indiscutibile all’interno di un sistema molto aristocratico, poteva permettersi anche di importare merce – continua la direttrice dello scavo – la sua era una leadership politica, militare ed economica. Trovare qui questi vasi ci dice che probabilmente questa piccola valle poteva essere una via di percorrenza privilegiata sia con la costa e anche con l’entroterra, fin dall’età pre-protostorica. In epoca romana si è spostato tutto nelle valli principali dove sorgevano Suasa e Ostra”.
All’apertura del cantiere, nel luglio 2018, gli studiosi del Disci sapevano già cosa cercare perché quella tomba l’avevano già vista da lontano l’anno precedente usando tecniche non invasive e all’avanguardia per scrutare il sottosuolo: “Dalle foto aree si vedeva una traccia circolare di colore diverso sull’erba. Abbiamo pensato subito al fossato di una tomba picena, perché in questa zona delle Marche è nota la loro presenza” racconta Boschi. Le prospezioni geomagnetiche e geoelettriche al suolo hanno dato conferma. Come una radiografia, individuando anche la presenza di materiali in alcuni punti nel sottosuolo. Il segreto è stato mantenuto per tutti questi mesi, anche e soprattutto durante la campagna di scavo, per evitare che tombaroli durante la notte distruggessero tutto in cerca di oggetti preziosi che non avrebbero trovato.
Così a luglio, in questo campo dove dovrà sorgere un palazzetto dello sport, una ventina di studenti, dottorandi e ricercatori hanno riportato delicatamente alla luce i fasti di un principe che per noi resterà probabilmente senza nome, perché vissuto in epoca protostorica ed è rarissimo trovare qualche iscrizione. Lo scavo fa parte del progetto ArcheoNevola, una collaborazione tra il Disci di Bologna, il Comune di Corinaldo, la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle Marche, il consorzio Città romana di Suasa e la Fondazione Flaminia di Ravenna.
A lavorare gomito a gomito accanto agli archeologi, Federica Boschi ha voluto una squadra di restauratori della laurea magistrale di in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali di Ravenna, per raccoglier e preservare integri i delicati pezzi di questo puzzle: “Si tratta di un approccio avanzato dal punto di vista scientifico che si è reso necessario perché è un contesto molto delicato e abbiamo dovuto pianificare tutto con molta cura”.
Autore: Matteo Marini
Fonte: www.repubblica.it, 16 lug 2018