Aprirà al pubblico nei weekend di primavera e dell’estate – l’appuntamento clou sarà nei giorni di Pasqua e Pasquetta, 24 e 25 aprile – con notevoli novità archeologiche.
È il Castello Baradello, che si rivela patrimonio di Como fin dall’epoca altomedievale o tardoantica e non solo legato al Barbarossa. E che cela ancora misteri. Tra cui l’ipotesi, da confermare, di una muraglia che univa il colle che domina il capoluogo e la città.
Doveva scendere fra il “Ginöcc” (San Martino “in Silvis”) e San Carpoforo per poi proseguire fino alla fortezza situata di fronte al Baradello nell’area circostante l’ex ospedale San Martino. Formando così quel baluardo ininterrotto a difesa di Como che secondo alcuni studiosi farebbe ipotizzare un passo dello storico latino Cassiodoro.
Il tutto è citato anche in una testimonianza di Benedetto Giovio nella sua Storia Patria del 1527 ma non ha ancora trovato riscontri oggettivi.
Ieri pomeriggio gli archeologi lariani Lanfredo Castelletti e Isabella Nobile hanno illustrato nel corso di una conferenza al Museo Archeologico Paolo Giovio in piazza Medaglie d’Oro a Como i primi risultati di una campagna di scavi e ricerche in corso dal 2008 (con l’apporto di studenti e laureandi e il sostegno della Regione e della Fondazione per la comunità comasca). Campagna che dopo una pausa nel 2011 per fare il punto sui materiali raccolti dovrebbe proseguire nei prossimi anni.
Quello che è ritenuto la “sentinella di Como”, di proprietà comunale e con gestione a cura del Parco Spina Verde, è l’emblema della città per motivi geografici e storici. È la presenza più immediatamente percettibile sui rilievi circostanti ma è anche il luogo di riferimento per la storia medievale nonché teatro di scontri fra patrioti e austriaci durante il Risorgimento.
Quello che è emerso, e che sarà presto visibile, libero da vegetazione e con una cartellonistica rinnovata, completa un’offerta archeologica importante per la città, che di recente ha valorizzato le antiche terme romane in viale Lecco. Sul Baradello gli scavi avviati dal Museo Giovio nel 2008 si sono svolti con il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Padova e l’Associazione Ricerche e Fortificazioni Altomedievali, integrati da ricerche di superficie con elaborazioni di riprese aeree e satellitari.
Il dato più importante è la datazione. Si è confermata la presenza di un castello precedente a quello ricostruito dal Barbarossa nel XII secolo, che dovrebbe risalire al VI secolo d.C. Lo hanno rivelato gli studi sul poderoso muraglione scoperto, integro e libero da sovrapposizioni che avrebbero compromesso l’indagine stratigrafica, nei pressi dell’attuale parco delle Rimembranze.
La scienza è stata decisiva per la datazione. Il dipartimento di Chimica dell’Università dell’Insubria ha studiato le malte delle murature per stabilirne le diverse fasi di edificazione. E a conferma arriveranno presto i dati dell’indagine a cura del Centro di Datazioni dell’Università Bicocca che calcola il carbonio 14 proveniente dall’anidride carbonica intrappolata nelle malte stesse. Chiamate peraltro a legare materiali spesso provenienti da altri edifici (conci e laterizi) e pietre di Moltrasio.
L’Università di Padova ha elaborato una serie di aerofotografie a partire da quelle della Raf del 1944, fino a immagini satellitari e a quelle Lidar (Light Detection and Ranging) e Radar. Una sorta di “radiografia” che rivela ulteriori presenze tutte da studiare. E promette future e interessanti scoperte nell’area che circonda il castello.
È il Castello Baradello, che si rivela patrimonio di Como fin dall’epoca altomedievale o tardoantica e non solo legato al Barbarossa. E che cela ancora misteri. Tra cui l’ipotesi, da confermare, di una muraglia che univa il colle che domina il capoluogo e la città.
Doveva scendere fra il “Ginöcc” (San Martino “in Silvis”) e San Carpoforo per poi proseguire fino alla fortezza situata di fronte al Baradello nell’area circostante l’ex ospedale San Martino. Formando così quel baluardo ininterrotto a difesa di Como che secondo alcuni studiosi farebbe ipotizzare un passo dello storico latino Cassiodoro.
Il tutto è citato anche in una testimonianza di Benedetto Giovio nella sua Storia Patria del 1527 ma non ha ancora trovato riscontri oggettivi.
Ieri pomeriggio gli archeologi lariani Lanfredo Castelletti e Isabella Nobile hanno illustrato nel corso di una conferenza al Museo Archeologico Paolo Giovio in piazza Medaglie d’Oro a Como i primi risultati di una campagna di scavi e ricerche in corso dal 2008 (con l’apporto di studenti e laureandi e il sostegno della Regione e della Fondazione per la comunità comasca). Campagna che dopo una pausa nel 2011 per fare il punto sui materiali raccolti dovrebbe proseguire nei prossimi anni.
Quello che è ritenuto la “sentinella di Como”, di proprietà comunale e con gestione a cura del Parco Spina Verde, è l’emblema della città per motivi geografici e storici. È la presenza più immediatamente percettibile sui rilievi circostanti ma è anche il luogo di riferimento per la storia medievale nonché teatro di scontri fra patrioti e austriaci durante il Risorgimento.
Quello che è emerso, e che sarà presto visibile, libero da vegetazione e con una cartellonistica rinnovata, completa un’offerta archeologica importante per la città, che di recente ha valorizzato le antiche terme romane in viale Lecco. Sul Baradello gli scavi avviati dal Museo Giovio nel 2008 si sono svolti con il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Padova e l’Associazione Ricerche e Fortificazioni Altomedievali, integrati da ricerche di superficie con elaborazioni di riprese aeree e satellitari.
Il dato più importante è la datazione. Si è confermata la presenza di un castello precedente a quello ricostruito dal Barbarossa nel XII secolo, che dovrebbe risalire al VI secolo d.C. Lo hanno rivelato gli studi sul poderoso muraglione scoperto, integro e libero da sovrapposizioni che avrebbero compromesso l’indagine stratigrafica, nei pressi dell’attuale parco delle Rimembranze.
La scienza è stata decisiva per la datazione. Il dipartimento di Chimica dell’Università dell’Insubria ha studiato le malte delle murature per stabilirne le diverse fasi di edificazione. E a conferma arriveranno presto i dati dell’indagine a cura del Centro di Datazioni dell’Università Bicocca che calcola il carbonio 14 proveniente dall’anidride carbonica intrappolata nelle malte stesse. Chiamate peraltro a legare materiali spesso provenienti da altri edifici (conci e laterizi) e pietre di Moltrasio.
L’Università di Padova ha elaborato una serie di aerofotografie a partire da quelle della Raf del 1944, fino a immagini satellitari e a quelle Lidar (Light Detection and Ranging) e Radar. Una sorta di “radiografia” che rivela ulteriori presenze tutte da studiare. E promette future e interessanti scoperte nell’area che circonda il castello.
Fonte: Corriere di Como.it, 26/02/2011