Risale al 1981 il rinvenimento, e di conseguenza, il primo intervento che servì per accertare la consistenza del ritrovamento, durante il quale l’imbarcazione fu liberata dall’acqua e dalla sabbia e recuperato il carico. Nel 1986 – ’87 s’intervenne nello scafo e furono rimossi il pagliolato, ma il guscio dell’imbarcazione rimase ancora in giacitura, sommersa dall’acqua di falda, per garantirne la conservazione.
Fu solo nel 1989 che si recuperò l’intera struttura ed allocata in un padiglione adiacente al museo, per il restauro ed il consolidamento, tale che, ancora oggi, non è visibile. Quello che si può vedere è il carico della nave che consiste in oggetti dalla diversa funzione e di grande interesse archeologico.
L’apertura del Museo del Carico della Nave Romana avvenne verso la fine di febbraio 2001 nel ristrutturato Palazzo delle Antiche Carceri del comune di Comacchio (FE).
L’imbarcazione fu rinvenuta nei pressi dell’antica città etrusca di Spina ed era una nave oneraria da trasporto, il cui carico è stato considerato tra i più completi fino ad ora ritrovati in Italia, databile all’ultimo quarto del I sec. a.C. Secondo alcune prime ipotesi, pare che la nave abbia stivato il suo carico nel porto di Classe, nei pressi di Ravenna, crocevia di diversi mercanti e prodotti provenienti da tutto l’impero romano. Oltre ad una produzione tipicamente italica, troviamo anche tronchi di legno di bosso, a quell’epoca già antiche di circa 500 anni, lingotti di piombo spagnolo ed anfore greche. All’epoca del naufragio, il luogo del ritrovamento era bagnato del mare che, unitamente alle acque del fiume, avevano causato lo spostamento della linea di costa in avanti, intrappolandone lo scafo. L’ipotesi più probabile del naufragio vuole che la nave, durante il suo tragitto e in un momento di sosta, sia stata sorpresa da una mareggiata, il che ha causato l’abissamento ed il conseguente insabbiamento nel giro di pochi giorni.
Il Museo è strutturato per temi, in due grandi sale.
Nella prima troviamo la grande ancora in ferro a sottolineare il tema centrale, il governo della nave, dove trovano spazio vetrine con oggetti ed attrezzi utilizzati dai marinai per la conduzione e la manutenzione, quali mazzuoli, pialla, accetta, in unione con utensile da cucina e strumenti legati alla cucina, alla vita di bordo e alle attività commerciali, come calzari, grembiuli di cuoio e strigili. Due modellini in scala dominano il centro della sala di cui uno riproduce la probabile struttura originaria, dalle ipotetiche dimensioni di 22,5 m. di lunghezza, 5,9 m. di larghezza e con un albero di 13, 7 m. di altezza. Il secondo evidenzia l’imbarcazione allo stato del suo ritrovamento: 20,3 m. di lunghezza per 5,3 m. di larghezza. Per la costruzione dello scafo ci si era avvalsi delle tecniche a cucitura e ad incastro. La cucitura è stata usata per la parte immersa e consiste, appunto, nell’unione delle varie tavole di legno di olmo e di quercia con corde di fibre vegetale, ricoperti da un tessuto di lana impeciato. Nella parte emersa le tavole erano unite per incastro e fermate da cavicchi e tasselli di legno, mentre l’esterno era reso impermeabile da uno stato di pece. L’imbarcazione era ad albero unico con vela quadrangolare e fondo particolarmente adatto alla navigazione in acque fluviali ed anche in mare aperto.
La seconda sala accoglie gli oggetti che erano i prodotti del commercio. L’imbarcazione trasportava oltre tre tonnellate di lingotti di piombo, tutti recanti marchi, incisi o a rilievo, e quello più ricorrente è “AGRIP” che compare in 166 esemplari. E’ il nome di Marco Vipsanio Agrippa, genero dell’imperatore Augusto e comandante delle legioni straniere stanziate in Spagna, il cui compito era quello di controllare la produzione, l’estrazione ed il commercio del piombo dalle miniere locali. Morì nel 12 a.C., di conseguenza la circolazione dei lingotti iberici non può essere successiva a questa datazione. Gli oggetti più pregiati del carico sono alcuni tempietti votivi, vere e proprie opere destinate alla vendita. Foggiati in lamina di piombo con decorazioni a stampo, sono stati riprodotti nei minimi particolari con colonnati, nella tipologia 5×3 colonne ioniche, attorno alla cella centrale, frontoni, porte apribili, finestre, acroterii, ed avevano le immagini delle divinità. Uno, di foggia molto semplice e privo del colonnato e del frontone posteriore, accoglieva Mercurio, il cui nome deriva dal latino MERX (mercanzia) e MERCARI (trafficare), quindi una divinità che presidiava al commercio. Un secondo, all’interno della cella, riproduce Venere con un braccio appoggiato all’erma di Priamo e ricorda molto da vicino la “Venere in bikini” da Pompei conservata nel gabinetto segreto del Museo Archeologico di Napoli. Di fronte alla porta a doppio battente di tale tempietto, sul podio, Erote. Inoltre, sono presenti una gran quantità di terre sigillate di produzione nord – italica. E’ una ceramica da mensa con raffinate decorazioni floreali a rilievo dove compaiono i nomi dei più famoso ceramisti operanti in ambito padano, quali ACO, ma anche L. SARIUS L. L. SURUS, così come si legge nella carena dell’esemplare più interessante. Alcuni bicchieri, a fascia bombata, presentano la caratteristica decorazione KOMMARGEN (“pioggia di virgole”). Tutti oggetti databili tra il I sec. a.C ed il I sec. d.C. Testimoniata da pochi esemplari è, invece, la ceramica a vernice nera del I sec. d.C.
L’imbarcazione trasportava anche anfore da trasporto, qui presenti nella tipologia di Chios, Cnido, Cos ed italica. Tutti presentano tituli picti o tituli grafi, cioè iscrizioni eseguite a pennello o graffite, che indicavano il contenuto, il peso e la provenienza.
Info: 0533311316
Orari di visita: tutti i giorni, esluso il lunedì, dalle 10,00 alle 13,00 e dalle 15,00 alle 19,00.
Ingresso a pagamento.
Mail: fortunamaris@comune.comacchio.fe.it
Fonte: Redazione
Autore: Fabrizio Castaldini
Cronologia: Arch. Romana
Link: http://www.comune.comacchio.fe.it