Le grotte dell’altopiano di Pradis di Clauzetto continuano a restituire testimonianze lontane nel tempo, risalenti sino a tredicimila anni fa. Un nuovo importante studio appena pubblicato dai ricercatori del Muse – Museo delle scienze e dai loro collaboratori sulla prestigiosa rivista Scientific reports, svela le tecniche di caccia paleolitiche adottate dai nostri progenitori sapiens che ricolonizzarono l’altopiano di Pradis, sulle Prealpi Carniche, dopo l’ultima grande glaciazione.
Tra le migliaia di reperti ossei analizzati (circa 12 mila), provenienti dalle famose Grotte di Pradis, sono state individuate ossa di marmotta alpina conservanti tracce lasciate da una serie di shock violenti derivanti dall’impatto di antiche frecce. Che le marmotte venissero sfruttate per la pelliccia, la carne e il grasso già nel passato più profondo era un fatto assodato e documentato da numerosi siti archeologici alpini. Tuttavia una serie di questioni non avevano ancora avuto risposta: come venivano cacciate? Tramite quali tecniche? Venivano utilizzate trappole o armi da lancio? E soprattutto, come dimostrarlo in modo scientifico?
Questi traumi sulle ossa, analizzati in alta microscopia all’interno dei laboratori del Muse e modellizzati in 3D dai colleghi dell’Università di Siena, hanno mostrato aspetto, forma e dimensioni coerenti con una serie di tracce e impatti prodotti sperimentalmente dai ricercatori durante delle sessioni di archeologia sperimentale. L’organizzazione di queste sessioni paleobalistiche, con l’utilizzo di riproduzioni di archi e frecce paleolitici, sono state necessarie per ricreare condizioni di caccia realistiche del tutto simili a quelle che con tutta probabilità dovevano esserci a Pradis circa 13 mila anni fa.
La ricerca è stata coordinata dal Museo delle Scienze di Trento, nelle figure di Rossella Duches, Nicola Nannini e Alex Fontana, in collaborazione con Marco Peresani del Dipartimento di Studi umanistici, sezione di Scienze preistoriche e antropologiche dell’Università di Ferrara e Francesco Boschin e Jacopo Crezzini del Dipartimento di Scienze fisiche, della terra e dell’ambiente dell’Università di Siena.
I reperti delle Grotte di Pradis, dove sin dagli anni Settanta furono avviati scavi che, dopo una lunga chiusura conseguente al terremoto del 1976, sono ripresi più recentemente, nel 2005, nella vicina grotta del Clusantin e, dal 2010, nella Grotta del Rio Secco (tali cavità sono affidate in concessione dal ministero dei Beni culturali e del turismo all’Università degli Studi di Ferrara) continuano dunque a fornire nuove informazioni, rappresentando un’evidenza eccezionale di caccia perpetuata dai gruppi nomadi di cacciatori-raccoglitori che sistematicamente ritornavano sull’altopiano durante la bella stagione per cacciare questa particolare risorsa.
Fonte: www.messaggeroveneto.gelocal.it, 13 giu 2020
Per vedere dal vivo (si fa per modo di dire) alcuni dei reperti di marmotta e punte di freccia basta visitare il Museo della Grotta.
Per ulteriori info visitare la pagina dell’Associazione Culturale Pradis o la pagina web http://grottedipradis.it/