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CIVITA CASTELLANA (Vt). I Falisci e l’agro falisco.

falisci

L’Ager Faliscus (agro falisco) è un’area geografica situata a nord di Roma, nella bassa Tuscia, ed è compresa tra i confini naturali del fiume Tevere, dei Monti Cimini e Sabatini, e dal Monte Soratte. Un territorio di straordinaria bellezza, dove, da secoli, la natura selvaggia si mescola alla storia, creando degli scenari davvero unici e mozzafiato. L’elemento naturalistico caratterizzante di questa area è la forra: dei veri e propri canyon ricoperti da una fitta vegetazione, scavati nel tempo dai numerosi corsi d’acqua che scorrono al loro interno.
falisciL’agro falisco deve il suo nome ad una antica civiltà che si stabilì in queste fertili terre per molti secoli: I FALISCI.
Nel passato,per moltissimi anni, gli studiosi non facevano alcuna distinzione tra la civiltà etrusca e quella falisca, e soltanto da degli studi abbastanza moderni, si sono andate a delineare alcune differenze tra queste due antiche, contemporanee e confinanti civiltà. L’aspetto che più di tutti li contraddistingue è sicuramente la lingua: nonostante i testi pervenutici non ammontano neanche a duecento (si tratta di epigrafi funerarie, incise su pareti di tufo o dipinte su tegoloni, e di iscrizioni vascolari, per lo più brevi, talvolta lacunose e di non agevole integrazione), questi rappresentano un corpus sufficiente per garantirci la conoscenza del Falisco.
falisciLa scrittura non ci è nota, come avviene per altre scritture antiche, da alfabetari, ma i segni, pur denunziando una derivazione etrusca, risultano nel loro insieme affini a quelli del latino. La lingua falisca risulta dunque come un dialetto dall’ossatura fonetica e morfologica del tipo latino, localizzato in terra di confine (linguistico). Quindi non un’entità a sé, senza relazioni, ma una “lingua” a contatto, aperta a contributi culturali diversi.
Non essendo possibile presentare un repertorio esauriente, mi limiterò alla citazione del testo più conosciuto: su una kylix a figure rosse, oggi conservata nel Museo Nazionale di Villa Giulia, è dipinta l’iscrizione “Foied vino pafo cra carefo” – Hodie vinum bibam, cras carebo ( = peribo?) a commento della figurazione erotica di due giovani (Bacco e Arianna?) che si baciano, la cui traduzione, secondo gli studiosi, starebbe a signficare “oggi berrò vino, domani non lo so”, praticamente una sorta di “carpe diem”.
falisciPer quanto riguarda le origini di questa antica popolazione, secondo una leggenda, Halesus (figlio di Agamennone e Briseide) fuggito dalla guerra di Troia, circumnavigò il Mediterraneo, risalì prima il Tevere e poi un suo affluente, il Treja, per poi stanziarsi su di un’altura posta ai margini di questo torrente: Vignale (oggi situato subito fuori il centro abitato di Civita Castellana, VT) e qui fondò il primo nucleo abitativo falisco. Verso la metà dell’VIII secolo, questo piccolo centro si estese molto, fino ad occupare il prossimo pianoro di Civita Castellana. Tale espansione trova precisi riscontri nella maggiore ampiezza dell’altura, circa 30 ettari di superficie, e nella munita posizione strategica. In realtà si tratta di un baluardo avanzato, isolato nei tre lati da strapiombi ed unito ad ovest al territorio retrostante da una breve lingua, che peraltro sembra essere stata interrotta fin dall’antichità con un taglio artificiale. Le altre città più importanti del territorio falisco erano Fescennium (probabilmente l’odierna Corchiano), Narce (presso l’odierna Calcata), Vignanello, Sutri e Nepet (l’attuale Nepi).
falisciIl periodo di maggiore floridezza è da collocarsi intorno ai secoli VI – IV a.C., quando Falerii Veteres divenne il centro principale dell’intero Ager Faliscus. Anche se l’impianto urbanistico e la topografia ci restano in gran parte sconosciuti per la successiva sovrapposizione del centro medievale e moderno di Civita Castellana, possiamo ben immaginare l’intensa opera che fu realizzata per il riassetto, il potenziamento e la fortificazione del sito.
I sistemi di approvvigionamento, conserva e smaltimento delle acque, le opere di fortificazione, il taglio di fossati artificiali, i resti di edifici templari, i bronzi e gli ori dei corredi funerari ci restituiscono, anche se incompleta, l’immagine di una civiltà evoluta, con una propria organizzazione socio-politica ed in possesso di conoscenze tecnico-scientifiche avanzate.
Inoltre la presenza di prodotti orientali e di vasi attici, importati dall’Ellade, indica un popolo aperto a scambi commerciali di vasto raggio.
Lo storico latino Strabone definisce, addirittura, questa antica civiltà, come una delle più affascinanti e misteriose nel ricco e frammentato quadro di culture tipico dell’Italia pre-romana…e proprio la “grandezza” di questo popolo attirò la campagna espansionistica romana.
falisciLe prime notizie di ostilità e di conflitti con Roma risalgono alla fine del V secolo. Le fonti storiche, tutte di parte romana, documentano la resistenza ad oltranza opposta dalla nazione falisca, per contrastare l’espansione della potenza di Roma nella valle del Tevere e verso l’Etruria. L’alleanza prima con Veio e con Fidene e poi con Tarquinia, in funzione antiromana e in difesa di interessi comuni, sta ad indicare l’esistenza di stretti rapporti politico-militari, ma non implica necessariamente l’esercizio di una egemonia da parte etrusca sul popolo falisco.
Le guerre sostenute contro Roma a difesa della propria indipendenza, a cominciare da quelle combattute a fianco di Veio, si risolsero in una serie di pesanti sconfitte. L’ultimo disperato tentativo che i Falisci fecero per scrollarsi di dosso il giogo dei Romani, ebbe luogo nel 241 a.C. con una rivolta prontamente repressa nel sangue. Il bilancio di questa disastrosa e vana guerra dei sei giorni è impressionante: da parte falisca si ebbero 15.000 morti. Le conseguenze le conosciamo dall’epitome dello storico bizantino Zonata: devastazioni con campi messi a ferro e a fuoco, sequestro di armi, cavalli, schiavi e masserizie, confisca di metà del territorio, distruzione di Falerii Veteres. I Romani, secondo un piano prestabilito, deportarono la popolazione superstite della città in un luogo pianeggiante a pochi chilometri più ad ovest, dove edificarono un nuovo centro, Falerii Novi (oggi Fàlleri), attraversato dalla Via Amerina. La struttura urbanistica adottata sembra essere stata quella propria delle colonie: un impianto ortogonale impostato sui due assi del cardo e del decumano, con i quali si intersecano a distanze regolari altre strade di minore ampiezza, realizzando così una pianta reticolare, che suddivide la città in isolati.
La poderosa cinta muraria, costruita con blocchi di tufo commessi ad emplecton, si sviluppa per un perimetro di poco superiore ai due chilometri e risulta per molti tratti ancora ben conservata. Nella cerchia si aprono alcune porte di varia grandezza; la più maestosa è quella di Giove, cosiddetta dalla testa di divinità che conclude l’arco a conci di peperino.
L’economia falisca era legata principalmente all’agricoltura e all’allevamento, soprattutto la coltivazione degli alberi da frutta e del lino, la viticoltura, l’allevamento dei buoi, degli ovini e dei caprini e l’apicoltura.
Non mancò peraltro l’attività artigianale legata alla ceramica con l’impianto di officine di alto livello qualitativo. Se l’arte di modellare la creta ha avuto un particolare sviluppo in Italia e in Etruria (elaboratam hanc artem Italiae et maxime Etruriae – Plinio, XXXV, 157), Falerii Veteres costituì uno dei centri più importanti di produzione.
Tra la fine dell’VIII e gli inizi del VII secolo predominano manufatti ad impasto rossastro o simile al bucchero con ornati plastici, graffici o decorati ad excisione: i grandi holmoi, usati per sostenere le olle per mescere il vino, i kantharoi.
Nei secoli successivi si affermano stili come quello orientalizzante protocorinzio e corinzio, e secondo alcuni studiosi ciò è dovuto ad una immigrazione di artisti greci a Falerii Veteres dopo la guerra del Peloponneso. Da quel momento in poi i prodotti che uscirono dalle botteghe falische (hydriai, kylikes, oinochoai, stamnoi, skyphoi, aryballoi, crateri a campana, crateri a colonnette) furono di pregevole fattura ed espressero una mirabile raffinatezza figurativa come ad esempio lo stamnos del pittore Diespater, l’oinochoe con l’Amazzonomachia e la morte di Atteone, il cratere nel quale è raffigurato Kephalos rapito da Aurora.
Per questa antica popolazione la religione ricopriva un ruolo fondamentale e tutta la loro esistenza ruotava intorno ad essa. Sulle divinità venerate dai Falisci, sui riti al loro culto connessi non abbiamo che notizie imprecise e controverse. Perciò, per tracciare un profilo, dobbiamo rifarci alle fonti letterarie e storiche, integrandole, dove possibile, con documenti epigrafici (menzioni di teonimi, dediche, invocazioni), archeologici (complessi templari, sacelli, are, ex voto), ed iconografici (statue, effigi).
Le iscrizioni, ad esempio, ci attestano il culto di Mercurio, di Cerere, di Libero, di Minerva. Sappiamo, inoltre, che un tempio a Minerva capta fu dedicato sul Celio, in seguito alla conquista di Falerii Veteres, verosimilmente dopo aver asportato dalla città un simulacro della dea. Un particolare culto doveva essere dedicato al dio Apollo: il suo nome figura nella forma aplografica Apolo, su una patera oggi perduta. Dal libro XI dell’Eneide (Aen. XI, 785) ricaviamo la solenne invocazione: “Summe deum, sancti custos Soractis Apollo”, che il commentatore Servio chiosa con la notizia relativa all’istituto sacerdotale degli Hirpi. A completamento interviene un passo di Plinio (NH, VII, 19), che riferisce un rito di pregnante significato magico-religioso: “Non lontano dalla città di Roma, vivono nell’Ager Faliscus alcuni gruppi familiari chiamati Hirpi. Costoro durante le celebrazioni annue in onore di Apollo, sul Monte Soratte, pur camminando a piedi scalzi sui carboni ardenti, non si bruciano e pertanto, in base ad una legge del Senato, sono esenti dal servizio militare e da altri obblighi”. Il santuario di Apollo sorgeva sulla vetta più alta del Soratte (691 mt.), sulle rovine del quale fu innalzata dopo il trionfo del Cristianesimo, una chiesa in onore del papa San silvestro, che, secondo la leggenda, si era lassù rifugiato, per sfuggire alle persecuzioni.
Molto probabilmente i Falisci veveneravano Giunone curite come divinità tutelare della loro città e gli indizi che rafforzano questa teoria sono molteplici: il poeta Ovidio appella gli abitanti della città “iunonicolasque Faliscos” (Fast. VI, 49); dal Liber Coloniarum sappiamo che probabilmente sull’area di Falerii Veteres fu dedotta una Colonia Iunonia assegnata dai triumviri; infine in una epigrafe del I sec. d.C. (CIL, XI, 3108) si menziona un pontifex sacrarius Iunonis Curitis, senza che però ne vengano specificate le funzioni cultuali. Forse il culto della dea e le sue presunte analogie con quello di Era Argiva contribuì a rinforzare la tradizione per cui Falerii era considerata una colonia di Argo.
Ma non solo, gli scavi archeologici effettuati nel 1886 nella Valle di Rio maggiore, in località Celle hanno portato alla luce le imponenti e massicce fondamenta di un edificio templare dedicato proprio a Iuno Curitis. La pianta di questa antica costruzione risulta conforme al consueto tempio di tipo tuscanico, descritto da Vitruvio, con tre celle ed un ampio portico frontale, ornato con materiale fittile. La frequentazione del santuario perdurò anche dopo la distruzione e il forzato abbandono di Falerii Veteres: pare che alcuni templi furono risparmiati dalla furia devastatrice delle legioni romane e non furono sottoposti a saccheggio. Ivi, se l’identificazione ha fondamento, si celebrava la solenne cerimonia annuale in onore della dea, di cui ci tramanda una descrizione minuziosa il poeta Ovidio durante un suo soggiorno nella “fruttifera terra falisca”, in compagnia della moglie che era appunto originaria del luogo (Amores, III, 13).
Il poeta, che ricorda un’”ara per antiquas facta sine arte manus”, potè assistere ad un rito solenne e vetusto, ad una pompa professionale carica di sacralità e di partecipazione. A questo culto le popolazioni falische rimasero fedeli a lungo, se Tertulliano, nel suo fervore contro gli “errores” dei pagani, cita, elencando i riti locali che ancora persistevano al suo tempo in Italia, quello di Giunone Curite (Faliscorum in honorem patris Curi set accepit cognomen Iuno – Apologet. 7,9). Un rapporto devozionale con la divinità si può desumere dal rinvenimento di ex voto (anche poliviscerali) entro i recinti templari o nelle stipi, mentre un particolare culto per i morti trova conferma nelle estese necropoli che circondano il centro abitato, nei ricchi corredi funerari, nelle varie forme di sepoltura, a cominciare dalle tombe a fossa a quelle monumentali a camera.

Autore: Dott. Luca Panichelli

Fonte: www.tesorinascostiagrofalisco.wordpress.com, 9 mar 2016

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