Viene finalmente restituito alla cittadinanza ed al pubblico, a più di cinquant’anni dalla scoperta il mosaico della Violella nel Museo Nazionale Etrusco di Chiusi.
Dopo decenni di deposito in magazzino, infatti, grazie al restauro condotto dall’Opificio, al progetto e all’impegno della direzione e del personale del museo il mosaico è tornato a Chiusi, dove il restauratore Alessandro Fonti ha curato la predisposizione degli allestimenti e, con la direzione scientifica di Giulia Basilissi, gli ultimi interventi di restauro necessari per la sua esposizione. I lavori sono stati resi possibili dal finanziamento del Bucerius Kunst Forum di Amburgo, nell’ambito di un accordo di prestito di uno dei reperti più prestigiosi del museo, il ritratto di Augusto velato capite, per la mostra Le nuove immagini di Augusto, e dal Gruppo Archeologico Città di Chiusi, che ha fornito un fondamentale supporto alle complesse operazioni di allestimento.
Il mosaico trova così collocazione nel percorso stabile del museo, su un’apposita piattaforma espositiva, all’interno della sezione romana. La sistemazione del grande pannello musivo, che misura m. 2,90 x 2,30, ha imposto il parziale riallestimento della sezione con un più razionale sfruttamento degli spazi, che ha consentito l’esposizione di nuovi reperti, anch’essi precedentemente conservati nei magazzini, nello specifico una base di statua onoraria con iscrizione di età romana del II secolo d.C., e degli elementi architettonici in terracotta, provenienti dal medesimo contesto di via della Violella, restaurati nel laboratorio del museo dal restauratore Giuseppe Venturini.
Il percorso che ha portato all’attuale esposizione è stato molto lungo ed articolato.
Nel 1967 durante i lavori di costruzione di un edificio di civile abitazione, sito in via della Violella a Chiusi, fu rinvenuto un consistente tratto dell’antico muro di cinta della città, datato al IV – III secolo a.C. e un edificio di età romana ad esso prossimo.
All’interno di quest’ultimo, tra aprile e maggio del 1969, venne portato in luce un mosaico di buona fattura, con scena dionisiaca e decorazioni geometriche, datato al II secolo d.C.
Nell’ottobre dello stesso anno l’Opificio delle Pietre Dure fu chiamato a eseguirne lo stacco, viste le cattive condizioni di conservazione. La rimozione del mosaico fu effettuata molto rapidamente e le sezioni furono messe su tela e pannelli di legno sottili e impilate le une sulle altre nel magazzino del Museo Nazionale Etrusco in attesa di restauro. Era prevista allora la ricollocazione in situ del mosaico, al termine della sistemazione dell’area, al fine di renderla fruibile da parte del pubblico e creare un percorso di visita. Sfortunatamente i fondi destinati al restauro e alla ricollocazione vennero a mancare e il progetto fu accantonato.
Il mosaico restò in magazzino incollato alle tele da strappo fino al 2015, quando venne trasportato all’Opificio delle Pietre Dure per il restauro e la ricollocazione su nuovo supporto. I lavori di restauro, diretti da Anna Patera e Monica Salvini, eseguiti tra il 2016 e il 2018, hanno preso avvio in occasione della tesi di Alessandro Fonti, allora studente presso la Scuola di Alta Formazione e di Studio (SAFS) dell’Opificio, e poi da lui proseguiti in collaborazione con i restauratori del Laboratorio di restauro di mosaico e commesso in pietra dura, Francesca Toso, Federica Cappelli e Luca Rocchi. Gli allievi del PFP1 della SAFS Philip Kron Morelli, Arianne Palla, Gabriela Simoni, Giulia Spada, Agnese Trinchetti hanno collaborato alle complesse fasi di intervento.
Già al termine dei lavori in Opificio l’allora direttrice del museo, Maria Angela Turchetti, iniziò a interessarsi al ritorno del mosaico che la Direzione regionale musei della Toscana ha trasportato nel magazzino di Chiusi, nel corso del 2022, e da lì, grazie al contributo del Comune della Città di Chiusi, nel laboratorio di restauro del museo nazionale, dove è stato possibile effettuare gli ultimi interventi preliminari al ricollocamento delle varie sezioni e all’esposizione del pannello figurato centrale, come programmato dalla direzione del museo.
Grazie al fondamentale contributo del Gruppo Archeologico Città di Chiusi che ha organizzato una raccolta fondi, fornendo così un supporto materiale e concreto al progetto, e che ha messo a disposizione le proprie professionalità per le complesse operazioni di allestimento e collocazione del mosaico, l’opera è stata posta su un supporto rialzato e leggermente inclinato, appositamente progettato e realizzato, tale da rendere apprezzabile l’intera raffigurazione.
Dopo il restauro svolto in Opificio, l’intervento di Alessandro Fonti ha consentito di accostare le varie sezioni in cui era stato suddiviso il mosaico. Le parti mosaicate sono state così “ricucite” risarcendo le lacune con la stesura di una malta a imitazione delle tessere musive, stesa leggermente sottolivello rispetto alla superficie originale, e intonata cromaticamente con acquerello per restituire visivamente la doppia fila di tessere perduta nella fase di stacco del 1969.
Il mosaico, nella sua interezza, presenta una dimensione ragguardevole di circa venti metri quadrati e per questo motivo non è stato possibile esporlo integralmente, data la mancanza di spazi di adeguata grandezza. L’ambiente che lo accoglieva era probabilmente il triclinio, cioè la sala da pranzo, della domus romana della Violella, che nel II secolo d.C. fu arricchita con la raffigurazione del dio del vino, come frequentemente avveniva in questi spazi.
Il mosaico si presenta composto di due parti: un riquadro centrale figurato (chiamato pseudo-emblema) di circa 2×3 m, realizzato con tessere bianche e nere e rari inserti di altri materiali (vetro e terracotta), che è stato eposto, e un contorno monocromo a tessere verdi disposte irregolarmente e di dimensione maggiore rispetto a quelle del riquadro. Quest’ultimo a sua volta si presenta suddiviso in due: la parte superiore quadrata con ottagono concentrico e motivi geometrici incornicia la raffigurazione di Dioniso che cavalca la pantera, coronato di foglie di vite e con un cembalo poggiato sulla gamba. Gli spazi di risulta lasciati liberi dalla decorazione geometrica sono occupati da quattro panterine che corrono disposte in senso orario attorno all’ottagono centrale. Lo spazio inferiore è occupato da due pantere affrontate davanti ad un cratere centrale, sul bordo della quale si allunga la pantera di destra.
Fonte:
MiC – Direzione regionale musei della Toscana
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