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Caterina CALIGARI. Italica (Spagna).

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A circa otto chilometri da Siviglia, a nord del fiume Guadalquivir, nell’odierno comune di Santiponce, si può visitare l’antica città di Italica, la prima città romana sorta nella penisola iberica.

Nel 206 a.C., durante la seconda guerra punica, venne qui installato da Publio Cornelio Scipione, detto “l’Africano”, un insediamento per l’esercito romano. Questo, come ci dice Appiano (App., Hisp., 38), veniva utilizzato come ospedale militare e ricevette il nome Italica. L’ospedale ospitava i feriti della battaglia combattuta presso Ilipia (oggi Alcalà del Rìo) che segnò la sconfitta definitiva dei Cartaginesi in Spagna. In seguito, con l’assegnazione di terre ai veterani dell’esercito, nacque la città vera e propria.

Nel corso del I secolo d.C. Italica divenne municipium; città natale degli imperatori Traiano e Adriano, sotto quest’ultimo ottenne la denominazione di Colonia Aelia Augusta.

Devastata dalle invasioni barbare continuò ad essere abitata fino al completo abbandono durante la dominazione mussulmana; il suo destino fu quello di essere utilizzata come cava di materiali da costruzione.

La città è da dividersi in due parti: la più antica, di epoca repubblicana, si trova quasi completamente al di sotto dell’odierna Santiponce, costruita in parte con i materiali della vecchia colonia romana all’inizio del XVII sec. d.C., in seguito alle disastrose inondazioni del Guadalquivir;  la più moderna, detta nova urbs, fu edificata durante l’impero di Adriano e la sua collocazione corrisponde all’area del parco archeologico.

I primi scavi vennero effettuati durante l’occupazione francese, quando Giuseppe Bonaparte, nel palazzo del Alcàzar di Siviglia, il 6 febbraio del 1810 emanò il seguente decreto:

Don Jose Napoleon por la gracia de Dios y por la constitucion del Estado. Rey de las Españas y de las Indias. Oido el informe de nuestro ministro de lo Interior. Hemos decretado y decretamos lo siguiente: I. La ciudad en que nacieron Trajano, Adriano y Teodosio volverà a tomar el nombre de Italica que tenía en aquel tiempo. II. Una renta de 50.000 reales de vellon tomados del fondo de S. Isidoro del Campo en cuyo distrito se halla el antiguo anfiteatro, se aplicara a los gastos de las excavaciones. III. Una comision de tres individuos cuidara de la administracion del fondo, y del buen estado de la renta. IV. Nuestros Ministros de lo Interior y de Hacienda quedan encargados, cada uno en la parte que le toca, de la execucion del presente decreto.”                                                                 Firmato “YO EL REI

Successivamente le ricerche archeologiche furono riprese con costanza tra il 1781 ed il 1788 e, con periodi intermittenti, gli scavi e le ricerche su Italica sono continuate fino ad oggi.

Le mura della città presentano diverse fasi di costruzione e raggiunsero la loro estensione massima nella seconda metà del II sec. d.C. arrivando a misurare 3000 m di lunghezza; parte di esse è ancora visibile nei pressi del teatro e dell’anfiteatro.

L’edificio meglio conservato è l’anfiteatro, di epoca adrianea, che doveva essere uno dei più grandi dell’impero, con la capacirà di 25000 spettatori. Venne costruito a nord della città al di fuori del recinto murario, il suo asse maggiore misura 160 m, mentre quello minore 137 m, della cavea si sono conservate solamente le prime due gradinate. E’ possibile percorrerne in parte le gallerie dei vomitoria che roteano all’interno dell’edificio. Al centro dell’arena si può vedere la fossa bestiaria, che a quel tempo era coperta da una struttura di legno che disponeva di un sistema di elevazione.

Lasciatosi alle spalle l’anfiteatro ed entrando nel perimetro dell’area urbana si raggiunge il Cardo Maximo; esso era porticato su entrambi i lati a protezione contro la pioggia, ma soprattutto contro il calore del sole. Il tracciato stradale presentava vie, rivestite con lastre di Tarifa, ortogonali tra loro, che formavano isolati di forma rettangolare. Sotto di esse scorreva il sistema di cloache per il deflusso delle acque reflue della città.

Lungo il Cardo Maximo le prime evidenze sono quelle di un imponente edificio, che si conosce come Casa dell’Esedra, probabilmente sede di qualche associazione. Si estende per 4.000 m quadrati ed occupa un intero isolato con un taglio nell’angolo nord orientale a causa dell’orografia e del tracciato delle mura cittadine. Il lato che si affaccia sul Cardo Maximo, su cui si trovava l’ingresso principale, era occupato da botteghe, alle cui spalle si estendeva l’edificio. Attraversato il vestibolo, si accedeva all’area residenziale caratterizzata dal peristilio e dalle stanze che lo circondavano; le altre parti che componevano l’edificio erano: l’area termale; la palestra, costituita da uno spazio aperto di 400 m quadrati; un criptoportico, decorato con motivi geometrici, che consentiva di raggiungere l’area dell’esedra senza attraversare la palestra.

Proseguendo lungo il Cardo Maximo nell’isolato posto a sud rispetto alla Casa dell’Esedra si incontra la Casa di Nettuno, che deve il suo nome ad un mosaico, rappresentante questa divinità con un corteo di creature marine, che rivestiva il pavimento della piscina del frigidarium. Scavato solo nella parte occupata da un impianto termale, questo edificio, con la sua area di 6.000 m quadrati, occupava un intero isolato, ed ospitava, forse, anch’esso la sede di un’associazione.

Italica_fotoCaterinaCaligariPiù avanti è possibile visitare la Casa degli Uccelli, che deve il suo nome ad un mosaico che vi è stato rinvenuto in cui sono rappresentate trentatrè specie differenti di uccelli. Occupa la parte occidentale di un isolato a sud della Casa di Nettuno, e si estende per 1700 m quadrati, comprese le botteghe che affiancavano l’ingresso principale affacciato sul Cardo Maximo. L’abitazione si distingue per la posizione privilegiata, la qualità della costruzione, il lusso delle rifiniture e per l’estensione della superficie abitabile; doveva quindi appartenere a qualche notabile della città. Accanto si trova la Casa di Hylas, che prende anch’essa il nome da un mosaico in cui è rappresentato il giovane nel momento in cui viene rapito dalle Nereidi.

Sul lato opposto, rispetto a questi edifici, del Cardo Maximo si trova la Casa del Planetario, che, estesa per circa 1600 m quadrati, occupa la metà occidentale di un isolato. Viste le caratteristiche analoghe, si ritiene che, come la Casa degli Uccelli, fosse destinata alla classe dirigente della città. Al suo interno si è conservato fino a noi un mosaico del II sec. d.C., che rappresenta le sette divinità planetarie che reggevano l’universo, e che, secondo il calendario romano successiva all’introduzione della settimana da parte di Costantino, hanno dato il nome ai giorni: Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno, Sole. Più avanti si incontra il Traianeum, di cui si sono conservate solo le fondamenta. Si trattava di un tempio ottastilo (l’unico in Spagna), periptero, su alto podio, circondato da un portico chiuso verso l’esterno da un muro composto da esedre semicircolari e rettangolari alternate.

Ad Italica si trovavano, probabilmente, le terme più grandi della Penisola Iberica. Chiamate Terme Maggiori, sono state scavate solo in parte, ma secondo studi geofisici pare che si estendessero per 32000 m quadrati, e che presentassero lungo il lato meridionale una palestra di grandi dimensioni in in cui, oltre agli esercizi comuni, era forse possibile che  venissero svolte anche attività equestri. Le così dette Terme Minori, invece, si trovano nell’abitato di Santiponce, nell’area della città repubblicana, ed occupavano un’area di approssimativamente 3000 m quadrati. Sempre al di fuori del parco archeologico, ed al di fuori delle mura urbane, si può visitare il teatro, costruito durante l’età augustea ed utilizzato fino al IV sec. d.C.. Il suo asse maggiore misurava 98 m, il quadriportico quasi 2500 m quadrati, e la sua cavea poteva ospitare circa 3000 persone. Sotto Adriano, presso il portico settentrionale fu costruita una cappella dedicata al culto di Iside. Ancora negli ultimi anni l’area del teatro è stata oggetto di scavi da parte della Consejería de Cultura.

Sito sull’area archeologica: http://www.juntadeandalucia.es/cultura/museos/CAI/?lng=es

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