Per una testa di Ottaviano Augusto che reclama autorità ad Aquinum (provincia di Frosinone), c’è una divinità in Salento che è tornata a scalpitare. La dea Minerva, dopo l’eccezionale scoperta del busto in pietra leccese a Castro nell’estate del 2015, torna a sorprendere proprio nel giorno della riapertura dello scavo, ieri: «Durante la pulizia del cantiere è venuto fuori il dito della statua di Atena – dice soddisfatto l’archeologo dell’Università del Salento, Francesco D’Andria – lo considero un fatto positivo, ci indica che dobbiamo continuare a scavare».
C’è un elemento in più rappresentato da quel dito, che spiega bene come l’archeologia non sia tanto una questione per nostalgici: «Si tratta dell’indice, ed è grande il doppio rispetto a un dito vero – è l’ipotesi di D’Andria – è il dito che accusa, e l’albero simbolo di Minerva è l’ulivo. Lo fece sorgere sull’acropoli durante la contesa con Poseidon, ed era oggetto di culto e venerazione all’Eretteo». La conclusione, allora, è semplice: « L’ulivo è simbolo di pace, di tutto ciò che c’è di positivo. È il simbolo della Puglia, e penso che Atena stia tornando fra noi e che si abbastanza incazzata per la xylella».
La terra intanto fa riemergere reperti, e a studiarla ci pensano i giovani archeologi – pugliesi, e non solo – per i quali ogni nuovo frammento ha il sapore della conquista. Giuseppe Ceraudo è professore di Topografia antica all’Università del Salento e direttore scientifico degli scavi di Aquinum: «Davanti alla scoperta di un pezzo importante l’emozione si sente, quando avviene qualcosa sullo scavo si avvicinano tutti, anche dagli altri settori. E da topografo per me è la conferma del lavoro fatto prima dell’avvio della campagna, con immagini aeree, satellitari e con l’uso dei droni».
Stessa cosa accaduta a Castro con il ritrovamento del busto – e ora anche del dito – di Atena/Minerva. Qui è entrata in gioco la letteratura, quella statua ha dato un luogo fisico all’Eneide di Virgilio, che nel Libro Terzo descrisse l’arrivo di Enea in Italia (” Crescono le brezze sperate e già il porto si apre ormai vicino e sulla rocca appare il tempio di Minerva”). La dea aspetta ora all’interno del museo archeologico di Castro – di cui D’Andria è direttore – e aspetta che tutti i pezzi tornino al loro posto, facendo bramare gli archeologi: « Speriamo sempre di trovare la testa – continua D’Andria – così avremmo la statua più grande della Magna Grecia, alta almeno quattro metri».
Castro si è rimessa al lavoro, ad Aquinum invece si procede dal 2009 e il ritrovamento della testa di Ottaviano Augusto è l’ennesimo segnale che conforta gli esperti, che indica loro come la strada intrapresa sia quella giusta.
Già un anno fa gli archeologi dell’UniSalento impegnati lì – «nella città più famosa dell’età romana, dopo Roma e Capua», aggiunge Ceraudo – avevano fatto parlare di sé per aver ritrovato la testa marmorea di Giulio Cesare, esposta proprio ieri a Castrocielo e ora pronta a partire per Copenaghen, dove sarà sottoposta ad analisi specialistiche e poi messa in mostra al museo NY Carlsberg Glypotek fino al 15 marzo 2020, giorno delle Idi di marzo.
A Castro, intanto, Minerva deve faticare di più per ottenere i tributi che merita. Il problema sono soprattutto i soldi: « La nuova campagna di scavo è fatta dal museo con il Comune con finanziamenti privati, perché non ne abbiamo altri – precisa Francesco D’Andria – Non ci sono finanziamenti statali, ma dobbiamo ringraziare ancora una volta il figlio del professore Antonio Lazzari, che ha sostenuto la campagna del 2017 e quella attuale».
Lo Stato non interviene, il buon cuore dei cittadini di Castro invece sì. A rendere il doveroso tributo ad Atena c’è stata una donna: «Era la levatrice del paese, abitava vicino allo scavo e ogni giorno si impressionava nel vedere i giovani archeologi al lavoro. Dopo la sua morte ci ha lasciato in eredità 10 mila euro, perché potessimo andare avanti».
Non bastano, perché gli archeologi di Castro – e non solo loro – possono avere pure la passione di Indiana Jones, ma devono fare costantemente i conti con una ricerca che non è fatta solo di scoperte eclatanti, ma di una immane fatica quotidiana che a ogni frammento ritrovato cerca di dare una precisa collocazione temporale e culturale. Lo sanno bene i circa 40 studenti dell’Università di Bari impegnati a Egnazia. Qui l’evento si è vissuto nel 2015, con il ritorno alla luce della statua in marmo di un’altra dea, Demetra: «È stata restaurata in tempi velocissimi a cura del museo, e ora è esposta – ricorda la direttrice degli scavi Raffaella Cassano – intanto si continua a scavare, siamo alla 19esima campagna e anche se non sono state recuperate altre cose così eclatanti stiamo tirando fuori la città romana. A noi fa sempre effetto».
Quello che viene fuori dal terreno e che finisce alla ribalta dell’attenzione internazionale spesso ha vita breve, e torna alla condanna dell’oblio. In Puglia ci sarebbe tantissimo da far riemergere: « Rudiae ora è tornata al pubblico – dice Ceraudo, da Aquinum – ma nel Leccese ci sarebbero sempre Roca Vecchia e Cavallino, come il molo romano di San Cataldo. Lì abbiamo già scavato, ma bisognerebbe ricostruire il percorso che dalla città di Lupiae portava al mare».
Se ad Aquinum è il primo imperatore a richiedere attenzione, la Puglia ha dalla sua la benevolenza delle dee, di Demetra e soprattutto di Atena. Di un dito indice puntato e di un’anziana levatrice di Castro, che con la sua eredità invita gli studiosi a non arrendersi. Il suo esempio è da monito per chi dovrebbe scommettere tutto sull’approdo salentino di Enea: «Un lavoro completo avrà però bisogno di finanziamenti europei e regionali – è la conclusione di Francesco D’Andria – Spero che sulla base dei risultati di questa campagna e al ritrovamento della testa si possa procedere e arrivare a un grande restauro e alla sistemazione dei reperti».
Autore: Anna Puricella
Fonte: http://ricerca.repubblica.it, 13 set 2019