Un volto femminile – in fase di studio e che attendiamo tutti di ammirare – e altri due frammenti di arto di una statua. Queste sono le nuove, ultimissime notizie provenienti dallo scavo di Capanne di Castro, dove un’equipe di archeologi guidati dal professor Francesco D’Andria e dal dottor Amedeo Galati sta portando avanti una nuova campagna di ricerca, che ha trovato sostegno dai fondi raccolti dall’associazione Inner Wheel Tricase-Capo di Leuca.
Capanne, luogo del ritrovamento, è una frazione di Castro, comune di 2341 abitanti della provincia di Lecce in Puglia, situato sulla parte orientale della penisola salentina e fu originato – con tutte probabilità, anche grazie a ciò che sappiamo, attraverso questi scavi – dal Castrum Minervae, la fortezza di Minerva.
Lo stesso luogo in cui è avvenuta la scoperta 2021 ha restituito, nel recente passato, il busto della dea Minerva (Atena) di oltre tre metri di altezza, databile attorno al IV secolo avanti Cristo, l’antico tempio della dea e numerosi reperti conservati nel Museo Archeologico di Castro.
Il santuario, dedicato alla dea Atena, sarebbe quello a cui Virgilio fa riferimento nell’Eneide (III, 506-553) come il primo approdo di Enea nella penisola italiana. Le fonti antiche celebravano l’importanza e la ricchezza di quel luogo sacro, dove fin dal VII sec. a.C. furono dedicati tesori e armi. Gli storici e gli archeologi hanno dibattuto fin dal XVI secolo sulla posizione esatta dell’Athenaion o Castrum Minervae, la cui ubicazione si credeva fosse a Leuca, Gallipoli, Otranto o anche Brindisi. Le recenti scoperte a Castro avrebbero posto fine a quel lungo dibattito.
La statua in calcare (pietra leccese) di Atena è ora esposta al MAR, il museo archeologico di Castro.
“Il busto, che si è conservato, permette di ricostruire una scultura alta più di tre metri, che doveva essere collocata all’interno del tempio. – dicono i responsabili del museo – Pur rifacendosi a modelli classici come la Parthenos di Fidia, la statua rivela una libertà di espressione tipica degli artigiani di Taranto, attivi nel IV sec. a. C. Straordinarie la lastre in pietra leccese opera degli stessi artigiani: dovevano costituire il recinto intorno all’altare principale, all’aperto, in cui si bruciavano le offerte. Vi sono raffigurati girali di foglie, fiori quasi tropicali, spighe: un universo vegetale – realizzato con uno stile che contiene già, in un tempo profondamente lontano, i presupposti del barocco leccese – all’interno del quale si inseguono animali come leprotti, volano aquile e colombe, corrono figure umane, a rappresentare l’inesauribile fecondità della natura”.
Fonte: www.stilearte.it, 25 dic 2021