Non è che non amassero la guerra; però preferivano i giochi, le danze, i banchetti. Nella rappresentazione che gli Etruschi davano di sé su vasi, stele, pitture murarie, la presenza di armi è rarissima.
Per questo la stele trovata negli scavi di Castenaso è così interessante. La forma è quella tipica dei segnacoli proto-felsinei (un rettangolo sormontato da un disco), così come la decorazione, una scultura a rilievo con rosette/ruote di carro (sei, tre per parte), un corteo di volatili (paperelle), un fiore di loto (o forse una palmetta) e un animale esotico, probabilmente un felino. Ma poi, alla base del disco, ecco due figure che brandiscono le spade; si tratti di un duello o di una danza rituale sono comunque armate, per giunta in un contesto che presenta tre diversi tipi di lame, un coltello e due spade, di cui una ad antenne. A completare l’eccezionalità del ritrovamento, la stele conserva ancora tracce di pittura rossa.
Se la stele “delle spade” (Tomba 7-9) è una vera superstar, l’intera necropoli protofelsinea rinvenuta a Marano di Castenaso, all’immediata periferia di Bologna, è di grande rilevanza archeologica.
Complessivamente sono state riportate in luce nove tombe databili al VII secolo a.C., tutte ad incinerazione, una a pozzetto ed otto a cassa lignea: la cassa, completamente decomposta, ha lasciato nel terreno l’impronta delle venature del legno e, in un caso, persino i chiodi con cui era stata fissata.
Una tomba è segnalata da un grosso ciottolo fluviale e ben sette da stele, di cui quattro “a disco”, una tipologia estremamente rara: tra queste, oltre alla stele orientalizzante della Tomba 7-9, c’è n’é una in arenaria che, seppur molto degradata, conserva su entrambe le facce la decorazione a motivi geometrici (Tomba 8) e una terza, antropomorfa, (Tomba 6) decorata da una stella a cinque punte.
Una densità di stele insolita per una necropoli così piccola tanto che, per il Soprintendente Luigi Malnati, il sepolcreto non può che appartenere a un gruppo familiare aristocratico.
Sono molti gli elementi che depongono a favore di questa ipotesi. Certamente l’elevata percentuale di stele, ma anche la presenza di numerosi cinerari vestiti (il vaso con le ceneri del defunto era avvolto in un tessuto -purtroppo non conservato- e fermato con fibule), la dimensione delle tombe (mediamente m 2×2, dunque decisamente ampie) e la presenza delle casse lignee.
Ma la conferma definitiva sembra venire dai corredi. L’aver trovato insieme la stele e il suo corredo è di per sé un dato eclatante; qui poi i corredi sono tutti di grande pregio. Ci sono vasi e suppellettili di vario uso in bronzo, talora impreziosito da elementi in ambra o pasta vitrea, fibule, spilloni, presentatoi rituali e altri vari contenitori come situle (con o senza coperchio) e ciste cordonate. E c’è lo splendido vasellame in ceramica d’impasto o depurata, decorata con un variegato repertorio ornamentale di serpentelli, dischi concentrici, paperelle, cerchi semplici e tutta una serie di decorazioni stampigliate, non sempre semplici da interpretare.
Dunque una necropoli meravigliosa, certamente relativa a personaggi d’alto rango. Una necropoli che ha avuto la “fortuna” di essere scavata con le più moderne metodologie scientifiche, in grado di preservarne tutti i dati scientifici, contrariamente a quanto avvenuto per tutto l’Ottocento, quando sono state scavate in ambito urbano numerose necropoli di una certa consistenza con presenza di stele protofelsinee.
Riteniamo che la necropoli di Marano di Castenaso possa rappresentare un punto fermo nel travagliato panorama delle stele bolognesi, troppo spesso scorporate dai loro corredi. I dati forniti da questa necropoli offriranno un buon punto di partenza all’analisi del complesso problema del ruolo sociale di tali tombe eminenti a Bologna e nel suo territorio, nel momento che coincise con la nascita dell’esperienza urbana di Felsina.
Ci preme sottolineare che se possiamo considerare concluse le attività di scavo nel cantiere di Via della Pieve, non altrettanto possiamo dire dell’indagine archeologica che ci attende in laboratorio. Sono tantissimi i materiali asportati dall’area di deposizione con il loro pane di terra, secondo una scelta strategica che è stata dettata sia dalla volontà di sveltire le attività di recupero, che dall’intento di preservare meglio dagli agenti ambientali gli oggetti così raccolti.
La speranza è che l’indagine diagnostica sulle tracce di policromia ancora presenti sulla stele della Tomba 7-9, riesca ad identificare i pigmenti originari, consentendo la mappatura dei colori della decorazione e la loro ricostruzione virtuale.
Fonte: MiBAC – Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Sopr. Archeol. Emilia Romagna 28/02/2008
Cronologia: Protostoria