A circa 50 chilometri a sudovest di Cartagine, non lontano da quella che un tempo fu l’antica città romana di Thuburbo Majus, furono rinvenuti all’inizio del secolo scorso tre cippi di confine di straordinaria importanza storica e archeologica. I cippi, ritrovati a notevole distanza l’uno dall’altro, avevano la forma di una piramide tronca e presentavano un’ iscrizione in lingua etrusca, ripetuta sulle diverse facce per ben otto volte con lo stesso identico testo : M VNATA ZVTAS TVL TARTANIVM TINS.
L’importante scoperta archeologica testimonierebbe l’esodo di un gruppo di fuggiaschi, o forse di commercianti etruschi, verso l’attuale Tunisia.
Partiti dall’Etruria centrale e giunti in terra africana, questi uomini non si sarebbero limitati a chiedere ospitalità, ma avrebbero colonizzato una vasta area della vallata dello Uadi Milian, nell’attuale territorio tunisino, respingendo la popolazione indigena numidica, forse grazie all’appoggio della potente alleata Cartagine.
I cippi di confine e il relativo possedimento da essi delimitato, furono posti sotto la protezione del dio etrusco Tinia (TINS) corrispondente a Giove, secondo un’usanza che ritroviamo anche presso i Romani laddove i confini dei possedimenti venivano posti sotto la protezione di lupiter Terminus o Terminalis.
Secondo lo studioso Massimo Pittau l’iscrizione tunisina andrebbe tradotta così: “confine di Marco Unata Sutio e di Tinia Dardanio – Mille (passi)“.
M VNATA ZVTAS sarebbe dunque il nome di un personaggio etrusco proveniente da Chiusi, tal Marce Unata Sutius, che si sarebbe trasferito nelle vicinanze della città amica Cartagine, probabilmente per fare affari in quella zona così fertile, ideale per la produzione di grano, olive, agrumi, palme da dattero, e adatta anche all’allevamento intensivo del bestiame.
Sono noti peraltro gli stretti rapporti commerciali che esistevano fra Etruschi e Cartaginesi, e non è difficile immaginare che Marce Unata abbia lasciato Chiusi, affrontando un lungo viaggio via terra e via mare, portando con sé la propria famiglia e i beni che possedeva, allo scopo di fondare un’azienda agricola in terra nordafricana.
Al momento del rinvenimento archeologico i tre cippi di confine delimitavano infatti una vasta area, con un lato che misurava addirittura 13 chilometri. Ciò fa supporre che i cippi siano stati posti dallo stesso proprietario terriero Marce Unata, allo scopo di delimitare l’area agricola da lui occupata.
Tutto ciò potrebbe essere accaduto – sempre secondo Pittau – prima dell’inizio delle guerre puniche, e cioè prima del 264 a.C. La vastità dell’area colonizzata dall’etrusco Marce Unata fa infatti ritenere verosimile che la presa di possesso sia avvenuta in un periodo di relativa tranquillità politica e sociale, come quella che caratterizzò appunto i decenni precedenti la I guerra punica, quando Cartagine era ancora un’alleata oltre che un importante centro commerciale, culturale e politico del Mediterraneo.
Tuttavia esiste anche un’altra interessante ipotesi interpretativa: l’epigrafe in lingua etrusca, riletta e interpretata da Jacques Heurgon nel primo importante e originale studio del 1969, potrebbe far riferimento ad un gruppo di esuli etruschi, militanti nelle file dei populares e avversari di Silla, che sarebbero fuggiti da Chiusi in seguito alla cruenta battaglia che si tenne sotto le sue mura nell’82 a.C.
E’ ipotizzabile che il gruppo di fuggiaschi sia partito sotto la guida del console Gneo Papirio Carbone, che sappiamo essersi rifugiato a Chiusi, e che in seguito alla sconfitta subita dal partito mariano nella battaglia di Porta Collina (novembre dell’82 a.C.) si sia diretto in Africa insieme ai suoi seguaci.
Il gruppo di esuli mariani avrebbe dunque raggiunto la Tunisia per poi fondarvi una piccola colonia che sarebbe stata poi distrutta da Pompeo Magno solo l’anno dopo, nell’81 a. C.. Un’ipotesi che però secondo Massimo Pittau non può reggere, non solo perché i tratti arcaici e la forma delle lettere adottate nella iscrizione di confine risalirebbero al IV – III secolo a.C,. ma anche perchè se l’epigrafe fosse stata scritta nel biennio 82-81 a.C. si sarebbe utilizzato l’alfabeto latino e non quello etrusco divenuto ormai desueto. E poi come sarebbe stato possibile per un gruppo di fuggitivi etruschi realizzare in un solo anno un’azienda agricola di tali dimensioni? Chi li avrebbe difesi dagli attacchi della popolazione indigena numidica alla quale apparteneva il territorio colonizzato, ora che non potevano più contare come un tempo sulla protezione della ricca e potente alleata Cartagine?
E’ dunque verosimile che Marce Unata Sutius sia sbarcato in Tunisia nella prima metà del III secolo a.C. e abbia posto il possedimento da lui colonizzato sotto la protezione di Tinia, corrispondente sia allo Jupiter Terminalis dei Romani sia al greco Zeus, amico e protettore dei Dardani (Troiani).
Alla stirpe dei Dardani farebbe infatti riferimento il termine TARTANIUM inciso sull’epigrafe etrusca. D’altra parte sappiamo che la saga di Troia fu conosciuta e amata dagli etruschi ancor prima che dai romani, come dimostrano tra l’altro i nomi Eina (Enea) ed Anzis (Anchise) incisi su specchi etruschi, ed alcune statuette fittili rinvenute a Veio che raffigurano l’eroe troiano con il padre sulle spalle, mentre fugge dalla città in fiamme.
E’ allora possibile ipotizzare che il gruppo di esuli etruschi sbarcati in Tunisia, orgogliosi della propria discendenza dai mitici eroi troiani, ritenesse ben augurante inserire sui cippi di delimitazione dei propri possedimenti, un riferimento non solo al dio protettore dei confini ma anche all’ antico eroe della stirpe dei Dardani che tanto tempo prima aveva attraversato il mare per trovare una nuova terra e una nuova patria.
L’importante scoperta archeologica testimonierebbe l’esodo di un gruppo di fuggiaschi, o forse di commercianti etruschi, verso l’attuale Tunisia.
Partiti dall’Etruria centrale e giunti in terra africana, questi uomini non si sarebbero limitati a chiedere ospitalità, ma avrebbero colonizzato una vasta area della vallata dello Uadi Milian, nell’attuale territorio tunisino, respingendo la popolazione indigena numidica, forse grazie all’appoggio della potente alleata Cartagine.
I cippi di confine e il relativo possedimento da essi delimitato, furono posti sotto la protezione del dio etrusco Tinia (TINS) corrispondente a Giove, secondo un’usanza che ritroviamo anche presso i Romani laddove i confini dei possedimenti venivano posti sotto la protezione di lupiter Terminus o Terminalis.
Secondo lo studioso Massimo Pittau l’iscrizione tunisina andrebbe tradotta così: “confine di Marco Unata Sutio e di Tinia Dardanio – Mille (passi)“.
M VNATA ZVTAS sarebbe dunque il nome di un personaggio etrusco proveniente da Chiusi, tal Marce Unata Sutius, che si sarebbe trasferito nelle vicinanze della città amica Cartagine, probabilmente per fare affari in quella zona così fertile, ideale per la produzione di grano, olive, agrumi, palme da dattero, e adatta anche all’allevamento intensivo del bestiame.
Sono noti peraltro gli stretti rapporti commerciali che esistevano fra Etruschi e Cartaginesi, e non è difficile immaginare che Marce Unata abbia lasciato Chiusi, affrontando un lungo viaggio via terra e via mare, portando con sé la propria famiglia e i beni che possedeva, allo scopo di fondare un’azienda agricola in terra nordafricana.
Al momento del rinvenimento archeologico i tre cippi di confine delimitavano infatti una vasta area, con un lato che misurava addirittura 13 chilometri. Ciò fa supporre che i cippi siano stati posti dallo stesso proprietario terriero Marce Unata, allo scopo di delimitare l’area agricola da lui occupata.
Tutto ciò potrebbe essere accaduto – sempre secondo Pittau – prima dell’inizio delle guerre puniche, e cioè prima del 264 a.C. La vastità dell’area colonizzata dall’etrusco Marce Unata fa infatti ritenere verosimile che la presa di possesso sia avvenuta in un periodo di relativa tranquillità politica e sociale, come quella che caratterizzò appunto i decenni precedenti la I guerra punica, quando Cartagine era ancora un’alleata oltre che un importante centro commerciale, culturale e politico del Mediterraneo.
Tuttavia esiste anche un’altra interessante ipotesi interpretativa: l’epigrafe in lingua etrusca, riletta e interpretata da Jacques Heurgon nel primo importante e originale studio del 1969, potrebbe far riferimento ad un gruppo di esuli etruschi, militanti nelle file dei populares e avversari di Silla, che sarebbero fuggiti da Chiusi in seguito alla cruenta battaglia che si tenne sotto le sue mura nell’82 a.C.
E’ ipotizzabile che il gruppo di fuggiaschi sia partito sotto la guida del console Gneo Papirio Carbone, che sappiamo essersi rifugiato a Chiusi, e che in seguito alla sconfitta subita dal partito mariano nella battaglia di Porta Collina (novembre dell’82 a.C.) si sia diretto in Africa insieme ai suoi seguaci.
Il gruppo di esuli mariani avrebbe dunque raggiunto la Tunisia per poi fondarvi una piccola colonia che sarebbe stata poi distrutta da Pompeo Magno solo l’anno dopo, nell’81 a. C.. Un’ipotesi che però secondo Massimo Pittau non può reggere, non solo perché i tratti arcaici e la forma delle lettere adottate nella iscrizione di confine risalirebbero al IV – III secolo a.C,. ma anche perchè se l’epigrafe fosse stata scritta nel biennio 82-81 a.C. si sarebbe utilizzato l’alfabeto latino e non quello etrusco divenuto ormai desueto. E poi come sarebbe stato possibile per un gruppo di fuggitivi etruschi realizzare in un solo anno un’azienda agricola di tali dimensioni? Chi li avrebbe difesi dagli attacchi della popolazione indigena numidica alla quale apparteneva il territorio colonizzato, ora che non potevano più contare come un tempo sulla protezione della ricca e potente alleata Cartagine?
E’ dunque verosimile che Marce Unata Sutius sia sbarcato in Tunisia nella prima metà del III secolo a.C. e abbia posto il possedimento da lui colonizzato sotto la protezione di Tinia, corrispondente sia allo Jupiter Terminalis dei Romani sia al greco Zeus, amico e protettore dei Dardani (Troiani).
Alla stirpe dei Dardani farebbe infatti riferimento il termine TARTANIUM inciso sull’epigrafe etrusca. D’altra parte sappiamo che la saga di Troia fu conosciuta e amata dagli etruschi ancor prima che dai romani, come dimostrano tra l’altro i nomi Eina (Enea) ed Anzis (Anchise) incisi su specchi etruschi, ed alcune statuette fittili rinvenute a Veio che raffigurano l’eroe troiano con il padre sulle spalle, mentre fugge dalla città in fiamme.
E’ allora possibile ipotizzare che il gruppo di esuli etruschi sbarcati in Tunisia, orgogliosi della propria discendenza dai mitici eroi troiani, ritenesse ben augurante inserire sui cippi di delimitazione dei propri possedimenti, un riferimento non solo al dio protettore dei confini ma anche all’ antico eroe della stirpe dei Dardani che tanto tempo prima aveva attraversato il mare per trovare una nuova terra e una nuova patria.
Autore: Antonella Bazzoli – 16 giugno 2011
Fonte: www.evus.it
Riferimenti bibliografici:
– Massimo Pittau (1996) “Gli Etruschi e Cartagine: i documenti epigrafici“. In: L’Africa romana: atti dell’11. Convegno di studio, 15-18 dicembre 1994, Cartagine, Tunisia. Sassari, Editrice Il torchietto. V. 3, p. 1657-1674. (Pubblicazioni del Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari, 28.3).
– http://eprints.uniss.it/5195/
– J. Heurgon, Inscriptions étrusques de Tunisie, «Comptes Rendus de l’Académie des Inscription et Belles Artes» (CRAI), 1969, pagg. 526-551.