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Carmelo NIGRELLI: Cupolone a Piazza Armerina? No grazie.

L’ “esplosione” di ampi tratti dei mosaici della latrina privata della Villa romana del Casale a seguito delle prime piogge settembrine, pone drammaticamente tutti di fronte alla vera questione che riguarda il monumento tardo imperiale, che è il restauro, la tutela e la conservazione dei pavimenti musivi e degli affreschi residui.

Tutto il resto è secondario rispetto a questa emergenza.

La questione fu posta con decisione nei mesi scorsi dal Comitato cittadino per la salvaguardia e valorizzazione della Villa romana del Casale sorto spontaneamente nell’ottobre 2003, con il coinvolgimento di tutte le associazioni cittadine e di tutte le scuole e che ha avuto come portavoce il Difensore civico dott. Farruggio. Anzi, lo stesso comitato decise di sospendere le sue attività solo quando, a seguito del finanziamento di 18 milioni di euro da parte dell’assessore regionale BBCCAA, venne chiarito che con tali somme si sarebbe proceduto ai restauri necessari dei pavimenti e degli affreschi e, in aggiunta, all'”aggiornamento” della copertura attuale con tecnologie e materiali più moderni in grado di controllare luminosità e microclima all’interno della Villa (il progetto venne illustrato dall’arch. Meli al Comitato nella scorsa primavera).

A garanzia di tale percorso si poneva, sostanzialmente, l’Unità di Crisi che vedeva al suo interno tutti gli enti pubblici interessati alla questione ed era coordinata dal gen. Conforti.

Nelle ultime settimane, invece, l’attenzione dell’opinione pubblica è stata spostata sulle vicende relative alla copertura, a causa di ripetute anticipazioni sulla volontà del Commissario straordinario nominato dallo stesso assessore regionale prima di essere trasferito al Turismo e della sua équipe di smantellare la copertura Brandi-Minissi realizzata dall’Istituto Centrale del restauro circa 35 anni fa per sostituirla con una cupola alta ben 40 metri, con il conseguente accantonamento del progetto Meli e della sua impostazione culturale.

Al cambiamento di direzione dell’assessorato regionale si aggiunge la notizia – passata sulla stampa senza nessun rilievo – che il gen. Conforti si è dimesso dall’incarico di coordinatore dell’Unità di crisi. In questo modo viene a cadere la principale garanzia di quel percorso che vedeva il centro dell’attenzione di tutti proprio il restauro dei mosaici e degli affreschi.

La questione della copertura, dunque, merita ulteriori approfondimenti anche perché, oltre alle anticipazioni contenute sugli articoli pubblicati ne La Sicilia e nel Giornale di Sicilia del 7 settembre scorso, ad essa si riferisce l’arch. Turi Scuto, soprintendente BBCCAA di Enna in una nota che ha diffuso a tutti i mezzi di informazione il 25 agosto scorso.

Scuto prende posizione contro “i depositari della Verità Rivelata (quelli che sanno tutto su tutto e costituiscono la suprema Corte di Cassazione della tuttologia comparata) strillano come le oche del Campidoglio ogni volta che “qualcuno” osa fare”. E ha ragione.

Minissi, infatti, osò fare un’operazione di architettura contemporanea estremamente rischiosa, ma appoggiata sulle solide basi culturali che aveva condiviso con il grande Cesare Brandi. Un’operazione che si colloca all’interno di quella “filosofia di restauro dell’indimenticabile Franco Minissi, oggi colpevolmente accantonata” come ha recentemente scritto il critico d’architettura Luigi Prestinenza Pugliesi presentando i suoi “Quindici punti per un manifesto della modernità da contrapporre al conservatorismo dilagante nel nostro paese”.

Le fotografie delle coperture in legno e tegole che protessero i mosaici nel primo periodo successivo alla loro scoperta e che sembravano essere evocate come esempio da Vittorio Sgarbi quando, qualche anno fa, affermava che “una ricostruzione più mimetica, utilizzando materiali come il legno o mattoni in cotto, sarebbe sicuramente più opportuna” (la Sicilia, 19 novembre 1995) o, più recentemente, qualche settimana fa, quando riproponeva l’uso del legno per la sostituzione dell’attuale struttura, dimostrano proprio quanto fosse “eversiva” la proposta di Minissi.

Non è un caso che Giovanni Carbonara, direttore della Scuola di Specializzazione in Restauro dei Monumenti dell’università la Sapienza, nel novembre scorso, in occasione del Forum di Valle Giulia, a Roma, affermò che “tradurre un programma di restauro steso in collaborazione con storici dell’arte, archeologi e conservatori (come nel caso della sistemazione della villa tardoromana di Piazza Armerina in Sicilia, ricca di mosaici, studiata da Cesare Brandi e tradotta in architettura da Franco Minissi o, analogamente, delle mura greche in terra cruda di Gela) in vero progetto e poi in operatività di cantiere è atto d’architettura a pieno titolo.”

Non definirei “oca del Campidoglio” chi utilizza un’iperbole retorica come quella che definisce “una orribile ferraglia” la copertura di Minissi che invece, come si vede, per altri, per molti altri e autorevolissimi protagonisti del dibattito architettonico in Italia è un “pezzo” importante dell’architettura italiana contemporanea. Pur con i limiti e i difetti che certamente tutti conosciamo e che possono, però, essere corretti.

Si tratta, semplicemente, di un confronto tra posizioni culturali diverse, tra diversi modi di intendere il rapporto dell’architettura contemporanea con quella del passato che, dal mio punto di vista, in un caso si confronta senza complessi di inferiorità con i resti dell’antichità cercando di far tornare “viva” quell’architettura rendendole la terza dimensione senza alcun mimetismo, nell’altro, da un lato si basa sulla contrapposizione tra contemporaneo e antico, dall’altro lato considera il monumento come il “bambinello siciliano del 700” sotto la campana, dice ottimisticamente il Soprintendente ed io, invece, meno ottimisticamente, dico come la riproduzione in plastica del Colosseo dentro una boccia di vetro piena di liquido che qualcuno capovolge per produrre l’effetto della nevicata.

Ora, che il dibattito culturale sull’approccio da avere quando si deve intervenire su resti monumentali dell’antichità, si sviluppi proprio a partire dalla Villa del Casale è quasi un atto dovuto, data la rilevanza del monumento e il significato che, come abbiamo visto prima, parte della critica architettonica dà alla soluzione adottata 35 anni fa.

Ma voglio dire ancora qualcos’altro, anche perché chiarimenti in tal senso mi sono stati sollecitati da alcune e-mail.

Affermare – come da parte di molti si è fatto in questi giorni – che è assolutamente indifferente scegliere tra la soluzione della cupola e quella dell’aggiornamento dell’attuale copertura, purché si spendano tutti i soldi entro i termini imposti dalla UE, è posizione non pilatesca, ma culturalmente gretta e politicamente immorale poiché, trattandosi di denaro pubblico, è compito di tutti fare in modo non che sia semplicemente speso, ma che lo sia nel migliore dei modi.

È necessario che sia chiaro a tutti (non solo ai tecnici e agli addetti ai lavori, ma anche ai politici, agli operatori culturali e turistici, ai semplici cittadini) che le due soluzioni sono antitetiche rispetto alla fruizione della villa.

Oggi, chi visita la villa camminando sulle passerelle costruite sopra i muri in parte realizzati appositamente da Minissi, entra dentro il monumento, lo attraversa, ne coglie l’articolazione spaziale e funzionale complessa e può guardare i mosaici e i pochi brani di affresco ad una distanza corretta, analoga a quella che dovrebbe rispettare se dovesse ammirare i mosaici in un museo. Quando (speriamo presto) le tessere saranno restituite all’originaria brillantezza, i visitatori (gli scolari, come gli anziani, gli studiosi come le famiglie) potranno ammirare da vicino la straordinaria maestria dell’accostamento di pezzetti di pietra diversi che danno quello straordinario risultato d’insieme noto in tutto il mondo.

Se dovesse essere malauguratamente realizzata la cupola come descritta nelle anticipazioni della stampa, invece, i percorsi sarebbero svincolati dalla geometria del monumento e differenziati per quota rispetto ai pavimenti e per costo di accesso, con quello più accessibile tale da garantire la visione dei mosaici con piccoli telescopi.

Per quale motivo un turista dovrebbe percorrere migliaia di chilometri per venire a vedere i mosaici attraverso un telescopio? Meglio vederli in modo molto più particolareggiato, sul proprio computer, comodamente seduto nel divano del salotto di casa, facendo la visita virtuale da un cd-rom o da un sito appositamente predisposto.

Certo, la copertura attuale ha alcune responsabilità nel degrado dei mosaici e nelle pessime condizioni termoigrometriche che affliggono i visitatori soprattutto nei mesi più caldi. Si tratta in parte di “peccati originali” legati ai materiali utilizzati allora, in parte alle conseguenze di interventi successivi che hanno decisamente peggiorato il microclima sotto le coperture rendendo difficile il ricambio d’aria. Ma la cupola proposta sarebbe ancora una volta in metallo e vetro e dovrebbe, quindi, essere dotata di una serie di soluzioni tecnologicamente avanzate tali da garantire luminosità e microclima giusti al suo interno. Risultato che potrebbe essere raggiunto utilizzando analoghe tecnologie nell’aggiornamento della copertura attuale. Non è dunque per risolvere questi problemi che si sta proponendo questa nuova (ma vecchia) soluzione.

Queste sono alcune delle osservazioni sulle quali tutti dobbiamo riflettere. Adesso questo è il terreno del confronto.

Carmelo Nigrelli – Professore universitario alla Sorbona

Post-scriptum:
Qualche ora dopo la pubblicazione del post-it 12 è comparso sulla stampa un nuovo articolo in cui il progettista del “cupolone afferma “Sulla copertura, in effetti, non abbiamo ancora chiuso. Stiamo vagliando due ipotesi: da un lato una grande copertura a forma semplice che avrebbe come scopo primario quello di proteggere il monumento dagli agenti atmosferici e dall’altro la copertura dei mosaici che allude ai tetti romani per mantenere la terza dimensione e fare apprezzare i volumi, concetto tanto caro a Minissi. Certo è che le due soluzioni potrebbero convivere, non essendo tra loro incompatibili”.

Ora, è evidente un cambiamento di indirizzo rispetto a quanto lo stesso tecnico aveva affermato qualche giorno prima sui medesimi giornali.
A questo punto ci aspettiamo l’ulteriore passo: abbandonare l’idea della cupola e tornare al progetto Meli di aggiornamento della copertura Minissi.
Ma in questo caso a cosa servirebbero i tecnici esterni al Centro regionale del Restauro?

Autore: Carmelo Nigrelli
Cronologia: Arch. Romana

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