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Carlo FORIN. V. Fortunato analizzato con l’occhio dell’archeologia del linguaggio sui suoi natali.

Premetto che la separazione di archeologia e linguaggio è cosa alle spalle ed è appena cominciata la convergenza  attraverso i nomi degli dèi [1].
Archeologia e linguaggio è da osservare come un libro e come l’ultimo passo dell’ideologia indoeuropea [2] in quanto l’autore, Colin Renfrew, ha creduto di definire due insiemi separati, l’archeologia ed il linguaggio [3].
Tre anni fa, abbiamo aperto qua all’archeologia del linguaggio. Un anno e mezzo fa siamo convenuti a convegno per discutere [4]. Ora bisogna gestire l’onda lunghissima della diffusione [5] della novità [6] che dà alla lingua la sua madre dingua.

La te onomasiologia, cioè lo studio linguistico fondato sui nomi degli dèi, ci ha dato la chiave per aprire la porta che separava i due sistemi; essa [7]   mostra, ad esempio, la parola latina gnosco illuminata dalla lampada G del dio sumero NUS KU, immagine di morte –distinguo (lucerna dello zodiaco mesopotamico). Con questa luce possiamo comporre l’espressione G NUS KU prototipo del verbo latino gnosco, comincio a distinguere, comprovato da cognosco [8]. KU prima e dopo in ‘co’, ‘distinguo’ bene.

E KU casa battito, sarà Eco, che si distingue nella scrittura sumera [9] riconoscendo al ritorno il battito di andata [10].
Il KU, è la sillaba che fa battere il cor con la erre posposta a KU-R.
KI-UR è l’abitazione di EN LIL [11].
La pronuncia ‘francese’ della U accadizza la sumera in KI [12], attraverso quis, e ci lascia il chi? come espressione italiana.

Ho evidenziato l’avverbio qua, qua in latino, KU A in sumero [13] distinguo seme.
Ogni avverbio è invariante e dà un accesso facilitato al confronto interlinguistico risparmiando al ricercatore il passaggio obbligato per una radice comune. L’identità trasferisce, ad esempio, la locuzione identica:
idem = ID EM, in hp. ME DI così scritta.
Medi è il nome di un popolo mesopotamico e la prima parte del Medi-terraneo, che offre ‘media’ come ME DI A ‘seme A della parola creativa ME di Dio’ [14].
L’A MEN che parla nell’Apocalisse si legge come ‘seme della Parola’ ed i Menei sono le ricorrenze liturgiche dei giorni dei Santi, cioè di coloro che hanno rivissuto il ME in perfezione.
Uno di costoro fu Venanzio Fortunato, vescovo morto a Poitiers nel 604 e fatto santo più di mille anni dopo, che la confusione linguistica generata dall’ideologia indoeuropea, specificamente da Angelo Antonio Fabbro da Valdobbiadene, aveva espatriato dal luogo di nascita.
Martedì 20 ottobre 2009, abbiamo cominciato a riportarlo a casa discutendone al multisala del cinema Verdi e ne ho scritto in web [15].
Finora l’analisi linguistica storica non aveva permesso di tradurre in modo incontrovertibile il passo che fotografa l’identità di questo autore che non ci ha lasciato altre notizie sue ed aveva mandato a casa dalla Francia questo saluto:

Identità del latinista Cenedese:
Per Cenitam gradiens et amicos duplavenenses
qua natale solum est mihi sanguine,
sede parentum, prolis origo patrum, frater, soror,
ordo nepotum quos colo corde fide,
breviter, peto redde salutem…
” [16]
(Venanzio Fortunato, Vita Sancti Martini, 575 d.C.)

Senza altre informazioni e con la sola analisi linguistica, latinisti di vaglia non avevano potuto correggere la traduzione ubriaca di Angelo Antonio Fabbro (1745), che rimbalza ancora per enciclopedie e libri storici (corretta solo qua e là e parzialmente), ed è Valdobbiadene: Valdobbiadene [17] ha etimo vero in Biadene, paesino di Montebelluna, a 17 chilometri –mi pare- da quella situata all’apparire della valle.
In veneto: val do Biadene mostra senza latinismi la fonte di Valdobbiadene, da degustare senza libare troppo.
Coloro che gradirono Biadene in Valdobbiadene costruirono il toponimo senza consultare Venanzio Fortunato, che avrà certo apprezzato dal Cielo la devozione con cui innalzarono il Te Deum laudamus, sei mesi dopo la sua canonizzazione nel duomo di Valdobbiadene.
Secoli di diffusione della scorrettezza vanno a finire, come finiscono lievi le balle di Prosecco.

Per…qua segna la punteggiatura archeologica, dove il qua viene omologato a quoad da Varrone, citato dal Calonghi, ‘fin dove’ in italiano.
La foto qua per quoad diventa un cinèma ed è tutto un movimento.
Lo scrittore parla col suo poemetto e gli chiede:
Se vai camminando su per ZEN E DA, immagine di festa, un circolo urbano col raggio di mezzo chilometro, e proseguirai allargando il circolo attraverso la vallata morenica punteggiata di casolari sparsi di gente che viene dai due piai, o plagiae (dupla è termine a mezza via tra il medievale piai ed il latino plagia) ,arriverai fino a due torrenti che immettono in due laghi, il Piavesòn de sòra ed il Piavesòn de sotto [18]. Questo è il punto dove tu puoi mandare un saluto, un luogo comprovato dal paese di Revine che richiama R(e)uinae, rovine.
La foto qua diventa un circolo, una pellicola cinematografica, in memoria dello scrittore, come ribadisce il prolis origo patrum, cioè l’origine della prole dei padri, che rilancia circoli all’infinito.

L’ente provincia di Treviso è invitata a rivedere il falso sponsorizzato in un convegno del 1991.

[1] Ciò a far data dal 5 aprile 2008, convegno nazionale a Vittorio Veneto Antares, alle origini perdute della cultura occidentale.
[2] Parola qui in uso marxiano, da convertire in eidologia, come prima immagine da chiarire meglio e molto.
[3] Dove ha argomentato una specie di assioma – l’ultima grande migrazione avvenne 10.000 anni fa, all’inizio dell’età agricola – falsificabile con una valanga di esempi. Uno per tutti: i Longobardi in Italia dal 568 d.C.: 80.000 persone in massa. Dall’osservazione della pluralità di lingue contemporanee, unite con la fede nell’assenza di migrazioni, ha dedotto che l’archeologia cammina in modo indipendente dalle lingue.
[4] Ed è emersa la misura temporale del lustro da una domanda dell’archeoastronomo Adriano Gaspani: siete in grado di provare l’origine orientale del lustro? Su questa prova possiamo procedere alla revisione della idea delle origini indoeuropee!
[5] Via web.
[6] Sono aperto al confronto e-mail, senza spocchia: carlo.forin1@virgilio.it  . Chi volesse il libretto Antares, dagli dèi di Babele alle lingue europee me lo può richiedere ed io lo spedirò a rimborso spese.
[7] Essa ha etimo vero in ESH SHA ‘utero della vita’, storico in Ea, nome di ID EA del dio Ea, teonomico in IP SHA, ‘utero (in sumero) Cielo (in accado)’.
[8] E dalla favola di EN LIL, dio dell’Aria, che manda il figlio e gran vizir NUS KU, ‘distinguo immagine di morte’, in mezzo all’aria nera con questa lampada, che sarà di AL LA DIN , ‘divinità alta che va oltre’, a render nota agli inferi la rivolta degli dèi, le stelle, con la luna ed il sole in sciopero.
[9] 144 articoli in www.siagrio.it /Antares.
[10] La semiologia diventa dèmodé, mentre Umberto Eco viene premiato per la sua bravura letteraria, Il nome della rosa, accompagnata dal suo fallimento scientifico, La ricerca della lingua perfetta.
[11] Kore, la fanciulla in greco che diede il nome all’università di Enna si riconosce in E KUR il tempio di EN LIL.
[12] Il DUR AN KI, il perdurare dell’unione del Cielo e della Terra viene proposto come espressione sumera stretta; in realtà, il BIL KI LIB BA, il doppio circolo del Cielo e della Terra, è durato millenni e nessuno ha mai trovato una grammatica sumero-accadica. Se qualcuno vorrà collaborare la raccolta degli inni di Castellino tornerà utile: A cura di Giorgio Castellino, Testi sumerici e accadici, 1977 Utet, Torino.
[13] Ipotizzo possibile la scrittura A HU, fratello [in Castellino : 298], “applicato qualche volta a un dio, come ABU, padre. A HU da leggere HU A.
[14]  Con una parentesi religiosa potremmo ricordare il memento di Gesù: -Fate questo in memoria di ME!-.
[15]  http://www.agoramagazine.it/agora/spip.php?article8033
[16] Camminando su per Ceneda e per i miei amici duplavenensi, dove è il mio suolo natale ed il mio sangue, l’origine della prole dei miei padri, di mio fratello, di mia sorella, della schiera dei miei nipoti che amo tutti col cuore e con fede,
porgi loro per favore un breve saluto.
[17]  Lontana un giorno di cammino da Ceneda.
[18] Ringrazio della segnalazione lo storico Vittorino Pianca, che considero il massimo ricercatore studioso di Venanzio Fortunato.

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