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Carlo FORIN. Paleonimo toro in Belodunum.

Colgo [1] una domanda da Archeologia bellunese di Eugenio Padovan [2]: 64,

Belluno di origine celtica? “Città splendente”.
All’interrogativo non ci sono risposte archeologiche, ma una autorevole ed attendibile ipotesi – come afferma Piero Rossi sulla pubblicazione “Belluno” – sull’origine dello stesso nome di Belluno proposta dall’illustre professor Giovanni Battista Pellegrini.
Il nome infatti deriverebbe dal celtico “Belodunum“, dove “Belo” starebbe ad indicare una divinità od un capo e “dunum” un luogo, un’altura. Quindi “Colle di Belo”.
In realtà, Belo o Beleno appare il nome di una divinità celtica, corrispondente all’Apollo greco, il dio del sole, avente l’appellativo di “splendente, brillante”. Di qui la conseguente “traduzione” del significato di Belluno in “Città splendente”.

L’archeologia del linguaggio può approfondire l’analisi di “Belodunum“.
In chiusa di “paleonimi” è un neologismo necessario, on line dal 5 maggio, qui in /cultura, ho scritto:
“Paleonimo toro” mi avverte di osservare con circospezione i toponimi Tarvodunum (Thurso, Scozia) e Tarodunum (Zarten, Barden) per scindere il “toro divino irlandese Donn” e riconoscerlo il -dun-um -. Così faro’ con Belodunum di Belluno, in gallico, per riconoscere il toro nascosto.

Se le “risposte archeologiche” di Padovan, come quelle di Colin Renfrew, che scrisse Archeologia e linguaggio, scindono l’archeologia dal linguaggio, l’archeologia del linguaggio studia le stratificazioni di significato (perché osserva le parole come carote geologiche che accumulano significati), come l’archeologia materiale studia la sovrapposizione di pietre.
La parola Belodunum convive con i resti romani? Noi possiamo supporre uno strato celtico preromano – senza supporre di aver trovato l’origine – perché Tarvodunum (Thurso, Scozia) e Tarodunum (Zarten, Barden) ci rapporta sia a collina che a toro, il “toro divino irlandese Donn”, il dio Tarvos -TAR interruzione U cielo US morte-.

Utili le riflessioni di J.A. Mac Culloch [3]:
La presenza di un toro con tre gru (Tarvos Trigaranos) sull’altare di Parigi, insieme agli dèi Esus, Juppiter e Vulcano, suggerisce che si trattava di un animale divinizzato, o perlomeno del soggetto di un mito divino.
Come abbiamo visto, questo toro potrebbe essere il toro del Tàin bò Cuailgne. Tanto quello, che il suo oppositore erano incarnazioni dei porcari dei due dèi.
Nelle saghe irlandesi la reincarnazione è appannaggio solo di divinità ed eroi e questo potrebbe rivelare la natura divina dei tori.
Abbiamo visto che questo e un altro altare potrebbero illustrare qualche mito in cui il toro era l’incarnazione di un albero o di uno spirito della vegetazione.
La natura divina del toro è attestata dalla sua presenza sulle monete galliche quale simbolo religioso e da immagini dell’animale con tre corna, evidente simbolo di divinità.
Su un’analoga immagine di bronzo giuravano i Cimbri, germani celtizzati. Le immagini sono preromane, dal momento che sono state trovate a Hallstadt e La Tène. Nomi propri come Donnotaurus (equivalente del Donn Taruos del Tàin) o Deiotaros (“toro divino”) dimostrano che agli uomini venivano dati nomi di animali [rds].

Analogamente, in Italia settentrionale, nei Pirenei, in Scozia, in Irlanda e altrove, molti toponimi in cui ricorre la parola taruos suggeriscono che i luoghi recanti questi nomi fossero sede di un culto del toro, o che vi fossero localizzati alcuni miti, come quello elaborato nel Tàin.

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[1] Il 5 maggio 2011.

[2] Stampato nel mese di dicembre 1991 dalle Grafiche Trabella snc di Lentiai, con collaborazione di Dario Dall’Olio.

[3] In La religione degli antichi Celti, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1998: 212-213.

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