L’intervento di quest’anno, realizzato grazie al contributo del Comune di Caneva nell’ambito del finanziamento della Regione Autonoma FVG per la valorizzazione del sito palafitticolo ai sensi della Legge Regionale 11/2019 per i siti UNESCO minori, ha raggiunto l’obiettivo di completare lo scavo nei livelli più profondi del Settore 3, mettendo in luce i resti del più antico villaggio palafitticolo neolitico che possiamo datare tra il 4300 e il 4200 a.C.
Le indagini sono dirette dalla Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del FVG e condotte sul campo dalla ditta CORA Società Archeologica Srl di Trento con il supporto logistico e la collaborazione dei volontari del Gruppo Archeologico di Polcenigo (GrAPO).
Benché l’area di scavo indagata negli ultimi anni nel Settore 3 sia ristretta a soli 50 mq che corrispondono a una parte molto ridotta dei 60.000 mq di dispersione dei materiali nel sito archeologico, essa consente di fare piena luce sull’insediamento palafitticolo.
Il Palù di Livenza è stato infatti prodigo nel rilevare i suoi segreti e, in particolare, un deposito archeologico perfettamente conservato che ha consentito di definire con precisione buona parte della storia del sito archeologico con le sue diverse fasi di vita nel corso della fase finale del Neolitico. Grazie a cinque campagne di scavo condotte nel Settore 3 è stato possibile identificare 5 fasi strutturali del sito archeologico pertinenti ad almeno quattro villaggi palafitticoli differenti che si sono succeduti nel tempo alternandosi a brevi periodi di abbandono della zona.
Oltre agli abbondanti frammenti di ceramica, strumenti di pietra, ossi animali e resti botanici (semi di cereali, frutta, funghi xilofagi), le ricerche hanno messo in luce centinaia di pali lignei infissi nel suolo limoso associati a grandi travi dormienti che servivano da fondazioni delle capanne di tipo palafitticolo. In particolare, sono state riconosciute le strutture portanti di capanne sovrapposte tra loro e pertinenti a ciascuna delle fasi individuate. Ora possiamo affermare che gruppi neolitici con tradizioni culturali e provenienze diverse si sono stanziati al Palù di Livenza tra il 4.300 e il 3.600 a.C., scegliendo questo luogo come sede favorevole dove edificare i loro villaggi.
I sistemi costruttivi delle capanne identificati nelle varie fasi presentano analogie di carattere tecnico e utilizzano lo stesso tipo di impianto: si tratta di plinti orizzontali di fondazione e consolidamento delle strutture rialzate su palafitta, la cui funzione poteva essere sia quella di vere e proprie abitazioni che di edifici accessori a esse, come depositi attrezzi o granai. Lunghe travi lignee di quercia di lunghezza variabile tra i 3 e i 4 metri con fori passanti quadrangolari posti a distanza regolare costituivano le fondazioni degli edifici sovrastanti fungendo da “racchette” che consentivano il galleggiamento delle capanne sopra il limo naturale di fondo.
Le strutture individuate documentano una progressiva rotazione nel tempo dell’orientamento delle costruzioni rialzate su palafitta in relazione alla morfologia del terreno, all’esposizione al sole e alle variazioni stagionali del livello dell’acqua. Le capanne, costruite interamente in legno, avevano forma quadrangolare e differivano da quelle costruite in ambiente asciutto per la presenza
di impalcati aerei su palificata, atti a garantirne la stabilità e a preservarle dalla minaccia dell’acqua che al Palù di Livenza costituisce l’elemento naturale che regola ogni cosa. Le pareti erano almeno in parte intonacate con argilla e dentro le abitazioni c’erano dei focolari attorno ai quali si svolgevano le varie attività del vivere quotidiano.
Le indagini effettuate nelle ultime settimane hanno riportato in luce i resti di una struttura su palafitta di dimensioni più ridotte rispetto a quelle individuate nelle fasi più recenti che porta a ipotizzare, anche sulla base dei resti rinvenuti in corrispondenza di essa, che si tratti di un deposito o magazzino dove erano conservate granaglie, mele selvatiche messe a essiccare, blocchi informi di selce e alcuni oggetti lignei non finiti (un piccolo cucchiaio, degli attrezzi agricoli e altri oggetti di difficile interpretazione). Tra i materiali raccolti c’è anche un bastone da scavo in legno che possiamo immaginare come vaga neolitica.
In questi ultimi giorni è emerso infine un reperto di eccezionale valore, non solo per il suo stato di conservazione, quasi perfetto, ma anche per l’unicità della lavorazione: si tratta infatti del nano di un’ascia in legno perfettamente levigata che, per la sua raffinatezza ed è eleganza, potrebbe essere interpretata come un’ascia da parata più che un semplice strumento da lavoro.
Ancora una volta, grazie alle perfette condizioni di conservazione dei resti organici e alle particolari caratteristiche del deposito, Palù di Livenza si dimostra quindi un importante archivio per la conoscenza delle relazioni tra l’uomo e l’ambiente nel passato e per approfondire le informazioni sulla vita nelle aree umide nella preistoria. Non si deve dimenticare infatti che dai livelli del villaggio più recente, databili tra il 3900 e il 3600 a.C. e indagati nelle precedenti campagne, gli scavi hanno consentito di scoprire anche le “gomme da masticare” del Neolitico: si tratta di piccoli grumi di pece di betulla che recano tracce di denti umani e che provano l’abitudine di masticare questa sostanza, forse per le proprietà antisettiche e antinfiammatorie che possiede oppure per il semplice piacere gustativo.
La conclusione delle ricerche nel Settore 3 consentirà ora di avviare una nuova fase di studi e analisi multidisciplinari sui materiali raccolti che speriamo facciano piena luce sul mondo delle palafitte neolitiche del Palù di Livenza.
L’importanza dei siti come il Palù di Livenza è confermata dal fatto che è in corso di realizzazione un Centro visite con il contributo della Regione Autonoma FVG che servirà a far conoscere e valorizzare il sito palafitticolo preistorico secondo le indicazioni dell’UNESCO, presentare la storia del bacino a partire dalla fase pleistocenica e far conoscere le caratteristiche ambientali al pubblico. In questo spazio, i dati e informazioni di carattere archeologico e paleoambientale ricavate dalle indagini effettuate e coordinate dalla Soprintendenza nella zona a partire dai primi anni ’80 del secolo scorso troveranno l’ampio spazio che meritano.
Nella foto:
Mele selvatiche spezzate a metà e carbonizzate dall’incendio del deposito della prima capanna, rinvenute in questi ultimi giorni di scavo al Palù di Livenza.
Info:
Ufficio Comunicazione e Promozione della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia
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