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CAMBRIDGE (GB). L’ostracon con il portale.

ostracon

Quando un artigiano di Tebe, questa l’origine di questo grande ostracon (di circa 42 x 27 cm), oggi conservato a Cambridge, fece questi schizzi su una scheggia di calcare, forse intendeva preparare un bozzetto per una elaborata porta da sottoporre al suo committente.
ostraconL’ostracon è decorato sui due lati, più interessante è quello principale, più rifinito, nel quale la rappresentazione può essere suddivisa in tre zone. Al centro è rappresentato un portale composto dai due stipiti sormontati da un architrave coronato da una cornice a cavetto.
L’architrave è ornato da una lunetta, divisa al centro da una colonna di papiro, con un capitello a forma di bocciolo chiuso e una fascia avvolta attorno all’asta. Appoggiate alla colonna, ma viste di lato, vi sono due divinità in trono appena abbozzate, a destra siede una dea, forse Iside o Hathor e a sinistra Horo dalla testa di falco. La dea porta in capo un disco solare tra le corna di vacca, in una mano uno scettro a forma di papiro e nell’altra l’ankh, simbolo di vita. Il dio Horo indossa la doppia corona, anche lui tiene in una mano lo scettro di papiro ma l’altra mano sembra vuota. Davanti agli dei vi è la figura del donatore rappresentato in piedi, vestito con un kilt corto sopra uno più lungo.
ostraconNello spazio rimanente della lunetta, su ciascun lato, siede un gatto in forma geroglifica ma che guarda in avanti e non, come normalmente accade, di profilo.
Le tre figure in ciascuna metà simmetrica del timpano sono separate l’una dall’altra da linee verticali, probabilmente identificabili con i supporti per la copertura utilizzati nell’architettura vera e propria. Davanti alle figure, all’altezza degli occhi, è lasciato vuoto lo spazio per le iscrizioni dedicatorie che il donatore volesse iscrivere.
Nello spazio rimasto libero nell’architrave sui due lati vi sono, appena tratteggiati, un occhio udjat, ed altri segni. Il fatto che l’offerente nella lunetta non sia dotato dei simboli reali ci fa capire che il committente del nostro abile artista era un privato e non un sovrano.
Lo vediamo poco sotto a sinistra. E’ rappresentato in scala più ampia del portale. Indossa un ampio collare, una lunga parrucca arricciata legata da un nastro, una fusciacca ed un corto gonnellino a pieghe sopra una gonna più lunga, in parte perduta. In una mano tiene uno scettro di papiro e nell’altra un fiore di loto. Cosa piuttosto insolita, il personaggio mostra una corta barba.
Sopra la figura dell’uomo vi è il disegno abbozzato di una testa del dio Ptah, con tanto di calotta e barba, il che fa pensare che il committente fosse un importante scriba che voleva porsi sotto la protezione del dio della sapienza.
Sul lato destro della porta vi è una iscrizione in geroglifici traducibile come: “Conquista il popolo dei Nove Archi”. Questa era una designazione simbolica dei nemici dell’Egitto, il che fa pensare che il committente fosse inserito nei ranghi militari.
ostraconSono particolarmente interessanti le due ante della porta. Nella parte superiore di ogni anta vi è un quadrato bianco destinato a contenere il nome dell’edificio o, forse, del suo proprietario. Le porte degli edifici importanti portavano sempre dei nomi, poiché i portali erano considerati un elemento architettonico autonomo rispetto all’edificio e significativo di per sé.
Il motivo a “rete di perline” che decora le ante della porta sembra imitare le stuoie realizzate con intrecci di perline, o nelle abitazioni più povere con frammenti di steli di canne, che appese davanti alle porte e alle finestre consentivano il passaggio dell’aria, pur garantendo una certa protezione dalla luce e dalla vista, cosa utile in un paese caldo come l’Egitto. Dato però che la porta illustrata nell’ostracon sembra essere di una qualche importanza, il motivo delle perline potrebbe essere solo decorativo e non più funzionale.
Non è chiaro se quello rappresentato fosse il progetto per la porta di un’abitazione di rango o per una lussuosa tomba. Né se l’ipotesi di schizzo per un possibile cliente corrisponda a verità o se si sia trattato solo di un passatempo per l’ignoto artigiano. Quello che è sicuro è che l’intero disegno, pur essendo solo uno schizzo, è di ottima fattura e realizzato da un abile decoratore.
Per quanto riguarda la datazione, l’usanza di inserire nelle porte dei pannelli destinati a contenere un nome è comune, ma non esclusiva, nella XVIII dinastia, mentre lo stile utilizzato per le vignette sul timpano è più frequente nella XIX dinastia. Anche la presenza del gatto nel timpano suggerisce una data non anteriore alla XIX Dinastia.
Per tutti questi motivi l’ostracon della collezione Gayer-Anderson, la cui origine non è nota, è stato datato alla XIX dinastia.

ostraconFonte:
Fitzwilliam Museum, Cambridge GA.4298.1943 Fonte principale Brunner-Traut Emma. Egyptian Artists’ Sketches Figured Ostraka from the Gayer-Anderson Collection in the Fitzwilliam Museum, Cambridge Nederlands Instituut voor het Nabije Oosten Leiden 1979 scaricabile da internet]

Autore: Marina Celegon

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