II caso. Un’associazione di volontariato denuncia il degrado del versante sud di Tuvixeddu. In balia dei vandali la necropoli abbandonata da anni.
In qualunque altro luogo del mondo per vederle comprerebbero il biglietto e ci sarebbe la fila di turisti accaldati e sudati. Ma a Cagliari le necropoli romane le usiamo come discariche e urinatoi, ci costruiamo sopra palazzi e discoteche, le devastiamo con le ruspe, lasciamo che la vegetazione le ricopra o lasciamo che ci vivano i senzatetto.
Che spettacolo desolante, che umiliazione per la città. Andate in viale Sant’Avendrace, lato sud del colle di Tuvixeddu, il versante opposto a quello nel quale le ruspe e gli uomini di Coimpresa stanno realizzando il futuro parco, figlio di un tormentato accordo di programma con il Comune.
Entrate nel vico II, salite le scale e girate a sinistra. Avanzate superando una folta vegetazione sino a quando troverete la prima sorpresa. Dietro l’armatura di legno che un tempo reggeva una porta, nelle pareti di quello che nel ’43 fu uno dei rifugi dei cagliaritani quando piovevano le bombe angolamericane, ci sono i colombari, le splendide tombe ad arcosolio che risalgono al primo e secondo secolo dopo Cristo. Imponenti, bellissime.
Un turista sprecherebbe esclamazioni, probabilmente. “Doveva appartenere a una famiglia facoltosa. Si intravedono ancora il colore giallo ocra delle pareti di un tempo, i fregi rosso pompeiano, le decorazioni floreali e di animali”, spiega Roberto Copparoni, presidente di Amici di Sardegna, un’associazione di volontariato che aderisce al Forum di Cagliari e da anni si occupa di far conoscere ai sardi le bellezze della loro Isola.
Invece c’è da rabbrividire. Sul pavimento ci sono escrementi umani, piatti di plastica, un serbatoio per l’acqua in pvc e altro. Una montagna di rifiuti.
Negli anni ’70 fu una dependance del villino Serra, costruzione eretta tra la seconda metà dell’800 e il dopoguerra che svetta pochi metri più avanti e guarda in faccia i palazzoni di viale Sant’Avendrace che interrompono bruscamente la visuale sulla laguna di Santa Gilla. I proprietari di quella casa, che possedevano anche i terreni vicini, hanno usato le straordinarie testimonianze romane, le tombe, le cisterne, come discoteca e servizi annessi. In una suggestiva grotta alla sinistra della casa, collegata con una scala in cemento, c’è ancora quello che resta della consolle, ricavata su una tomba.
Più si avanza e più ci si sorprende, più si calpestano stereo e detriti, più si viene disgustati dall’odore nauseabondo, più il ronzio delle mosche copre il suono dei clackson, più si trovano reperti oltraggiati, bruciati, e più si resta basiti per l’abbandono, per l’indifferenza che ha fatto sì che si erigessero persino muri in cemento per costruire, sopra le tombe, i bagni e qualche locale di servizio alla villa. Compresa quella di Rubellio, coevo a Cassio Filippo che fu mandato in esilio a Cagliari in epoca Neroniana.
La più bella, con una lapide davanti all’ingresso. È una delle tante grotte del colle abitate da barboni e senzatetto. Qualche metro sotto, separata da un muro in cemento, si intravede ciò che fu della discoteca all’aperto.
Che lusso ballare sulle camere funerarie, sulla storia, che goduria fare pipì su una decorazione di un millennio fa! Perché è stato consentito tutto questo?, perché non c’è ima recinzione che impedisce di continuare a fare danni?, perché lasciare che un patrimonio della città venga devastato? Quel tratto di terra di recente sarebbe stato ceduto al Comune da una società privata in cambio della possibilità di costruire alcuni palazzi più avanti. Sarà un pezzo del parco che verrà, probabilmente. Ma se non rimarrà nulla a che cosa servirà?
Fonte: L’Unione Sarda 21/06/05
Autore: Fabio Manca
Cronologia: Arch. Romana