Le distese infinite di ulivi si inerpicano ovunque in questa terra bruciata dal sole. Qui, a due passi da Sciacca, a ridosso di Corleone, nel distretto Alto Verdura e Gebbia, nella provincia del Partenone di Agrigento, domina l’infinito, quello di paesi segnati dal tempo e dai mattoni mai intonacati. Arrivare a Villafranca Sicula è come arrampicarsi nei racconti del commissario Montalbano, alle prese con i misteri narrati da Andrea Camilleri. I filari di fichi d’india, in questo tratto a sud dell’Isola maggiore, rivolto più verso l’Africa che all’Italia, hanno da sempre prevenuto le recinzioni d’ordinanza, colorando i confini dei poderi rispettati con uno sguardo a distanza. Imbattersi al numero 51, nella via delle Rovine, è come incrociare un pennello di bianco in un crocevia di ruderi e cemento a vista.
Non c’è nemmeno un bigliettino da visita sulla facciata, i cartelli e le insegne non sono per un paese discreto e silenzioso. Le strade che si affacciano direttamente sulla campagna sono arse dal tempo e da buche rattoppate alla bell’e meglio. In questo cantuccio di 1.377 anime, quelle registrate ufficialmente all’ufficio anagrafe del Comune, nel cuore della Sicilia più profonda, è registrata la Venezia s.r.l., impresa edile, specializzazione scavi archeologici.
Da qualche ora è ufficialmente la titolare degli scavi archeologici nella collina più delicata e importante della Sardegna, quella dei Giganti, a Mont’e Prama, nell’eremo del Sinis, comune di Cabras.
Quattrocentonovanta chilometri, facendo finta che si arrivi percorrendo la linea d’aria. In realtà la distanza, considerando la tortuosità delle strade per raggiungere il traghetto Palermo-Cagliari, passando per Corleone, è abissale. Solo un temerario può scegliere di rendere economico e, persino, guadagnare da una campagna di scavi in un fazzoletto di terra incastonato in una collina totalmente inesplorata, o quasi, dall’altra parte del mare. Eppure non c’è stato niente da fare: Vincenzo Venezia, titolare dell’omonima impresa di Villafranca Sicula, è il vincitore della gara d’appalto indetta dal Ministero della Cultura attraverso il segretariato regionale per la Sardegna.
Dalla terra degli ulivi a quella dei Giganti il passo è lungo, ma il ribasso con il quale l’impresa si è aggiudicata i lavori ha fatto la differenza. Con una precisione millimetrica ha centrato la soglia di offerta anomala, il 25,55334%. In pratica, con una sorta di media tra le offerte al ribasso più alte e più basse, è stata definita la soglia entro la quale affidare le opere.
L’uomo di Villafranca Sicula ha sfoderato una fortuna infinitesimale vincendo la gara con un ribasso del 25.35%. Dunque, nella terra dei Giganti, dopo una gestazione dell’appalto durata più di sei mesi, arriverà un’impresa dalla Sicilia, con la “gioia” di tutti gli archeologi isolani, quelli sardi, che magari avevano sperato di poter lavorare nelle colline di Mont’e Prama. Si potrebbe dire, ma c’è stata una gara. Sì, certo. Ma è anche vero che stiamo parlando di un sito che, per la delicatezza e la rilevanza, non può certo essere liquidato con una gara d’appalto al massimo ribasso con una media sull’offerta anomala. C’erano altre strade? Ovviamente sì. Si tratta di quelle modalità di gestione della ricerca e degli scavi che una parte degli uffici di Stato contrastano senza mezze misure, ovvero l’affidamento dei lavori archeologici alle Università sarde, quelle di Cagliari e Sassari.
A molti non piace che gli Atenei sardi siano stati gli unici, in quest’ultimo decennio, ma anche prima, a saper innovare le modalità di ricerca e scavo archeologico, dimostrandone l’efficacia in termini di ritrovamenti e di approccio scientifico. Il risultato è servito: impresa siciliana in terra di Giganti. Certo, non si può dire che l’importo dell’appalto sia di quelli da far trasecolare: roba da elemosina di Stato, appena 265mila euro. Un lavoro di scavo che “bloccherà” l’area dello scavo per un anno, consapevoli del fatto che su un’area ancora così limitata sarà impossibile far lavorare altri soggetti.
Il contratto è di quelli dai tempi lunghi, con l’elemosina ministeriale che striscia come una lumaca nel cantiere di Mont’e Prama. Se la sono presa larga negli uffici del ministero: durata dell’appalto o termine di esecuzione 365 giorni naturali e consecutivi decorrenti dalla data del verbale di consegna dei lavori. Chi ha un minino di praticità nella gestione di cantieri ben può comprendere che quella cifra irrisoria non lascia scampo: si tratta di un lavoro che ha un unico scopo, perdere ancora tempo rispetto a questioni dirimenti che si continua ad eludere in modo plateale.
Nonostante promesse mirabolanti di cantieri imminenti che non iniziano mai, di opere rilevanti che albergano solo nell’inconcludenza perenne, il sito dei Giganti è sempre un modesto fazzoletto di terra di meno di un ettaro, senza alcun serio progetto di valorizzazione, di fruizione e, soprattutto di ampliamento. Si è perso nel tempo l’esproprio preannunciato, ma mai compiuto delle aree intorno allo spazio recintato. Nessuno dice o comunica formalmente le ragioni di quel ritardo, che si aggiunge allo scandalo di quei terreni intorno al ritrovamento dei Giganti, prima autorizzati alla piantumazione di un mastodontico vigneto, da parte della Soprintendenza, e poi, dopo l’entrata in produzione dei vitigni, dichiarati, come fosse un miracolo, d’interesse archeologico.
Tempi di autorizzazione dei vigneti, dichiarazioni d’interesse archeologico, e procedure d’esproprio meriterebbero ben altre valutazioni, da più organi dello Stato, a partire dall’effetto più evidente: il danno erariale. In questo caso, infatti, i terreni non saranno più pagati con una valutazione meramente agricola, ma dovranno essere risarciti, per assurdo, come vigneti ad alta redditività, con tutto quello che ne consegue in termine di aggravio di esborso di denaro pubblico. A nulla serviranno concorsi progettuali se resta indefinito, come a tutt’oggi, il confine dell’area oggetto degli scavi futuri e le emergenze archeologiche che dovessero emergere. In pratica si continua a spendere un mare di denaro pubblico, per viaggi vacanze, senza alcuna seria e concreta strategia, “promuovendo” un sito ridotto ad un cumulo di erba e degrado.
Se insegui gli sparuti cartelli bianco-marron-turistico che all’ingresso di Cabras indicano il sito di Mont’e Prama più che una collina rischi di trovare una foresta amazzonica, con erba che scollina di gran lunga la recinzione e oscura l’orizzonte persino a quella telecamera inerpicata a tre metri d’altezza.
Le immagini che riproduciamo sono eloquenti, ma non quanto l’impatto diretto e devastante con quell’area, ritenuta dai più la culla della civiltà nuragica, capace di riscrivere pagine importanti della statuaria mediterranea. Sembra che, dopo la “Damnatio memoriae” che ha devastato i Giganti, ora nelle colline del Sinis si sia abbattuto un vero e proprio menefreghismo che impedisce anche un solo minimo rispetto, culturale, archeologico e anche morale, di quel sito e della sua storia.
Con grave ritardo è stato eliminato lo sfregio del cartello che indicava l’area come sito di un itinerario romanico, ma lo scenario che si prospetta al malcapitato visitatore non lascia adito a dubbi: degrado e menefreghismo per la storia millenaria dell’Isola dei Nuraghi. Intanto, non si ferma il gruppo vacanze.
La nuova missione per una delle statue millenarie questa volta è a New York. Alla faccia degli esperti che hanno spiegato in ogni modo che quel patrimonio così delicato non si dovrebbe muovere per nessun motivo. La sintesi è cruciale: degrado sulle colline dei Giganti, con tanto di vacanza premio nella Grande Mela. La nuova spedizione estera a Manhattan non ha ancora svelato nomi e cognomi degli accompagnatori dei Giganti, mentre i costi di questa nuova missione restano un mistero.
A Mont’e Prama, intanto, cresce degrado e abbandono.
Autore: Mauro Pili
Fonte: www.unionesarda.it, 19 maggio 2023