Sorpresa: i lavori per la linea sotterranea hanno riportato alla luce un palazzo imperiale e il porto del II secolo, ma anche un’antica barca romana. Per cui ora parte la nuova sfida: estrarla senza farla andare in pezzi.
Immaginate che fra duemila anni il fondo del mare del porticciolo di Mergellina venga prosciugato da enormi idrovore. Che cosa si troverebbe sul fondo? Certamente buste e bottiglie di plastica, lattine, e forse anche televisori, computer e ogni tipo di materiale da discarica. Se la nostra civiltà nel frattempo si fosse estinta, chi abitasse a quel punto la Terra potrebbe provare una certa curiosità di fronte alla nostra immondizia. Ma sarebbero pur sempre rifiuti. Niente di romantico, di cui andare fieri. Niente che possa essere anche soltanto paragonato alla bellezza di quel che abbiamo visto calpestando il fondo marino del porto di Napoli del secondo secolo dopo Cristo, venuto alla luce durante gli scavi per la metropolitana di piazza Municipio, a fianco al Maschio Angioino e davanti alla stazione marittima, dove partono le navi che solcano il Mediterraneo e gli aliscafi per le isole.
Un’immagine indimenticabile. Una barca di tredici metri insabbiata e accanto, ricoperta dalla sabbia e dal fango, il pezzo di una chiglia di un’altra imbarcazione, tutto intorno anfore orientali perfettamente integre, alcune ancora sigillate con tappi di sughero e piene di olio, vino e “garum”, una salsa di pesce di cui i romani erano ghiotti. Ma anche cocci di vasellame africano, frammenti di ancore, conchiglie, lembi di cima, lucerne dipinte, alcune con scene erotiche, noccioli di pesca, suole di sandali, aghi per rete, vasi di vetro sigillati, portaprofumi e monete raffiguranti l’imperatore Commodo e Marco Aurelio. Giace tutto sul fondo di questo porto prosciugato, in un enorme cratere al centro di piazza Municipio con le macchine che sfrecciano intorno.
Si chiama archeologia urbana, e solo le grandi opere possono mettere a disposizione i mezzi per fare scoperte grandiose. Che Neapolis avesse un porto si sapeva già dall’Ottocento. L’archeologo Mario Napoli lo aveva localizzato proprio tra piazza Plebiscito e piazza Municipio. E lo storico Bartolomeo Capasso studiando documenti medievali aveva individuato due bacini portuali, uno a piazza Borsa e l’altro al Municipio. Entrambi avevano ragione. Ma adesso che è stato ritrovato il porto di Napoli, quale sarà il destino dei due relitti?
Valeria Sampaolo, soprintendente ai beni archeologici di Napoli e Caserta, ha chiamato per un consulto i tecnici della Soprintendenza di Pisa, che qualche anno fa si trovarono di fronte al ritrovamento nel porto della città toscana di diversi relitti di nave. “Ancora non sappiamo quali metodi di scavo e di restauro scegliere. A Pisa è stato creato un doppio guscio in vetroresina che aderisce allo scafo sotto e sopra, noi stiamo pensando a fare soltanto il guscio inferiore e lasciare libera la barca, ma è ancora tutto da decidere. Rimuovere una barca senza fare danni è complicato. Quindici anni fa a Ercolano usarono del silicone per riempire le connessure di un relitto ritrovato, col risultato che questo ha totalmente aderito al legno che non si stacca più. Ma qualsiasi lavoro verrà fatto tenendo la barca sempre bagnata: se il legno si asciugasse si disintegrerebbe”.
Intanto i responsabili della metropolitana hanno già una proposta. “Pensiamo di creare un laboratorio di restauro sul luogo del ritrovamento. E in futuro un museo all’interno della stazione con alcuni dei reperti trovati”, dice Giannegildo Silva, presidente della metropolitana di Napoli. “Il lavoro va a singhiozzo, ogni ritrovamento è una battuta d’arresto. Avevamo previsto di consegnare le cinque nuove stazioni della metro tra il 2007 e il 2008, ma i recenti ritrovamenti a Municipio e al Duomo ci impongono una riprogrammazione. Del resto ce lo aspettavamo, sapevamo che con quelle due stazioni saremmo andati a lambire Neapolis e che là sotto c’è un tesoro”.
Silva non esagera. Oltre al Porto di Napoli, nel cantiere Duomo, di Piazza Nicola Amore, a due passi dalla stazione centrale e dall’università, a 13 metri, cioè al livello del mare, sono stati trovati i resti di un grande edificio della prima età imperiale, fra Augusto e Claudio. “Sorgeva al di là delle mura della Neapolis greca, sulla quale venne poi costruita la Neapolis romana, vicino al mare, che allora era più avanzato”, spiega Daniela Giampaola, l’archeologa direttrice dei lavori di emergenza della metropolitana che ci accompagna nei cantieri. “Neapolis sorgeva nel quadrilatero tracciato da via Foria, via Costantinopoli, corso Umberto e via Carbonara, ed era tutta cinta da mura anche se in età imperiale, cioè all’epoca a cui risale l’edificio, le mura avevano perduto la funzione difensiva perché a Roma regnava la pax augusta. Qui a piazza Nicola Amore siamo a sud del perimetro tra le mura e il mare”.
Quel che si vede nell’enorme cratere scavato dalle ruspe è un gigantesco frammento di architrave in marmo di un edificio con un pavimento interno in bianco e nero a mosaico e uno esterno fatto di tessere di marmo policrome, oltre a frammenti di trabeazione e di colonne. “Ormai abbiamo la certezza che fosse un edificio templare di età Giulio Claudia di committenza imperiale”, spiega Daniela Giampaola: “Nel settimo secolo dopo Cristo il luogo venne abbandonato, lo sappiamo dalla stratigrafia e dai carotaggi eseguiti, il mare arretrò, e la zona divenne una palude almeno fino al XII secolo, quando si trasformò in un quartiere artigianale che produceva ceramiche. Lo supponiamo perché abbiamo trovato diverse fornaci”.
Nel Medio Evo la zona ebbe nuova vita. Lo conferma una fontana di pietra decorata con graffiti trovata accanto ai reperti imperiali. Una mano ignota ha rappresentato tre navi, che fanno il loro ingresso in una città fortificata, le navi sono munite di remi, compreso il remo timone, stendardi, e su una è issata una vela romana. “In effetti abbiamo fatto un viaggio a ritroso ricostruendo tutta la storia della città. Per arrivare all’edificio romano abbiamo attraversato i secoli. Partendo dagli edifici abbattuti nell’Ottocento dopo l’epidemia di colera che portò al risanamento dei quartieri bassi, al sedicesimo secolo, poi il Medioevo”.
L’ultima scoperta risale a due settimane fa: è stata trovata una testa di marmo a grandezza naturale probabilmente di una statua appartenente a un rappresentante della famiglia Giulio Claudia, forse Germanico. Ma non è finita qui. Ogni settimana dal ventre di Napoli emergono nuovi tesori, vestigia di un passato di oltre ventisei secoli. “Le profonde radici della città sono una fortuna e una condanna”, commenta il vicesindaco Rocco Papa il quale ci tiene a sottolineare che gli oneri della ricerca archeologica sono interamente a carico del Comune. “Una croce deliziosa che permette la costruzione della città del futuro sulle orme del passato”.
Fonte: La Repubblica 05/03/04
Autore: Brunella Schisa
Cronologia: Arch. Romana