L’Università di Ferrara scrive una nuova pagina sulla storia dell’evoluzione umana grazie alla scoperta, nel corso di una campagna di scavi nella Grotta della Ciota Ciara (Borgosesia, Vc), dei più antichi resti umani del Nord Italia. Si tratta dell’incisivo inferiore di un adulto di giovane età ben conservato e di un osso occipitale intero (ovvero la parte posteriore del cranio), attribuibili al genere Homo.
Sono questi gli importanti reperti rinvenuti nel corso degli scavi diretti da undici anni da docenti, ricercatrici, ricercatori, studentesse e studenti del Dipartimento di Studi Umanistici del nostro Ateneo, grazie alla concessione del Ministero per i Beni e le attività Culturali. Gli scavi sono condotti in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli, il Comune di Borgosesia (che insieme a Unife finanzia le ricerche), l’Ente Gestione Aree Protette della Valle Sesia, il Museo di Archeologia e Paleontologia “Carlo Conti” e i membri dell’ex Gruppo Archeologico e Speleologico di Borgosesia.
“Durante gli scavi sono stati raccolti moltissimi dati che hanno permesso di delineare un quadro preciso delle fasi di occupazione preistorica della grotta – commenta Marta Arzarello della Sezione di Scienze preistoriche e antropologiche di Unife – I reperti che abbiamo rinvenuto, soprattutto l’osso occipitale, sono davvero fondamentali per definire la storia evolutiva dell’Uomo in Europa. Proprio su di esso sono presenti delle strutture che definiscono la specie Neandertaliana: il famoso ‘Chignon’ (rigonfiamento) occipitale e la sottostante fossa soprainiaca. Queste due strutture iniziano a comparire in maniera sporadica già nell’antenato del Neanderthal, Homo heidelbergensis e diventano molto definite e marcate nell’Uomo di Neanderthal”.
Un ritrovamento davvero importante, non solo perché i resti preistorici di questo periodo sono pochi in tutta Europa, ma soprattutto perché permetteranno di documentare il periodo cronologico che vede il passaggio dall’Homo heidelbergensis all’Homo neanderthalensis.
“Nonostante nel reperto rivenuto nella grotta si noti la presenza di un rigonfiamento occipitale, questo è poco sviluppato e molto meno marcato rispetto a quello presente negli individui Neandertaliani – precisa Julie Marie Arnaud, paleoantropologa della sezione di Scienze Preistoriche e Antropologiche – È possibile quindi affermare, in modo preliminare, che questo resto appartenga ad una forma arcaica della specie neandertaliana o addirittura ad un Homo heidelbergensis. Teorie che saranno verificate grazie allo studio interdisciplinare che intraprenderemo nei prossimi mesi”.
I reperti saranno presentati durante una conferenza stampa che si terrà presso il museo di Archeologia e Paleontologia “Carlo Conti” di Borgosesia a settembre.
La collaborazione con istituti di ricerca italiani e internazionali ha permesso di ricostruire il modo di vita dell’Uomo preistorico che ha frequentato le grotte del Monte Fenera durante le prime fasi del Paleolitico medio, che si estende da 300 mila fino a circa 35.000 anni fa e durante il quale, in Europa, sono state presenti due specie: Homo heidelbergensis e Homo neanderthalensis.
La grotta è stata probabilmente utilizzata in una prima fase solo come rifugio durante la caccia e successivamente per delle occupazioni più lunghe, probabilmente stagionali per poi finire con un’ultima occupazione di breve durata. L’Uomo preistorico ha sfruttato le rocce locali per la produzione di strumenti e ha cacciato le specie presenti nell’area come il cervo, il cinghiale, il camoscio e il rinoceronte. In alcuni casi ha raccolto delle materie prime di migliore qualità in aree più distanti dal sito e ha portato alla Ciota Ciara strumenti già confezionati.
L’analisi dei denti dei micromammiferi (piccoli roditori), ha stabilito che il clima fosse temperato, con un incremento dell’aridità e un abbassamento delle temperature nei livelli più bassi. Sono stati rinvenuti anche i resti di altri carnivori come la pantera, il leone, la lince, il lupo, il tasso e la martora, che hanno probabilmente occupato la grotta nei periodi in cui l’uomo non era presente.
La datazione, con metodi radiometrici, del sito è ancora in corso presso il Muséum National d’HIstoire Naturelle di Parigi, ma i risultati preliminari lasciano pensare che la parte centrale (in termini di cronologia) del giacimento sia da attribuire a circa 300 mila anni fa.
Fonte: www.estense.com, 4 lug 2019