I pezzi presenti in museo spaziano dall’età imperiale romana (il cippo miliare dell’imperatore Claudio del 47 a.C. con le sue ritrovate due basi marmoree, una del secondo Cinquecento e una di epoca umbertina post risorgimentale) alla metà del XVII secolo: si tratta di una raccolta lapidea assolutamente eterogenea, per non dire eccentrica o estemporanea, perché nata non da mirata ricerca bensì dal puramente occasionale accumulo storico di materiali, resti, ritrovamenti e salvataggi postbellici, raccolti a casaccio dal secondo dopoguerra in poi in quella che era una corte del museo, ma ceduto in uso alla locale azienda elettrica per quelle cabine dell’alta tensione, costruite nello stile trionfalistico, ma funzionale e perfino di lineare eleganza, che caratterizza l’architettura degli anni Trenta (votata, qui in Alto Adige/Sud Tirolo, ad asserire la forzata «italianità» della cultura e della tradizione locale).
Dismesso da molti anni l’uso delle cabine, Anna Vittorio, inarrestabile direttrice della Ripartizione Cultura del Comune di Bolzano, ha realizzato un triplice lavoro di recupero: il cortile trasformato in hortus conclusus museale, il restauro e utilizzo espositivo delle cabine (fastose e spaziose di pavimenti in marmo lucidato) e soprattutto recupero, catalogazione, esposizione di tutti i materiali lapidei accumulati, nonché l’avvio, sui singoli reperti, di ricerche multidisciplinari su fonti documentarie e archivistiche.
Nel Lapidario convivono quindi, accanto a pezzi già appartenenti alle collezioni (come l’antico fonte battesimale in marmo rosato di stile romanico del XIII secolo) quei molti frammenti provenienti dal giardino, salvati dall’allora soprintendente Niccolò Rasmo dalle chiese bombardate e bruciate negli anni 1943-45, fra cui la mensola figurata policroma in arenaria dipinta (1400 ca), i frammenti delle lastre tombali dei patrizi bolzanini Hieronymus e Catharina Penzinger in «marmo rosso di Trento» (calcare ammonitico rosso) datate 1573 e 1560 e l’importante lapide funeraria in arenaria del XIV secolo con l’araldica dei Conti Boymont (illustri feudatari tirolesi dal Duecento a fine Settecento) che, proveniente dalla chiesa di Santa Giustina di Appiano, suggerisce la confluenza anche di materiali provenienti dai dintorni di Bolzano.
Autore: Giovanni Pellinghelli del Monticello
Fonte: www.ilgiornaledellarte.com, 29 nov 2022