Recenti test effettuati su Takabuti, una delle mummie egizie più studiate, esposta al Museo Ulster di Belfast, hanno rivelato risultati inaspettati che gettano nuova luce non solo sulla sua storia, ma su quella dell’Antico Egitto…
Le nuove tecnologie d’indagine utilizzate per ricostruire la storia dell’Antico Egitto, hanno svelato interessanti segreti nascosti da Takabuti, la prima mummia della terra di Kem a raggiungere l’Irlanda, quando Thomas Greg, un ricco uomo irlandese, acquisì i suoi resti nel 1835 e li portò dall’Egitto in Irlanda del Nord. All’epoca, l’egittologo Edward Hincks decifrò i geroglifici sul sarcofago che la custodiva, scoprendo che si trattava della figlia di un sacerdote di Amon (come spiega il sito di storia irlandese Stair na hÉireann). Da allora Takabuti è stata sottoposta nel tempo a diverse analisi, scansioni radiografiche, TC (tomografia computerizzata), analisi dei capelli e datazione al radiocarbonio.
In occasione del 185° anniversario della sua scoperta, un team di ricercatori ha rivelato nuovi risultati sconcertanti su questa misteriosa donna dai capelli chiari e ricci, che si pensa visse 2.600 anni fa alla fine della XXV dinastia. Non solo fu pugnalata, morendo prematurammemte all’età di 20 anni, ma il suo DNA risulta essere geneticamente simile a quello degli europei. Oltre ad avere un dente in più, 33 anziché 32, che si verifica solo nello 0,02% della popolazione, e una vertebra extra, il suo cuore è ancora lì, perfettamente intatto e conservato. Non è stato asportato nel processo di mummificazione come si supponeva prima. Gli scienziati, infatti, sino ad ora non lo avevano individuato. Perché? Una domanda alla quale al momento gli studiosi non hanno saputo dare una risposta, pur supponendo che tale asportazione dell’organo era presumibilmente praticata solo su alcuni individui. Forse la causa è dovuta alla giovane età della donna e alle modalità della sua morte.
Segni di ferite mostrano, infatti, che Takabuti fu pugnalata. I bendaggi per tamponarle probabilmente ne impedivano la visione. In particolare, le scansioni TC hanno evidenziato una grave ferita nella parte posteriore della parete toracica superiore sinistra. «Tuttavia, la TAC rivela anche caratteristiche insolite e rare del suo processo d’imbalsamazione, al momento inspiegabili» sottolinea su Live Science il chirurgo Robert Loynes, attualmente docente onorario presso il Centro KNH per l’egittologia biomedica dell’Università di Manchester, che ha eseguito lo screening e il recupero del DNA dalla biopsia effettuata sulla mummia. A rendere ancora più misteriosa questa figura femminile è la sua impronta genetica: «L’H4a1 riscontarato in Takabuti è relativamente raro, in quanto, a mia conoscenza, non è presente negli antichi egizi, né tanto meno tra gli egiziani moderni. I miei risultati concordano con altri studi in corso, che mostrano caratteristiche geneticamente più simili agli europei rispetto agli arabi», spiega la genetista Konstantina Drosou sulla rivista della Manchester University. Come abbiamo segnalato su FENIX n.134, in un articolo che collega il culto sacerdotale egizio all’Anatolia e al santuario megalitico di Göbekli Tepe, i risultati, pubblicati sulla rivista “Nature Communications” da Verena J. Schuenemann nel 2017, ci dicono che il 50% del DNA delle mummie è risultato natufiano, il 30% anatolico-neolitico e quasi il 20% iraniano-neolitico (presumibilmente dai monti Zagros).
Un argomento controverso da decenni, sempre rifiutato dagli egittologi a causa delle implicazioni che potrebbe avere, è la discendenza genetica dei primi faraoni. La presenza di mummie nobili dai capelli rossi, in Egitto, è sempre stata sottovalutata o mai spiegata, tranne che per l’effetto del sale natron usato per imbalsamarle. Oggi la genetica ha invece confermato che la nobiltà più antica dell’Egitto aveva i capelli rossi…
Come ha spiegato Marco Rocchi sul n.117 di FENIX, (luglio 2018), l’idea generale fra gli archeologi è sempre stata quella di pensare che i capelli chiari, in terra di Egitto, fossero un’assoluta rarità e che tutti i corpi rinvenuti fino ad adesso, dovessero la colorazione della propria capigliatura, all’effetto dei Sali di Natron. Una recente ricerca, eseguita dal Dott. Janet Davey del Victorian Institute of Forensic Medicine in Australia, dimostrerebbe che molti antichi abitanti della valle del Nilo, sarebbero stati naturalmente rossi o biondi di capigliatura. Fino a ora si tendeva a dimostrare come il colore fulvo/biondo delle chiome di molti personaggi imbalsamati nella terra di Kemet, fosse un prodotto degli effetti provocati dai complessi e lunghi processi necessari all’imbalsamazione del defunto. Nei rituali di preparazione e sepoltura del cadavere, lunghi fino a 70 giorni, si sottoponeva il corpo ad una forzata disidratazione con l’utilizzo dei Sali di Natron. L’asportazione degli organi interni, il lavaggio del corpo in ogni sua parte, l’unzione con oli, ed appunto l’immersione nei Sali di Natron per 40 giorni, era l’insieme delle azioni necessarie per eliminare ogni traccia di acqua dal corpo ed abbattere la presenza dei batteri responsabili della decomposizione. Il Dott. Davey ha eseguito una lunga serie di esperimenti su molti campioni di capelli, con il chimico industriale Alan Elliot. Sono stati prelevati campioni di vario tipo (grigi, scuri, tinti con Hennè, di uomini e di donne), da 16 diverse persone di età compresa fra i 4 anni ed i 92 anni. I campioni sono stati tutti immersi per la durata di 40 giorni, sotto una coltre di Natron. Al termine del periodo di trattamento, sono stati analizzati attentamente al microscopio: non presentavano alcuna alterazione, nè di colori, nè di qualsiasi altra natura. A conferma di quanto scoperto, ci viene in aiuto una delle mummie più antiche del periodo Predinastico, mai rinvenute prima in terra di Kemet, è la nota “The Ginger”. “La Rossa”, che risale al 3.500 a.C.. Fu rinvenuta da Wallis Budge nel deserto di Gebelein alla fine del XIX secolo. È attualmente conservata al British Museum e la colorazione della sua chioma, oltre la sua struttura, suggerisce che un tempo gli antichi egizi fossero molto più alti e più chiari di capelli, di quanto si pensasse fino a quel momento. Quello che toglie ogni dubbio, è il fatto che questa, come altre mummie del periodo del Predinastico, mummificarono naturalmente (quindi senza l’ausilio del Natron) sfruttando le alte temperature della sabbia del deserto e la totale mancanza di umidità della necropoli.
Lo studio svolto da ricercatori dell’Università di Tübingen e del Max Planck Institut, pubblicato a maggio 2017, è riuscito a sequenziare il genoma mitocondriale e nucleare tratto da 151 antiche mummie egizie dimostrando che gli antichi egizi erano strettamente legati alle popolazioni del Medio Oriente e alle popolazioni neolitiche dell’Anatolia e dell’Europa. Gli autori osservano che si tratta dei primi risultati veramente affidabili, grazie al ricorso alle più avanzate tecniche di sequenziamento e all’uso sistematico di test di autenticità per garantire l’origine effettivamente antica dei dati ottenuti. Quanto colpisce di questi risultati è che «gli antichi egizi erano strettamente legati alle popolazioni del Medio Oriente e alle popolazioni neolitiche dell’Anatolia». Si tratta certamente di un collegamento ancestrale perché la sequenza genetica scarta la possibilità che questo DNA sia derivato dagli Hyksos, dichiarando senza dubbio che il collegamento risale invece al Neolitico. E questo conferma quanto l’antica elite che governò l’Egitto da tempi preistorici, comunque la si chiami, non solo era ben diversa dall’egiziano attuale, ma possedeva caratteristiche somatiche che erano inequivocabilmente associate alla regalità, la più importante delle quali era il capello fulvo.
Il progetto, oltre agli esperti del prestigioso ateneo, ha coinvolto anche i ricercatori della Queen’s University di Belfast, dell’Università John Moores di Liverpool, del Kingsbridge Private Hospital e del National Museums NI (Irlanda del Nord). «Esiste una ricca storia di ricerche sulla mummia di Takabuti da quando è stata portata a Belfast, ma le ultime analisi ci forniscono informazioni nuove e molto più dettagliate. La presenza del cuore non può essere sottovalutato, poiché nell’Antico Egitto questo organo veniva rimosso», aggiunge Greer Ramsey, curatore della divisione archeologica presso il National Museums NI. I test e l’esame di Takabuti sono stati effettuati per mesi, utilizzando le più avanzate tecnologie d’indagine. «Questo studio aggiunge un importante tassello alla nostra comprensione anche del contesto storico dei tempi in cui visse Takabuti. La scoperta del suo patrimonio europeo determina una svolta significativa nella ricostruzione della storia dell’Egitto», aggiunge Eileen Murphy, bioarcheologo presso la Queen’s University della Belfast’s School of Natural and Built Environment. I risultati di tutte le indagini effettuate sulla mummia di Takabuti dal suo ritrovamento a oggi saranno raccolti in un libro di prossima pubblicazione, curato dal gruppo di ricerca che ha eseguito gli ultimi studi e supportato dall’Engaged Research Fund, dalla Queen’s University di Belfast e dal KNH Center for Biomedical Egyptology dell’Università di Manchester. I dettagli delle nuove scoperte sono reperibili nella galleria dell’Antico Egitto nel Museo Ulster, dove Takabuti è attualmente in mostra.
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Fonte: www.enigmaxnews.com, 27 gen 2020