In stradella Martinez, sulla via per Carbonara, il cantiere archeologico – fermo da mesi – è stato «violato» dai lavori – fermi da mesi pure quelli – per la fogna. La Circoscrizione Picone-Poggiofranco vuole investire negli ipogei. La parola magica? «Pis»: progetti integrati di settore. Ma i tempi sono lunghi. Quale destino per la chiesa rupestre di Santa Candida?
Le chiese rupestri di Bari hanno una caratteristica particolarissima: sono a due absidi, mentre Santa Candida è in assoluto il tempio più complesso con ben cinque navate, ma quella di stradella Martinez è certamente la più antica, legata alla presenza di un monastero scavato accanto alla chiesa. Inoltre vi si veneravano sacre reliquie, nell’abside dietro l’altare, infatti, vi è una tomba e questa posizione privilegiata non poteva che essere dedicata ad un santo, non identificato.
Telefonata in redazione. Una voce, è una donna, si presenta. Racconta:«Vado a correre in via Martinez, l’insediamento rupestre da tempo è stato distrutto dalle ruspe. Stavano scavando per le nuove condotte della fogna, ci sono passati sopra. Invece di deviare, pochi metri. Penso che non abbiano voluto “toccare” il terreno di un noto imprenditore e politico barese».
Solo supposizioni. Però l’ipogeo è andato. Anzi sono due gli ipogei noti, a metà strada tra Bari e Carbonara. Anche se qui scavare è come una caccia al tesoro. Campagna ricca di storia. Ex campagna, a voler mettere il dito nella piaga. Tant’è. A pochi metri, nel 2004 – sempre i soliti lavori per la fogna – da una fossa calcarea, a ridosso della masseria Stevanato, «escono» due teschi umani circondati da sei corna di buoi e reperti d’argilla e di pietra. Un flash sulla nostra preistoria, 6-7 mila anni fa.
«Ciò che resta di un sito neolitico – spiegò Francesca Radina, della Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia -, ma l’indizio di un insediamento più ampio, dove per un certo periodo è vissuto un popolo di agricoltori e allevatori». In un modo o nell’altro insomma, tutta l’attuale fascia periferica a ridosso della città, dal San Paolo, passando per Poggiofranco, Carbonara e fino ai centri dell’immediato entroterra, celano segreti. Tesori che a volte è meglio se ne stiano nascosti.
A Ceglie del Campo per allargare il cimitero ci hanno messo anni. Da ogni scavo veniva fuori qualcosa.
A Rutigliano, sulla stessa linea, in direzione da Nord verso Sud Est. C’era una capanna a S. Martino, il pianoro affacciato sulla grande lama di S. Giorgio. Una capanna dell’Età del ferro che lascia intravvedere ancora il suo lastricato di pietre sconnesse e argilla, i buchi dove erano conficcati i pali, i rozzi grumi dell’intonaco e i cocci di stoviglie: coppe, ceramiche. Frammenti di storia in frammenti. Con una sorpresa all’interno della capanna, la tomba di un bambino.
Di corsa in via Martinez. La Radina invita i cittadini a collaborare, soprattutto quando scavi nuovi e antichi si avvicinano pericolosamente: «Fate segnalazioni alla Soprintendenza». Soprintendenza che è al corrente del danno fatto all’ipogeo. Danno che dovrebbe essere presto riparato. «Grazie ai fondi ed alla collaborazione dell’Acquedotto abbiamo recuperato molti dei reperti esposti a Palazzo Simi». Nessuna accusa «e basta», dunque. Anche se dal cantiere tra Bari e Carbonara i dubbi si sollevano: «È tutto fermo da mesi, lavori e ipogeo». Come salvare il patrimonio rupestre di Bari? La ricetta era quella di coinvolgere le Soprintendenze, Regione, Comune, la gente, le associazioni. Per ora le ultime buone nuove arrivano da «un progetto ampio che mira alla creazione di un itinerario turistico e culturale» che comprenda ipogei, chiese rupestri e siti archeologici.
Ne parlò un paio di mesi fa l’assessore ai Lavori pubblici, Simonetta Lorusso. Si tratta di spostare cumuli di immondizie, copertoni, siringhe di tossici, erbacce, per portare alla luce quanto c’è di prezioso. La parola magica era ed è ancora Pis (progetti integrati di settore) e il suo carico di fondi europei.
In prima linea si è «esposta» Costanza Mattini, vicepresidente (La Margherita) della circoscrizione «Picone-Poggiofranco». «Se l’economia della città è precaria, la fantasia, l’inventiva e soprattutto il corretto utilizzo dei beni già esistenti sono le forze su cui si deve fare leva». E aggiunge: «Occorre non perdere occasioni che provengono dai fondi comunitari. I Pis sono un’importante ed immediata opportunità di investimento per i beni culturali. Penso ad un recupero che consenta non soltanto la valorizzazione del bene, ma ancor più la sua gestione, attraverso forme di autofinanziamento di privati.
Agli ipogei possiamo e vogliamo affidare lo sviluppo del nostro territorio e il rilancio dell’occupazione locale anche attraverso forme di gestioni consorziate di beni culturali e cooperative giovanili».
L’amministrazione comunale aveva (sarà finalmente pronto?) in corso di redazione uno studio di fattibilità per il restauro della chiesa rupestre di Santa Candida e realizzazione di un parco «ambientale-archeologico» in un tratto della lama Picone; restauro dell’ipogeo «Riccardo Mola» e sistemazione a verde delle aree esterne.
Insomma di tempo ne è già passato. E non è storia che si aggiunge alla storia. Distruzione, discarica violenta e abusiva, la ruspa incauta e poco attenta cancellano ogni traccia del nostro passato. Per sempre.
Mail: calpista@gazzettamezzogiorno.it
Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno 18/06/2006
Autore: Roberto Calpista
Cronologia: Arch. Medievale