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BAGHDAD (IRAQ) – Scudi umani al Museo Nazionale

Sin dall’inizio del conflitto, un gruppo di archeologi, guidati dallo studioso iracheno Donny George, sta mettendo a repentaglio la propria vita per salvare la collezione custodita all’interno del Museo di Baghdad. Con sacchi di sabbia gli studiosi provano a difendere dalle vibrazioni dei bombardamenti le sculture ed i bassorilievi presenti nell’edificio e tentano di dissuadere con la loro presenza eventuali rappresaglie.

Adiacente ad una delle principali centrali telefoniche della città, alla sede di una radio importante e alla stazione ferroviaria, ad appena 700 metri dal Ministero degli Esteri, il Museo, uno dei più importanti al mondo, condivide gli oggetti d’arte ed i tesori dell’architettura orientale antica con il British Museum ed il Museo di Filadelfia. Qui sono ospitati numerosi tra i primi documenti dell’umanità, testimonianze delle civiltà Uruk, sumera, assiro-babilonese, persiana ed islamica datate tra il 7.000 a.C. ed il 1.000 d.C. Vi si conservano testi che raccontano le avventure di Gilgamesh, teoremi matematici che anticipano di 1.500 anni le scoperte degli scienziati greci, tesori inestimabili come quello di Nimrod, scoperto nel 1989 e paragonabile, per importanza storica, al tesoro di Tutankamon.

Parte di questa preziosa collezione potrebbe essere già stata portata via per essere custodita in depositi disseminati sul territorio nazionale, ma secondo l’archeologo Antonio Invernizzi, direttore della Scuola archeologica italiana a Baghdad, l’integrità fisica del Museo, chiuso peraltro da tempo, e dei suoi magazzini corre grave pericolo. Già all’epoca della guerra del Golfo la collezione fu fatta oggetto di molti furti da parte di ladri improvvisati e di custodi mal stipendiati.

Tutto il patrimonio storico-artistico del paese, tuttavia, è minacciato dalle bombe. Com’è noto, l’odierno Iraq copre il territorio dell’antica Mesopotamia. Sul suo territorio tra il Tigri e l’Eufrate gli archeologi hanno individuato circa 15.000 siti archeologici, di cui un terzo ancora da esplorare.

Stando a quanto afferma Jack Meinhardt dell’Archeological Odyssey fino a questo momento, col supporto di una équipe di esperti, i militari angloamericani avrebbero tentato di evitare questi bersagli, rispondendo così tacitamente ai numerosi appelli rivolti loro perché rispettino la Convenzione dell’Aja del 1954 sulla protezione dei beni culturali in tempo di guerra, convenzione che né gli Stati Uniti né la Gran Bretagna hanno mai ratificato.
Fonte: La Stampa
Autore: Grazia Modroni
Cronologia: Arch. Partico-Sasanide

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