Duemila anni fa ad Avigliana, nell’odierna borgata Malano, c’era la stazione di confine fra l’impero romano e i territori celtici governati da Re Cozio, il sovrano che diede il suo nome alle Alpi Cozie.
La localita’ era denominata «Ad Fines Cotii», ovvero «ai confini di Cozio».
Qui, nell’attuale via Moncenisio, al numero civico 101, sono tornati alla luce i resti del presidio, dove i commercianti in transito dai valichi montani pagavano ai romani il dazio.
Era la cosiddetta «quadragesima galliarum», un balzello pari al quarantesimo del valore delle merci importate da e verso la Gallia. Veniva riscosso da appaltatori privati.
Attendevano le carovane in una «statio», un ostello munito anche di locali di accoglienza e ristoro, servizi termali compresi, piu’ quelli riservati al cambio dei cavalli dei corrieri imperiali. E’ quanto hanno accertato gli archeologi della Soprintendenza guidata da Egle Micheletto.
Gli scavi, appena finiti, con la direzione di Federico Barello, sono state curate da Marco Subrizio e Micaela Leonardi.
Parlano di una storia che prende avvio nel 13 avanti Cristo, quando l’imperatore Augusto cercava di sottomettere l’indipendenza delle nazioni gallo-alpine.
Una delle piu’ indomabili era quella dei Segusini, governati da Re Cozio. Roma, per vincerne la resistenza nomino’ Cozio suo prefetto e ne rispetto’ l’autonomia territoriale, elevata al rango di provincia.
La frontiera fu fissata «Ad Fines Cotii».
Il valico doganale rimase attivo fino all’arrivo dei Burgundi, che nel 490 dopo Cristo saccheggiarono Torino.
La localita’ disperse poi le sue memorie, fino al 1858, quando un padre cappuccino, Placido Bacco, incomincio’ ad indagare i terreni di Malano. Rinvenne epigrafi dedicate a Giove, ma anche alle «Matronae>>, divinita’ celtiche alle quali si appellavano schiavi e liberti che lavoravano nella stazione doganale. Affiorarono anche due rilievi, raffiguranti barbari prigionieri.
Sono ritrovamenti che fecero ipotizzare agli archeologi la presenza di edicole votive, ma anche di un monumento celebrante le vittorie imperiali. Gli scavi appena finiti confermano la presenza di un articolato edificio pubblico.
Fu identificato nel 2003, nel corso di opere edili per realizzare rimesse. Intervenne subito la Soprintendenza per tutelare il sito, ma anche il Comune che lo acquisi’ per preservarlo. Acquisto’ anche la vicina cascina, dove l’attuale sindaco Carla Mattioli progetta di realizzare un centro museale che valorizzi i reperti della romanita’ valsusina, in accordo con i vicini comuni di Almese e di Caselette. L’opera richiede 1 milione e 200 mila euro. Per ottenerli Avigliana ha avviato contatti con mecenati privati.
Intanto il terreno ha restituito le vestigia dell’antica stazione doganale, stratificate in almeno quattro successive fasi edilizie. La piu’ antica, del primo impero romano, e’ costituita da un ambiente circolare di cinque metri di diametro, intonacato dentro e fuori. Si ipotizza fosse un edificio termale.
In epoca successiva vi vennero aggiunti ulteriori locali, nei quali si sono trovati «tubuli» quadrangolari in terracotta. Servivano a convogliare in condotte murarie l’aria riscaldata da forni esterne. In epoca tardo imperiale l’edificio perse la sua funzione.
I locali furono tagliati da un canale fognario, coperto con lastroni di pietra di recupero. Finche’, nel quarto secolo dopo Cristo, sull’impianto originario fu sovrapposto un nuovo edificio. E’ stato possibile datarlo tramite una moneta dell’imperatore Costantino rinvenuta sotto il pavimento.
La localita’ era denominata «Ad Fines Cotii», ovvero «ai confini di Cozio».
Qui, nell’attuale via Moncenisio, al numero civico 101, sono tornati alla luce i resti del presidio, dove i commercianti in transito dai valichi montani pagavano ai romani il dazio.
Era la cosiddetta «quadragesima galliarum», un balzello pari al quarantesimo del valore delle merci importate da e verso la Gallia. Veniva riscosso da appaltatori privati.
Attendevano le carovane in una «statio», un ostello munito anche di locali di accoglienza e ristoro, servizi termali compresi, piu’ quelli riservati al cambio dei cavalli dei corrieri imperiali. E’ quanto hanno accertato gli archeologi della Soprintendenza guidata da Egle Micheletto.
Gli scavi, appena finiti, con la direzione di Federico Barello, sono state curate da Marco Subrizio e Micaela Leonardi.
Parlano di una storia che prende avvio nel 13 avanti Cristo, quando l’imperatore Augusto cercava di sottomettere l’indipendenza delle nazioni gallo-alpine.
Una delle piu’ indomabili era quella dei Segusini, governati da Re Cozio. Roma, per vincerne la resistenza nomino’ Cozio suo prefetto e ne rispetto’ l’autonomia territoriale, elevata al rango di provincia.
La frontiera fu fissata «Ad Fines Cotii».
Il valico doganale rimase attivo fino all’arrivo dei Burgundi, che nel 490 dopo Cristo saccheggiarono Torino.
La localita’ disperse poi le sue memorie, fino al 1858, quando un padre cappuccino, Placido Bacco, incomincio’ ad indagare i terreni di Malano. Rinvenne epigrafi dedicate a Giove, ma anche alle «Matronae>>, divinita’ celtiche alle quali si appellavano schiavi e liberti che lavoravano nella stazione doganale. Affiorarono anche due rilievi, raffiguranti barbari prigionieri.
Sono ritrovamenti che fecero ipotizzare agli archeologi la presenza di edicole votive, ma anche di un monumento celebrante le vittorie imperiali. Gli scavi appena finiti confermano la presenza di un articolato edificio pubblico.
Fu identificato nel 2003, nel corso di opere edili per realizzare rimesse. Intervenne subito la Soprintendenza per tutelare il sito, ma anche il Comune che lo acquisi’ per preservarlo. Acquisto’ anche la vicina cascina, dove l’attuale sindaco Carla Mattioli progetta di realizzare un centro museale che valorizzi i reperti della romanita’ valsusina, in accordo con i vicini comuni di Almese e di Caselette. L’opera richiede 1 milione e 200 mila euro. Per ottenerli Avigliana ha avviato contatti con mecenati privati.
Intanto il terreno ha restituito le vestigia dell’antica stazione doganale, stratificate in almeno quattro successive fasi edilizie. La piu’ antica, del primo impero romano, e’ costituita da un ambiente circolare di cinque metri di diametro, intonacato dentro e fuori. Si ipotizza fosse un edificio termale.
In epoca successiva vi vennero aggiunti ulteriori locali, nei quali si sono trovati «tubuli» quadrangolari in terracotta. Servivano a convogliare in condotte murarie l’aria riscaldata da forni esterne. In epoca tardo imperiale l’edificio perse la sua funzione.
I locali furono tagliati da un canale fognario, coperto con lastroni di pietra di recupero. Finche’, nel quarto secolo dopo Cristo, sull’impianto originario fu sovrapposto un nuovo edificio. E’ stato possibile datarlo tramite una moneta dell’imperatore Costantino rinvenuta sotto il pavimento.
Autore: Maurizio Lupo
Fonte: La Stampa, 24/11/2010