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AUSTRALIA. L’evoluzione umana è scritta nella sabbia.

Una nuova tecnica di datazione dei granelli di sabbia nei sedimenti che ricoprono i reperti potrebbe far luce sull’evoluzione e le migrazioni dei nostri antenati.
Analizzare i granelli di sabbia dei sedimenti che ricoprono i reperti archeologici potrebbe contribuire a ricostruire il quadro cronologico dell’evoluzione umana.
Per farlo, Zenobia Jacobs e Richard Roberts, due ricercatori della University of Wollongong, in Australia, utilizzano la datazione tramite luminescenza otticamente stimolata (OSL), un metodo sperimentato per la prima volta nella metà degli anni Ottanta, ma che ancora oggi fa fatica ad affermarsi.
In una ricerca pubblicata su Science, i due studiosi sostengono l’importanza di questa tecnica che, attraverso la misurazione della luce assorbita dai granelli di quarzo e di feldspato che compongono i sedimenti, permette di determinare l’età dei reperti fino a 200.000 anni, colmando così quel vuoto cronologico lasciato dalle altre tecniche di datazione: quelle che utilizzano il radiocarbonio, infatti, non riescono ad andare indietro oltre i 50.000 anni.
“La datazione tramite luminescenza otticamente stimolata è un metodo molto utile, perché riempie un intervallo di tempo che gli altri metodi di datazione radiometrica non riescono a colmare”, spiega Lorenzo Rook, professore ordinario di Paleontologia dell’Università di Firenze, che non ha preso parte alla ricerca. “In pratica, permette di datare i singoli grani di quarzo e feldspato e di stabilire la contemporaneità del minerale con l’evento che si intende studiare. Purtroppo, però, è una tecnica ancora poco diffusa perché di difficile utilizzo: affinché la datazione sia esatta, per esempio, è necessario che i granelli siano stati perfettamente isolati e non abbiano subito contaminazioni”.
Per condurre le analisi, Jacobs e Roberts lavorano all’interno di un laboratorio semibuio illuminato soltanto da fioche luci rosse e utilizzano degli apparecchi dotati di laser e sensori di luce, oltre a delle lastre metalliche rotanti contenenti i dischi sui quali vengono collocati i granelli di sabbia per essere analizzati. Questi strumenti misurano l’energia degli elettroni intrappolata nei reticoli cristallini dei granelli: se le luci del laboratorio fossero più forti, spingerebbero prematuramente fuori l’energia dagli elettroni, rovinando i campioni.
I granelli di quarzo fungono da orologi naturali: più a lungo sono rimasti sepolti, maggiore è la radiazione naturale assorbita dall’ambiente circostante, che viene immagazzinata dai loro elettroni e poi rilasciata sotto forma di segnale luminoso percepibile nel momento in cui il laser colpisce i granelli.
Questa tecnica, secondo Jacobs, potrebbe fornire un’ulteriore conferma della modernità di Homo neanderthalensis i cui individui, spiega a ABC Science, “possedevano un apparato anatomico per utilizzare il linguaggio e geni come i nostri per controllarlo”. La ricercatrice sostiene che grazie alla OSL sia possibile confrontare le prove archeologiche riguardanti gli individui di Neanderthal e quelle di Homo sapiens e capire se i primi abbiano sviluppato autonomamente il linguaggio o se ciò sia avvenuto solo in seguito al contatto fra le due specie.
Questo metodo potrebbe inoltre aiutare a svelare l’enigma della migrazione dell’uomo dall’Europa al sud-est dell’Asia e all’Australia e a capire – studiando reperti archeologici australiani, come resti di ossa e utensili di pietra – come e quando gli aborigeni arrivarono in Australia per la prima volta.

Fonte: http://www.nationalgeographic.it, 19 Ottobre 2012

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