L’Armenia è una regione montuosa di origine vulcanica a sud del Caucaso, nell’alta valle del Tigri, tra i laghi di Sevan e di Urmia. La civiltà armena è fra le più antiche al mondo essendo contemporanea delle civiltà babilonese, assira ed egizia. Tracce di vita neolitica nella regione anatolica sono testimoniate da documenti storici già verso il 3000 a.C.
La regione tra l’Ararat e i laghi di Van e Urmia risulta occupata a partire dal XIII secolo a.C. da una federazione di tribù che col tempo diede luogo alla civiltà di Urartu, basata su un’economia prevalentemente agricola e pastorale.
Il primo a scoprire l’esistenza della civiltà di Urartu fu lo studioso tedesco Friedrich Eduard Schulz, filosofo e orientalista, che viaggiò nell’area del lago di Van intorno al 1827 sulle tracce della regina Šamiram, la cui storia è contenuta nell’opera di Mosè di Corene, storiografo armeno del V secolo.
Schultz scoprì le rovine di una città ed una serie di iscrizioni, parzialmente scritte in lingua assira e parzialmente scritte in una lingua del tutto sconosciuta. Lo studioso scoprì anche la stele bilingue chiamata Kelišin, trovata sul’omonimo passo al confine tra il moderno Iran e Iraq. Quando venne ucciso dai Curdi nel 1829 i suoi appunti finirono perduti per sempre.
Il nome Urartu venne dato al regno dai suoi più acerrimi nemici stanziati a sud, gli Assiri, e significa “paese di montagna”, gli Urartei invece chiamavano il proprio paese “terra di Biani”. Le prime notizie sugli Urartei sono legate alla documentazione delle guerre contro i re dell’Assiria Salmanassar I e Tiglatpileser I nel XIII-XII secolo a.C. Fu solo nel IX secolo a.C. che il re Aramu unificò sotto il suo potere le diverse tribù urartee della zona, dando così inizio a un vero e proprio regno di Urartu, che ebbe poi come capitale Tushpa, sita sul lago Van.
La struttura della lingua mostra che gli Urartei non erano né Semiti, come gli Assiri e i Babilonesi, né Indoeuropei, come gli Ittiti. Il loro unico legame conosciuto di natura linguistica è con il popolo degli Hurriti, che vissero sparsi in numerosi centri urbani della Mezzaluna Fertile nell’epoca precedente. La prima raccolta sistematica di iscrizioni provenienti da Urartu fu quella del reverendo Archibald Henry Sayce, archeologo britannico, risalente al 1870.
La religione degli Urartei era politeista e la loro economia si basava sulla lavorazione del bronzo e del ferro, favorita dalle numerose miniere della regione, e dall’esportazione dei relativi manufatti metallici. I re di Urartu furono i primi ad assumere il titolo di Re dei Re e si impegnarono in lotte feroci con la potenza Assira e le tribù vicine, contraddistinguendosi come popolo bellicoso e socialmente improntato alla battaglia.
La loro stessa produzione metallurgica si indirizzava nella produzione, oltre che di gioielli, di armi, scudi e armature. Numerose ricchezze provenivano dal saccheggio e dalla conquista degli altri popoli e all’interno della comunità il guerriero deteneva un alto rango e rispetto tra la popolazione, una grande libertà e una considerazione quasi nobiliare.
Nel 2017 un gruppo di ricercatori armeni guidati da Anahit Khudaverdyan dell’Accademia Nazionale delle Scienze della Repubblica di Armenia fece una scoperta archeologica sensazionale nella Necropoli di Dover I a Lorri, pubblicando i risultati nella Gazzetta Internazionale di Osteoarchaeology.
La tomba apparteneva a una donna di 20 anni che sembrava essere una guerriera professionista, sepolta infatti secondo i canoni degli individui di rango, datata con il radiocarbonio al VIII-VI secolo a.C.
La defunta aveva una struttura muscolare pronunciata e tonica, caratteristica degli individui che quotidianamente sopportavano un intenso sforzo fisico. Con un’analisi dettagliata antropologica delle varie parti del corpo si è rilevato come i muscoli della parte superiore del corpo e i muscoli pettorali e deltoidi avessero una morfologia data dall’abitudine di flettere il braccio verso il petto:
Le ossa della coscia della donna hanno anche mostrato i muscoli glutei pronunciati, che i ricercatori credono essere il risultato di una formazione militare come cavallerizza.
Lo scheletro all’interno della sepoltura in fossa terragna con rinforzi e una copertura in lastre di pietra era posizionato su un fianco, e l’asse formato dalla testa e dai piedi indicava l’orientamento Nord-Ovest. Braccia e gambe erano state bloccate ai polsi da un laccio in ferro all’altezza del petto e le gambe erano ripiegate in posizione fetale.
Gli scienziati hanno rilevato numerose fratture provocate da armi. La ferita più grave è quella sul femore dove, incastrata nell’osso, è emersa una punta di metallo di freccia. Le ossa pelviche, il femore e la tibia presentano lesioni imputabili probabilmente a colpi di spada o di ascia.
La tibia presenta delle ferite di tipo indiretto, ovvero il risultato di violenti impatti di un’arma contro lo scudo imbracciato dalla donna. I colpi inferti in questo modo erano potenti e l’energia provocata da questi passava dallo scudo all’ulna e all’avambraccio, che si presentano ammaccati e scheggiati.
Questo connota che la donna venne attaccata da più di una persona, probabilmente durante una battaglia sul campo. Le lesioni da proiettile d’osso suggeriscono invece un’aggressione personale a media distanza.
La popolazione del Regno di Urartu usava frecce e cavalcava per cacciare abitualmente, ma usavano anche le stesse frecce come armi contro gli intrusi durante la battaglia.
All’interno della sepoltura è stato ritrovato anche un ricco corredo, riservato solo alle persone appartenenti ad un alto rango, infatti una prima interpretazione aveva ricostruito l’identità della defunta come principessa armena. Il corredo comprendeva gioielli elaborati in argento, soprattutto bracciali e numerosi contenitori e vasi in ceramica della forma a Kylix senza manici.
La modalità con cui le donne venivano coinvolte completamente nelle guerre di Urartu ha portato i ricercatori a ipotizzare che le donne guerriere possano aver ispirato l’immaginario delle Amazzoni raffigurate in arte e letteratura greca antica. Gli storici più famosi greci come Erodoto e Strabone scrissero circa le donne amazzoni, descritte come abitanti delle montagne del Caucaso, un territorio non lontano dall’Armenia moderna.
Attraverso uno studio incrociato delle fonti della stessa epoca gli studiosi hanno trovato prove dell’esistenza di donne guerriere anche in altre culture antiche, non solo armene. Molti di questi incredibili risultati sono stati riscontrati soprattutto all’interno della cultura nordica vichinga.
Nel luglio 2018 gli archeologi hanno riesumato una tomba vichinga riccamente corredata da spade e asce, inizialmente attribuita ad un uomo guerriero. Dopo aver eseguito le analisi antropologiche si è invece attribuita a una donna guerriero, giovane e forte.
L’immagine del guerriero uomo in una società patriarcale è stata rafforzata da tradizioni di ricerca e preconcetti contemporanei. Di conseguenza, il sesso biologico dell’individuo è stato dato per scontato in numerosi ritrovamenti funerari, senza svolgere ulteriori analisi specifiche, scrivendo relazioni errate. Questa ulteriore scoperta può incrementare ed aprire una nuova linea di ricerca sulla vita delle donne antiche e riesaminare casi passati per portare alla luce un’interpretazione innovativa.
Autore: Martina Manduca
Fonte: www.vanillamagazine.it, gen 2020