Il nome di Montefortino è conosciuto a livello internazionale in tutto il mondo archeologico perché c’è un elmo, detto appunto «elmo tipo Montefortino», che fu ritrovato in questo paesino durante l’aratura di un appezzamento agricolo.
La sua storia è molto antica e risale al tempo dei Galli Senoni, che si erano stabiliti fra questi colli dell’ Appennino Marchigiano e dei quali è stata trovata una necropoli e una fonte sacra. Dell’intero territorio gallico Montefortino era probabilmente il baluardo celtico più meridionale, al confine con gli Etruschi e i Piceni.
L’intervento umano è sempre stato rispettoso dell’ambiente ma in tempi recenti la Provincia di Ancona ha inserito la zona nel nel PPAE (piano provinciale attività estrattive) approvando un piano di sfruttamento intensivo di una risorsa locale: la pietra delle montagne circostanti, una particolare pietra chiamata «scaglia bianca e rossa».
Secondo questo piano di sfruttamento, il territorio del Monte Sant’Angelo (a ridosso della necropoli) è stato dichiarato bacino estrattivo e se non si farà qualcosa per impedirne lo scempio, in brevissimo tempo questo magnifico territorio diventerà una cava all’aperto, l’ambiente naturale verrà distrutto e con esso verranno distrutte la tranquillità dei suoi abitanti e una memoria storica che ancora attende di essere conosciuta e riconosciuta.
Che ne sarà quando centinaia di camion percorreranno le stradine di Montefortino, quando scavatori e ruspe bucheranno a destra e manca, in un’area così poco esplorata archeologicamente?
Gli scavi della necropoli di Montefortino.
La necropoli di Montefortino di Arcevia (AN), pur con le limitazioni dovute alle modalità di scavo e di documentazione, costituisce a tutt’oggi il più cospicuo complesso rappresentativo della presenza celtica nelle Marche, uno dei maggiori dell’Italia centro-settentrionale. Situata in zona Pianetti, essa fu oggetto di indagine da parte di E. Brizio, direttore del Museo di Bologna e Commissario per gli scavi in Emilia Romagna e nelle Marche, tra il 1894 e il 1899.
I primi rinvenimenti si ebbero in proprietà Giampieri/Carletti già nel 1892, mentre l’esplorazione “regolare” proseguì, poi, anche negli attigui poderi Marcellini e Anselmi. Lo scavo si svolse con metodologia alquanto approssimativa e molti reperti furono comunque asportati dai proprietari dei terreni, non esistendo ancora all’epoca, peraltro, chiare normative di tutela. Furono comunque recuperate almeno 47 sepolture a fossa per lo più di grandi dimensioni e di forma rettangolare, spesso con cassa lignea.
Nei casi in cui era presente la cassa lignea, questa conteneva il solo inumato con pochi oggetti, mentre la gran parte del corredo funerario era disposto all’esterno, sul fondo della fossa.
I materiali provenienti dagli scavi “regolari” entrarono subito a far parte delle collezioni del Museo Nazionale di Ancona mentre altri confluirono in esso successivamente per acquisto dalle raccolte private.
Le tombe, in numero pressoché uguali tra maschili e femminili, presentano corredi che mostrano, accanto a componenti culturali centro-europee, una immediata e forte assimilazione nella Koinè ellenistica italica, nelle sue ideologie e modi di vita: i corredi maschili sono quasi sempre caratterizzati da armi offensive e difensive (lance, spade, elmi “tipo Montefortino” ecc.), mentre quelli femminili da ornamenti talora preziosi in oro, argento e vetro. Questi ultimi sono sia di tipologia celtica che d’importazione, come per altro molti dei restanti oggetti (ceramiche e bronzi), chiaramente riferibili, per la stragrande maggioranza, ad ambito etrusco, nonché magno-greco e forse anche greco proprio. Particolarmente significativa è la presenza, apparentemente ubiquitaria sia nei corredi maschili che femminili, degli apparati da banchetto e simposio, come coltelli e spiedi in ferro, calderoni, teglie, colini, brocche e situle in bronzo, nonché vasellame da mensa in ceramica di vario tipo. La necropoli copre un arco di tempo tra la metà circa del IV secolo a.C. e i primi decenni del III.
Cronologia: Arch. Italica