Cinquantotto reperti – alcuni dei quali in ottimo stato di conservazione – databili tra la fine del VII secolo e gli ultimi anni del III avanti Cristo pongono un interrogativo straordinario, che si configura come un’assoluta novità per il mondo dell’archeologia: è esistito ad Aquileia un porto fluviale etrusco?
Se la risposta fosse sì, ciò significherebbe che il sito era abitato e, soprattutto, interessato da un’attività portuale-commerciale ben prima della fondazione della colonia romana, sorta nel 181 avanti Cristo.
L’ipotesi è indubbiamente rivoluzionaria ed è facile supporre che sia destinata a suscitare un vespaio di prese di posizione nel mondo accademico, ma per Luisa Bertacchi, autrice dello studio (che verrà presentato al pubblico venerdì pomeriggio, alle 17.30, nella pinacoteca comunale di Aquileia, in via Roma), di dubbi non ce ne sono.
Eppure fino a qualche tempo fa l’archeologa, che ha oggi 95 anni e che fu direttrice del Museo di Aquileia, non era stata neanche sfiorata da una simile congettura, dall’idea di un mistero così affascinante: e proprio di mistero si può parlare perché, al di là dei quesiti archeologici, è l’intera vicenda a essere immersa nelle tinte del giallo.
Spieghiamo subito il perché. In un giorno del 2008 in casa Bertacchi suona il telefono: la professoressa risponde e una voce anonima la avvisa che davanti al cancello della sua abitazione è stato depositato un pacco contenente del materiale archeologico. Lei va a controllare, lo prende, lo apre: dentro c’erano i 58 reperti in virtù dei quali la studiosa – dopo una lunga, accuratissima valutazione dei manufatti e, soprattutto, una folta serie di indagini topografiche – avrebbe formulato la teoria al centro del suo libro-bomba, intitolato Antico porto etrusco sul fiume Corno.
Allibita e, inevitabilmente, intrigata dalla sorpresa, Luisa Bertacchi non aveva perso un istante, informando subito la Soprintendenza regionale e mettendosi al lavoro. Per provare che i resti erano affiorati dalle terre circostanti Aquileia, e che non si trattava, cioè, di oggetti d’importazione, si era messa a setacciare le sponde del Corno: nel volume, infatti, i rilievi topografici e la sezione cartografica rivestono un ruolo fondamentale.
Nel contempo procedeva l’esame e la datazione dei beni, ripartiti in tre fasce temporali. La più antica è quella compresa tra la fine del VII secolo a.C. e la fine del VI: a essa sono riconducibili (per citare solo alcuni esempi) due ancore in piombo, integre, quattro bracieri, altrettanti askoi (vasi), una fiasca, un vasetto a trottola, uno di tipo globulare, un’anfora greco-italica e due piedi fittili, uno maschile e l’altro femminile. Fra V e VI secolo si collocano invece quattro monete, un vaso a figure nere, due coppette, una statuetta in bronzo, un’olpe (brocca da vino greca), una gemma, uno specchio, un anello con castone figurato, unguentari e balsamari, mentre all’ultima fase prima dell’abbandono del sito (fine IV-III secolo) andrebbero attribuiti ulteriori unguentari e due statuette sedute.
Il libro è stato pubblicato dalle Edizioni della Laguna e si apre con le prefazioni del soprintendente archeologico del Friuli Venezia Giulia Luigi Fozzati e della collega Fulvia Lo Schiavo.
Una vicenda straordinaria, appena cominciata, tutta da approfondire partendo da questo libro.
Se la risposta fosse sì, ciò significherebbe che il sito era abitato e, soprattutto, interessato da un’attività portuale-commerciale ben prima della fondazione della colonia romana, sorta nel 181 avanti Cristo.
L’ipotesi è indubbiamente rivoluzionaria ed è facile supporre che sia destinata a suscitare un vespaio di prese di posizione nel mondo accademico, ma per Luisa Bertacchi, autrice dello studio (che verrà presentato al pubblico venerdì pomeriggio, alle 17.30, nella pinacoteca comunale di Aquileia, in via Roma), di dubbi non ce ne sono.
Eppure fino a qualche tempo fa l’archeologa, che ha oggi 95 anni e che fu direttrice del Museo di Aquileia, non era stata neanche sfiorata da una simile congettura, dall’idea di un mistero così affascinante: e proprio di mistero si può parlare perché, al di là dei quesiti archeologici, è l’intera vicenda a essere immersa nelle tinte del giallo.
Spieghiamo subito il perché. In un giorno del 2008 in casa Bertacchi suona il telefono: la professoressa risponde e una voce anonima la avvisa che davanti al cancello della sua abitazione è stato depositato un pacco contenente del materiale archeologico. Lei va a controllare, lo prende, lo apre: dentro c’erano i 58 reperti in virtù dei quali la studiosa – dopo una lunga, accuratissima valutazione dei manufatti e, soprattutto, una folta serie di indagini topografiche – avrebbe formulato la teoria al centro del suo libro-bomba, intitolato Antico porto etrusco sul fiume Corno.
Allibita e, inevitabilmente, intrigata dalla sorpresa, Luisa Bertacchi non aveva perso un istante, informando subito la Soprintendenza regionale e mettendosi al lavoro. Per provare che i resti erano affiorati dalle terre circostanti Aquileia, e che non si trattava, cioè, di oggetti d’importazione, si era messa a setacciare le sponde del Corno: nel volume, infatti, i rilievi topografici e la sezione cartografica rivestono un ruolo fondamentale.
Nel contempo procedeva l’esame e la datazione dei beni, ripartiti in tre fasce temporali. La più antica è quella compresa tra la fine del VII secolo a.C. e la fine del VI: a essa sono riconducibili (per citare solo alcuni esempi) due ancore in piombo, integre, quattro bracieri, altrettanti askoi (vasi), una fiasca, un vasetto a trottola, uno di tipo globulare, un’anfora greco-italica e due piedi fittili, uno maschile e l’altro femminile. Fra V e VI secolo si collocano invece quattro monete, un vaso a figure nere, due coppette, una statuetta in bronzo, un’olpe (brocca da vino greca), una gemma, uno specchio, un anello con castone figurato, unguentari e balsamari, mentre all’ultima fase prima dell’abbandono del sito (fine IV-III secolo) andrebbero attribuiti ulteriori unguentari e due statuette sedute.
Il libro è stato pubblicato dalle Edizioni della Laguna e si apre con le prefazioni del soprintendente archeologico del Friuli Venezia Giulia Luigi Fozzati e della collega Fulvia Lo Schiavo.
Una vicenda straordinaria, appena cominciata, tutta da approfondire partendo da questo libro.
Autore: Lucia Aviani
Fonte: Messaggero Veneto, 02 febbraio 2010.