Stonehenge, il tempio megalitico nel sud della Gran Bretagna, uno dei luoghi più misteriosi della storia dell’umanità è ora un po’ meno misterioso. Un lampo di luce sui circoli di enormi pietre sistemate per ottenere un anfiteatro preistorico è stato acceso da una serie di studi, rapidi, particolarmente accurati e supportati dalle più recenti tecniche scientifiche, che sono stati realizzati nelle ultime settimane.
Il complesso di Stonehenge, edificato a tappe nelle campagne dell’Inghilterra tra il 3.000 e il 1.600 avanti Cristo, fu soprattutto un cimitero. È stato fin dalla sua costruzione, e per almeno 500 anni, una distesa di tombe, riservata ad un’antica dinastia. Le conclusioni dei recentissimi studi sono state anticipate da Mike Parker Pearsons, archeologo a capo dello «Stonehenge Archaeological Project», e dal collega Julian Thomas, entrambi dell’università di Sheffield.
«È chiaro che le tombe sono state la componente principale di Stonehenge – ha detto Parker Pearson – Quel luogo è stato un cimitero dalla sua nascita, fino a metà del terzo millennio avanti Cristo».
La storia di Stonehenge è stata individuata grazie alle analisi al radiocarbonio cui sono stati sottoposti otto resti umani rinvenuti nel sito archeologico: attraverso gli esami, Pearson e il suo gruppo di lavoro, sono stati in grado di datare tra il 3030 e il 2880 a.C. il defunto più antico, e tra il 2560 e il 2140 a.C. quello di una donna di 25 anni.
Tuttavia, nel corso dei cinque secoli sarebbero stati solo 240 i corpi sepolti a Stonehenge. Un altro archeologo di Sheffield, Andrew Chamberlain, ha osservato che una ragione per ricondurre le tombe di Stonehenge a una sola dinastia sta nel fatto che i resti più antichi appartengono a poche persone, ma si moltiplicano nei secoli successivi, come se la famiglia si fosse riprodotta esponenzialmente.
Ciò indicherebbe che il luogo veniva usato come una sorta di cimitero elitario, disponibile solo per i membri di qualche antica dinastia: «Non penso che ad essere sepolte lì fossero delle persone comuni – spiega Parker – già allora Stonehenge era chiaramente un luogo speciale e le persone che vi venivano sepolte dovevano far parte di una ristretta comunità».
Gli archeologi hanno portato alla luce anche diverse abitazioni, che probabilmente venivano utilizzate nel corso dei riti stagionali legati al cerchio megalitico. Una specie di «città dei vivi» eretta a tre chilometri di distanza dalla «città dei morti».
Stonehenge era appunto la «città dei morti», collegata attraverso il fiume Avon a una struttura simile, ma costruita in legno, Woodhenge, situata a circatre chilometri di distanza e che sarebbe invece stata la «città dei vivi». Gli studiosi hanno inoltre dimostrato che, per la popolazione del tempo, Stonehenge rappresentava il luogo per il culto della morte in opposizione ai riti che si tenevano nell’altro luogo, dove si praticavano quelli dedicati alla luce e alla nascita della vita.
I metodi di costruzione e lo scopo iniziale del monumento, però, rimangono un enigma, intorno al quale sono stati scritti una infinità di libri, senza risposte certe. In un testo uscito nei giorni scorsi un archeologo dell’università di Oxford, Anthony Johnson, ha insistito sul fatto che gli abilissimi costruttori del monumento megalitico avevano conoscenze geometriche straordinarie, quasi incredibili, per l’epoca. Al livello di un genio della matematica come Pitagora, vissuto due millenni dopo.
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Fonte: Il Tempo 01/06/2008
Autore: Antonio Angeli
Cronologia: Preistoria