Narrava l’anonimo in quella tremenda e meravigliosa vita di Cola di Rienzo da cui balza e superbamente una delle più fascinatrici figure del nostro tempo passato, che il figliuolo del tavernai o a cui non bastarono la spada e la porpora dei cavalieri, soleva passare le sue notti insonni scavando lapidi sulle pendici dei colli santi, e le sue mani tremavano nell’opra lunga e paziente. Invocava egli ad alta voce il nome di Roma immortale, e la gente teneva la sua esaltazione per follia, e lo derideva come se fosse ebro, e sghignazzando lo seguiva attraverso i tortuosi meandri del Palatino e del Foro, tra i ruderi coperti di erbe selvagge, sotto gli archi pieni di mistero e di paura.
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Fonte: www.vesuvioweb.com, ottobre 2017