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Andrea ROMANAZZI: Milano, il sacro Nemeton della Grande Madre. Alla ricerca delle origini, tra strani culti e misteriosi Magi.

Le Origini, l’Omphalos e il culto della Dea Madre Milano viene spesso considerata solo come una grande metropoli senza storia ove ogni giorno si spostano centinaia di migliaia di persone in un travolgente e caotico movimento che spesso, con il suo turbinio, sembra voler escludere il passato della città, il momento in cui un sacro Nemeton tra gli ombrosi territori insubri divenne una grandiosa città. Sarà così che, prima di parlare dei misteriosi segreti racchiusi tra le mura cittadine, partiremo proprio dalla sua mitica fondazione e dal suo stesso nome, che, come novello Virgilio, ci guiderà alla scoperta di antiche memorie sopite tra i tumulti quotidiani della metropoli. Le origini di Milano si perdono nella notte dei tempi; le prime notizie storiche della città ci vengono tramandate da Tito Livio che ne parla nel V libro della sua Storia di Roma.

“…Mentre a Roma regnava Tarquinio Prisco, il supremo potere dei Celti era nelle mani dei Biturigi [da bitu “mondo”e rix, “re” n.d.A.]; questi mettevano a capo di tutti i Celti un re. Tale fu Ambigato, uomo assai potente per valore e ricchezza, sia propria che pubblica, perché sotto il suo governo la Gallia fu così ricca di prodotti e di uomini da sembrare che la numerosa popolazione si potesse a stento dominare. Costui, già in età avanzata, desiderando liberare il suo regno dal peso di tanta moltitudine, lasciò intendere che era disposto a mandare i nipoti Belloveso e Segoveso, figli di sua sorella, giovani animosi, in quelle sedi che gli dèi avessero indicato con gli àuguri. A Segoveso fu quindi destinata dalla sorte la Selva Ercinia, a Belloveso gli dèi indicarono una via ben più allettante, quella verso l’Italia. Quest’ultimo portò con sè il sovrappiù di quei popoli, Biturigi, Averni, Edui, Ambani, Carnuti, Aulerci. Partito con grandi forze di fanteria e cavalleria, giunse nel territorio dei Tricastini. Di là si ergeva l’ostacolo delle Alpi; e non mi meraviglio certo che esse siano apparse insuperabili, perché nessuno le aveva ancora valicate (…) Ivi, mentre i Galli si trovavano come accerchiati dall’altezza dei monti e si guardavano attorno chiedendosi per quale via mai potessero, attraverso quei gioghi che toccavano il cielo, passare in un altro mondo, furono trattenuti anche da uno scrupolo religioso, perché fu riferito loro che degli stranieri in cerca di terre erano attaccati dal popolo dei Salvi. Quegli stranieri erano i Marsigliesi, venuti per mare da Focea. I Galli, ritenendo tale circostanza un presagio del loro destino, li aiutarono a fortificare, nonostante la resistenza dei Salvi, il primo luogo che essi avevano occupato al loro sbarco. Essi poi, attraverso i monti Taurini e la valle della Dora, varcarono le Alpi; sconfitti in battaglia i Tusci non lungi dal Ticino, avendo sentito dire che quello in cui si erano fermati si chiamava territorio degli Insubri, lo stesso nome di un pagus degli Edui, accogliendo l’augurio del luogo, vi fondarono una città che chiamarono Mediolanum…”

In realtà il racconto di Livio, forse a sua volta riportato dalle memorie di qualche storico locale, posticiperebbe di molto la reale data di fondazione della città, ponendola tra il 616 e il 579, il periodo in cui regnò appunto Tarquinio Prisco. La descrizione del viaggio di Belloveso inoltre, più che uno spostamento alla conquista di nuove terre, idea alquanto improbabile, sembra quasi essere la narrazione di uno spostamento rituale le cui origini troviamo nelle antiche tradizioni del nomadismo indoeuropeo e che si tenevano di solito in Primavera, nei giorni prossimi a Beltane, una delle più importanti feste celtiche. L’etimologia di “Beltane” è alquanto controversa, essa deriverebbe dal termine irlandese “bealtaine” o dallo scozzese “Bealtuinn” provenienti a loro volta dalle arcaiche parole “tene” e “bel”, la stessa radice da cui proverrebbe il nome del condottiero Bellisario e che si rifarebbe ad un antico dio gallese della pastorizia conosciuto sotto i nomi di Belinos. Ecco così che, guardando con occhi critici il racconto di Livio si potrebbe ipotizzare che in un periodo imprecisato un gruppo di guerrieri e sacerdoti celtici, guidati da un suddito-guerriero di Bel, nome che dà così carisma al personaggio rendendolo appunto un semidio, iniziarono un viaggio-rituale verso un luogo sacro, un Medhelan. Questa idea potrebbe essere supportata anche da altre considerazioni: infatti Belloveso, si stanzierebbe nel territorio degli Insubri, cosa abbastanza difficile da credere, soprattutto se poi si parla di una fondazione di una città. E’ molto più probabile così che il borgo già esistesse, fondato attorno al II sec. a.C. proprio dal popolo degli Insubri che, penetrando nell’area padana, scacciò le popolazioni autoctone dei liguri. Ed ecco che per cercare le tracce della vera origine di Milano dobbiamo farci aiutare da ciò che di nascosto c’è nel suo nome, derivante per gli storici dal termine latino “mediolanum”, cioè medius planum, il “paese in mezzo alla piana”, descrizione che ben si accosterebbe alla città. In realtà molte altre sono le ipotesi che ci aprono anche altre considerazioni, infatti il nome potrebbe provenire dalla lingua celtica, da Mid-land, la città in mezzo o ancora da Mid-Lan, la città in mezzo alle acque, o la città delle acque, idea non del tutto improbabile dato che il borgo si trovava in una zona ricchissima di acqua o proprio da Medhelan, dove medhe sta per “centro” e lanon significa “santuario”, il “centro sacro”, l’Omphalos delle regioni iperboree, l’idea di una proiezione in terra di un centro celeste, il “loco” ove dimorano gli dei. Questo ci riporta così ad antichi culti legati alla grande madre, la dea delle acque, e a Milano il suo tempio sacro ove si recavano druidi e guerrieri. Seguendo così questa idea troviamo sempre nuovi e più interessanti indizi, come la scrofa-semilanuta, primo simbolo della città. La leggenda narra che quando Belloveso giunse in queste terre, chiamò dei saggi perché consultassero gli dei e si facessero suggerire dove costruire la città, e l’oracolo suggerì che sarebbe stata una scrofa semilanuta a segnare il luogo di fondazione del borgo. La scelta dell’animale non è per nulla casuale, infatti la scrofa bianca è da sempre animale totemico della grande madre, il suo simbolismo ctonio è poi anche legato alla dea celtica Belisama, la bianca signora delle acque. Come di incanto si aprono così nuove simbologie e rituali legati ad un antico culto mai del tutto scomparso, una religione che, come mistico filo di Arianna ci porta tra le vie della città alla ricerca dei suoi sacri luoghi di sapere, i Medhelan di un popolo che ancora oggi ci ricorda della sua presenza. Seguendo così questo culto delle acque a cui era dedicato il centro sacro arriviamo alla chiesa di S. Calogero, forse uno dei luoghi più antichi della città, ove scavi della seconda metà dell’ottocento portarono alla luce quello che presumibilmente poteva essere un tumulo golaseciano di forma circolare databile tra IX e VIII sec. a.C. con chiari caratteri rituali. Infatti questi tipi di costruzioni permettevano la condensa della brina che si accumulava durante la notte tra le pietre, il vitreo umore della dea che garantisce la vita e la fertilità. Oltre a questo ritrovamento nella stessa zona è presente un altro pozzo ove, secondo la leggenda, fu affogato San Calimero, santo che da il nome alla omonima chiesetta. In realtà si tratta di un chiaro esempio di sovrapposizione di culti, un modo da parte della religione cristiana di esorcizzare antichi ricordi mai del tutto sopiti. La leggenda racconta infatti che Calimero venne affogato in un pozzo dell’area sacra al dio Belenos perché voleva distruggerlo; leggenda che ci viene riproposta anche in altri luoghi della città.

Milano e il culto dei Magi
Nel nostro viaggio nelle tradizioni e nei miti milanesi non si può non soffermarsi su tre misteriose figure i cui ricordi ancora oggi sono presenti nella antica chiesa di Sant’Eustorgio: i re Magi. La leggenda narra che i resti mortali dei tre sovrani furono recuperati in India da Sant’Elena e poi portati a Costantinopoli da dove poi, nel 1034, furono trasportate a Milano e depositate proprio nella chiesa di Sant’Eustorgio ancora oggi luogo di pellegrinaggio. In realtà il sepolcro, che oggi si può ammirare insieme alla lastra tombale sulla quale è incisa la stella ad otto punte, è vuoto dal 1162, quando Federico Barbarossa, dopo aver sconfitto Milano, portò a Colonia le sacre reliquie, ma c‘è ancora chi sostiene che le “sacre ossa” sian nascoste da qualche parte nel capoluogo lombardo.

E’ così seguendo la scia di una mistica cometa che andremo alla ricerca delle vere origini dei tre magi, una origine che nasce in terre esotiche e che narra di stelle annunciatrici, di una miracolosa nascita e di tre mitici sovrani che si misero in cammino per venerare il nuovo Salvatore.

I tre re non sono molto nominati nelle Sacre Scritture, essi vengono citati inizialmente solo nel Vangelo di Matteo (2,1-12) da cui però non abbiamo molte informazioni, nè i loro nomi, nè il loro numero e il luogo di provenienza che è indicato genericamente “da Oriente”.

In tutto questo silenzio fonti importanti diventano i Vangeli apocrifi e tra questi in particolare “il libro della Caverna dei Tesori” e l’“Historia Trigum Regum” di Giovanni da Hildesheim.

La vicenda dei tre re è legata alla “stella” annunciatrice, l’evento celeste che comunicava la nascita del Salvatore. Molte sono le ipotesi su cosa sia realmente questa stella, per alcuni si tratterebbe di una Nova o Supernova, fenomeno che però non si poteva ripetere lungo il cammino dei Magi come invece ci narra la tradizione. Un’altra ipotesi è quella della cometa, alcuni l’hanno identificata con quella di Halley ma oggi sappiamo che essa si ripropone ogni 76 anni e quindi sarebbe passata attorno al 12 a.C. data piuttosto lontana da quella indicata da Dionigi il Piccolo per la nascita del Cristo.

Molto più probabile è che più che una stella si fosse trattato di una congiunzione e in particolare la congiunzione tra Giove e Saturno avvenuta nella costellazione dei Pesci. Secondo calcoli fatti da Keplero nel 7 a.C. questa congiunzione si sarebbe verificata ben 3 volte , il 28 maggio, il 1 ottobre e il 5 dicembre, fenomeno che bene avrebbe potuto, con la sua ripetitività, guidare i magi nella loro cerca. Tutto questo non solo è importante dal punto di vista della datazione dell’evento, ma fa sorgere altre considerazioni. Infatti i segno segreto con il quale i cristiani si riconoscevano durante le persecuzioni era il pesce, quando due di essi si incontravano uno di loro tracciava metà del segno e l’altro lo completava.

Del resto la parola Nazareni, oltre che abitanti di Nazareth significava “piccoli pesci”, e i seguaci di Gesù erano appunto i Nazareni.

Torniamo ai Magoi, per conoscere il loro rango e dunque l’appellativo di Re dobbiamo tornare al “libro della Caverna dei Tesori” ove essi vengon definiti “re figli di re”. Anche il numero dei magi non è chiaro, se ci rifacciamo a testi apocrifi come il “Vangelo dell’Infanzia Armeno” troviamo che “..questi magi eran tre fratelli..”

Il numero 3 ha una forte valenza simbolica, per alcuni indicherebbe le tre razze umane, la semitica, la cannitica e la jafetica, rispettivamente discendenti dai tre figli di Noè, Sem, Cam e Iafef. Probabilmente , però, il 3 ha un altro significato, infatti nell’antico Egitto, “omphalos della Divin Sapientia”, il tre, pronunciato Khem, era legato ai moti lunari e in particolare rappresenterebbe “la manifestazione nel concreto dell’Uno trascendente, il dio che da trascendente diventa appunto immanente e questo ben si lega alle vicende del Cristo, il Dio che si è fatto uomo. Un altro aspetto importante dei magi è il loro nome, secondo le tradizioni Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, ma non tutte le fonti sono concordi. Se esaminiamo l’etimologia degli stessi troviamo alcuni suggerimenti, Baldassarre deriverebbe da Balthazar, mitico re babilonese, quasi a suggerire la regione di provenienza di quest’ultimo, Melechior deriverebbe da Melech, che significa “re” e infine Gasparre, per i greci Galgalath, signore di Saba.

Un accenno a questi mitici re lo troviamo anche in Marco Polo: “..in Persia è la città che è chiamata Saba da la quale partirono tre re che andaron ad adorare Dio quando nacque..”

La città citata da Marco Polo non sarebbe proprio la mitica Saba , ma Sawah, antica città persiana dalla quale, secondo il viaggiatore, partirono i tre re.

Per capire così chi fossero davvero questi tre mitici personaggi dobiamo un attimo soffermarci sul culto del Cristo, tralasciando eventuali similitudini tra le divinità arboree e il Salvatore importante in questa sede è sottolineare il forte legame tra il Gesù e il sole, lo stesso 25 dicembre, data poi istituita dalla Chiesa come giorno di nascita del Messia per allontanare pericolose e devianti festività pagane ben radicate nella comunità, coincideva con il dies natalis soli e del resto un dio nato nel solstizio d’inverno e resuscitato all’equinozio di primavera non può non essere una divinità solare. Questa idea è ben supportata da numerose leggende e tradizioni tra cui quella dei doni del Bambino ai magi. Si narra infatti che prima di partire per tornare in patria i tre Re ricevettero dalle mani del Salvatore e della Vergine alcuni doni, una pietra staccata dalla mangiatoia, un pane e le fasce nella quali era avvolto il Cristo. In tutti e tre i casi, una volta raggiunto il regno d’origine, dai doni si sprigionò uno strano “fuoco sacro” che, appunto, ben ricorda gli antichi rituali legati appunto all’astro, al culto di Zarathustra e successivamente ai “falò di gioia” che dovevano portare sulla terra quel calore dell’astro proprio nel periodo in cui esso tendeva a scomparire e morire per poter poi risorgere, tradizione che ritroviamo anche nell’usanza ancora oggi presente in molte nazioni “ceppo natalizio”.

Potremmo così azzardare una ipotesi: originari dell’altopiano iranico i magi erano sciamani legati al culto degli astri e successivamente sacerdoti di Mazda. Seguendo la lettura del cielo, avevano riconosciuto in Cristo uno dei loro “Saosayansh”, il Salvatore universale, diventando così loro stessi “coniuctio” tra la nuova religione nascente e i culti misterici orientali come il mazdaismo e il buddismo, dunque adoratori di quel nuovo culto “solare e maschile” che affonda le sue radici in rituali ben più antichi e che pian piano sarebbero stati cancellati dalla “nuova” religione. Nell’atmosfera buia della chiesa di Sant’Eustorgio una pietra tombale con sopra incisa una stella rimane unico monito all’ignaro visitatore di un passato mai del tutto sopito.

Fonte: Redazione
Autore: Andrea Romanazzi
Cronologia: Arch. Romana

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