Una chiesa e un monastero.
Il complesso di San Calocero è situato alle pendici settentrionali del Monte di San Martino, all’esterno della città murata di Albenga, in corrispondenza di un’area che ha restituito preesistenze di età romana imperiale. Esso è costituito dai resti di un insediamento funerario tardo antico, su cui si impiantò la chiesa martiriale, la cui prima fase certa è riconducibile alla prima metà del VI secolo, e di un monastero di età medievale.
La memoria di una forte tradizione religiosa risalente ad età tardoantica e ritrovamenti epigrafici di grande rilievo – il ricordo più antico di epigrafi provenienti dal San Calocero risale al XV secolo – hanno contribuito a mantenere vivo nella comunità ingauna l’interesse verso questo sito, abbandonato definitivamente nel 1593, quando le monache Clarisse si trasferirono all’interno del contesto urbano nel quartiere di Santa Eulalia (attuale Ospedale vecchio).
Si devono a Nino Lamboglia (1912-1977) le prime esplorazioni del sito nel 1934, proseguite con la significativa campagna del 1938-39 e nel 1971. Questo grande archeologo, che si prodigò a diffondere e ad estendere all’archeologia classica e medievale il metodo stratigrafico nelle indagini di scavo, proprio nel San Calocero, faceva le prime esperienze di archeologia stratigrafica.
La Soprintendenza per i beni archeologici della Liguria nel periodo compreso tra il 1985 ed il 2008 ha dato particolare rilievo all’attività di ricerca, tutela e valorizzazione del complesso di San Calocero nell’ottica di restituire il sito e la sua conoscenza al più vasto pubblico. Alle indagini archeologiche hanno collaborato il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana e l’Ecole Francaise de Rome.
L’andamento del pendio in età romana e il criptoportico tardo antico.
La struttura muraria più antica dell’intero complesso è la poderosa muratura a riseghe che ha la funzione di terrazzamento-contenimento per ricavare un ampio spazio pianeggiante soprastante. I tubuli in terra cotta di scolo delle acque ancora visibili indicano che il muro fin dal principio fu pensato per essere colmato da terreno di livellamento, utilizzando anche materiali ceramici relativi ad un precedente insediamento nei pressi del sito. Il parziale scavo di tale riempimento, già condotto da Nino Lamboglia, ha permesso di mettere in luce una serie di tombe “alla cappuccina” e di ceramiche le quali oggi, assieme alla peculiare tessitura muraria, ci consentono di ascrivere l’opera successivamente al III sec. d.C., cioè in epoca tardo-imperiale romana.
I recenti scavi del Duemila hanno dimostrato come tutta la fascia soprastante, anche ad est della chiesa, fosse occupata da un nucleo di sepolture, configurandosi come un insediamento funerario tardo antico. In un periodo più avanzato di fronte all’antico muro viene costruito un porticato coperto a spiovente e con cinque arcate (in parte restaurate) che, per i caratteri della tessitura muraria, può datarsi attorno al V sec. Solo successivamente, con l’impianto della soprastante basilica cristiana, lo spazio viene trasformato da una volta in muratura costruita sia in appoggio al muro tardo romano sia a quello ad arcate, che risultano in questa fase obliterate. Il vano viene a connotarsi come uno spazio buio e protetto che appare impiegato come una vera e propria cripta funeraria (il cosiddetto criptoportico) adibita ad ospitare sepolture del ceto privilegiato e abbiente ingauno, deposte in strutture e in sarcofagi apud corpus sanctum, cioè vicino all’inumazione di un santo martire. Questa ultima fase può essere datata dalla cronologia delle anfore impiegate per alleggerire la volta intorno al VI secolo.
Il sito di San Calocero e la via Iulia Augusta.
L’insediamento funerario tardo antico ed il successivo edificio di culto cristiano, collegato al martirio di Calocero, si impiantarono in un’area molto prossima all’attraversamento della via romana Iulia Augusta. Aperta nel 13 a.C. per collegare la Liguria interna e la Gallia Narbonense, essa rappresentò un’opera rilevante nell’ambito del processo di integrazione della cultura e del potere di Roma con i Liguri.
Presso Albingaunum la Iulia Augusta si inseriva in un paesaggio costiero sicuramente molto diverso da quello odierno per la presenza di zone paludose, per lo scorrimento del fiume Centa in un altro alveo a Nord della città e per il minore avanzamento della linea di costa rispetto all’attuale. Secondo quanto largamente documentato nei suburbi in prossimità di assi viari, anche ad Albingaunum vi fu un utilizzo pianificato delle aree a margine della strada, che accolse soprattutto nel corso del I e del II sec. d.C. a Nord e a Sud della città edifici funerari di varia tipologia, espressione di ceti sociali medi, ormai pienamente entrati nel modo di vivere e negli usi funerari dei Romani. Il percorso della via romana ad Albenga è ricostruibile con certezza in buona parte a Nord e a Sud-Ovest. Probabilmente resta l’identificazione del tratto in pianura, tra la città e il Monte, e di quello che doveva affrontare la ripida pendenza del versante settentrionale dello sbarramento montuoso. Ritrovamenti databili tra la prima età imperiale e il tardo antico di sepolture, di strutture murarie alle pendici del Monte nonchè il deposito stratigrafico individuato all’interno del San Calocero e la persistenza di tracciati viari in pianura di collegamento con la città rendono plausibile l’ipotesi che la strada romana passasse poco lontano dal complesso martiriale e che vi fossero nei presso aree funerarie.
Tale direttrice verso Alassio e oltre restò inalterata ancora fino alla prima metà del XIX secolo.
Il culto del martire Calocero e la sua chiesa.
L’interno della navata principale della chiesa è databile fra fine V e metà VI secolo. Essa doveva essere costituita dalla navata vera e propria, con abside semicircolare disposta canonicamente ad Est e da un’ulteriore navata posta a settentrione, verso la pianura, che oggi risulta scomparsa ma che doveva fungere da copertura della cripta sottostante, adibita ad area funeraria. Un ulteriore vano liturgico, lungo e stretto, è localizzato contro il monte e già in antico risultava separato dalla navata tramite il muro continuo ancora visibile. Significativi i resti scultorei di numerosi arredi liturgici (pilastrini, lastre, plutei, capitelli) che testimoniano una prima monumentalizzazione della chiesa intorno alla metà del VI secolo, secondo una cifra stilistica bizantineggiante. Un ultimo rifacimento avviene in epoca longobarda (VIII secolo), ad opera dell’abate Marinace, di cui ci resta un’importante epigrafe. Una fase anteriore al VI secolo è ipotizzabile, ma fino ad ora non esistono riscontri materiali certi.
Si ritiene che la localizzazione dell’edificio di culto sulle disagevoli pendici del Monte di Albenga non sia casuale, ma vada ricondotta all’antico luogo di sepoltura di Calocero, un comandante militare romano convertito al Cristianesimo, che si crede martirizzato ad Albenga durante la persecuzione diocleziana (inizi IV secolo) e probabilmente sepolto proprio negli spazi oggi occupati dalla chiesa, la quale si configura come l’unico santurario martiriale ligure.
La devozione per le reliquie continua anche in epoca medievale e moderna, come testimoniato dal vano reliquiario marmoreo che trova posto sotto l’altare al centro dell’abside e, non ultimo, dal fatto che il santo sia ancora oggi patrono di Albenga assieme a San Michele.
Monaci e monache dall’altomedioevo al XVI secolo.
Probabilmente il complesso religioso durante l’altomedioevo era officiato da monaci Benedettini mentre, in occasione della traslazione delle sante reliquie di Calocero a Clavades (attuale Civate (LC), avvenuta nel corso del IX secolo, il monastero deve avere vissuto un periodo di crisi, se non di vero abbandono. Il culto viene rilanciato nel 1288 ad opera dell’abate Giovanni e del vescovo Lanfranco, tuttavia delle fasi più antiche ci restano scarse testimonianze materiali. Buona parte delle strutture visibili in elevato è invece ascrivibile all’installazione di un monastero femminile di regola Benedettina (fine del XIV secolo) che successivamente fu affidato alle Agostiniane e poi alle Clarisse, le quali sposteranno la sede in città solo nel 1593.
Lo spazio acciottolato deve aver sempre costituito un ambito aperto frontale alla facciata della chiesa che, vista la presenza di modesti giochi d’acqua e di un porticato – poi tamponato – a valle, poteva avere la funzione di rudimentale chiostro o comunque spazio “di svago”, ben protetto nel cuore del monastero. Ad Ovest, invece, appoggiato alla possete struttura verticale che ospita la “stanza del forno”, trovava posto il più recente corpo di fabbrica del monastero, costruito a ridosso del pendio con sviluppo Nord-Sud.
Da questo punto si puà agevolmente comprendere come le strutture monastiche si impiantino su tre distinti livelli: quello superiore adibito a spazio aperto con orti e cortili: quello intermedio con la chiesa e lo spiazzo acciottolato atistante; il livello più basso che ospita la cripta e gli ambienti di servizio; infin e l’ambito esterno recintato, oggi ancora di proprietà privata. Evidentemente le asperità del terreno e il poco spazio a disposizione sulle curve di livello del pendio hanno condizionato pesantemente l’impianto costruttivo che si adatta, non senza difficoltà, al luogo.
Fonte: http://www.comune.albenga.sv.it