Gli scavi della Normale di Pisa nella Valle mirano a ricostruire l’area sacra dedicata ad Athena, di certo un complesso templare articolato in più luoghi.
Immaginate un tempio dal pavimento di marmo prezioso, colonne policrome e decori variopinti con una gradinata colma di statuette ed ex voto dedicate a una divinità femminile. E poi tutt’intorno altari, stele votive, luoghi di culto e una ampia strada affollata di fedeli in processione con gli occhi rivolti all’edificio templare e ai sacerdoti che vi dimoravano. Ecco, era questa la prima, grandiosa, area sacra di Agrigento che oggi, per la prima volta, torna alla luce. Si scava attorno al tempio D, sulla collina sud, partendo dalla consapevolezza che un edificio templare, da solo, non poteva esistere.
In campo ci sono gli archeologi del parco della Valle dei templi insieme con quelli della Scuola Normale di Pisa per una campagna di studio senza precedenti che mira a ricostruire, pezzo dopo pezzo, la prima fase di vita della polis che ebbe inizio nella collina meridionale della valle, dove sorgono i resti del tempio D che gli antichi vollero dedicare a una dea. Ma a quale divinità del pantheon greco?
«È questa una delle domande a cui tentiamo di rispondere valutando non più solo le fonti antiche ma le testimonianze archeologiche — dice Gianfranco Adornato, aggregato di Archeologia e storia dell’arte greca alla Normale di Pisa che guida l’équipe di ricerca — . Si è sempre ipotizzato che il tempio fosse intitolato a Hera Lacina, come scriveva Plinio il Vecchio che ricorda un dipinto della dea. Ma forse questa era un’ipotesi legata al tempio di Crotone e non ad Agrigento; d’altronde non abbiamo alcuna iscrizione né una dedica che attesti questo culto. Abbiamo trovato numerose statuette di divinità femminile, è vero, ma è possibile che non si tratti di Hera — la Giunone latina — ma forse di Athena. Quel che è certo è che il tempio sorgeva su una collina strategica dal punto di vista militare e, dunque, dal profondo valore simbolico».
Attorno a questo tempio, gli archeologi hanno trovato i resti del culto più antico che risale al VI secolo avanti Cristo. «Per la prima volta — aggiunge Adornato — abbiamo rinvenuto sulla collina meridionale alcuni frammenti di ceramica che risalgono al 580- 570 avanti Cristo, cioè al primo momento dell’arrivo dei coloni dalla Grecia nel sito che fu della grande Agrigento. In particolare, abbiamo recuperato un frammento ceramico attribuibile con certezza all’officina di Corinto del 580- 570 avanti Cristo a dimostrazione dei contatti tra Ellade e Sicilia, e frammenti di produzione attica e ionica inquadrabili cronologicamente nella prima generazione della colonia che, secondo le fonti letterarie, sarebbe stata fondata intorno al 580 avanti Cristo. Tutto ciò ci indica come subito dopo la fondazione, quest’area della città, forse già con una destinazione cultuale, fosse frequentata dai coloni».
Gli archeologi cercano l’area sacra attorno al tempio D che non era mai stato indagato e che racchiude i segreti più intimi della religiosità dei primi agrigentini: si cerca di capire quanto grande fosse questo santuario — temenos, in greco antico — e come fosse articolato. Da solo, nell’antica Grecia, un tempio non aveva ragione di esistere, doveva essere attorniato da luoghi religiosi frequentati dal popolo il quale non aveva accesso al cuore dell’edificio templare: la cella del tempio, infatti, custodiva la statua della divinità e i suoi misteriosi riti erano riservati a pochi eletti della classe sacerdotale.
«Dobbiamo investigare l’area con maggiore attenzione — dice il docente — Abbiamo rinvenuto, per la prima volta sulla collina meridionale, numerose statuette votive deposte secondo criteri rituali insieme a ceramica e ossa combuste; questi ex- voto, insieme a cospicui frammenti di tegole in terracotta, sono chiari indizi di un culto e di un possibile edificio sacro di età tardo-arcaica che non è ancora stato individuato, esistente prima della monumentalizzazione dell’area sacra e del tempio, avvenuta intorno alla metà del V secolo avanti Cristo».
Ecco perché gli archeologi cercano il contesto attorno al tempio D in un’area dove mai sono stati eseguiti saggi di scavo. « Cerchiamo di ricostruirne il contesto — dice Adornato — e già il prossimo anno proseguiremo con scavi nella zona del torrione per verificare quale fosse la via di accesso all’area e capire lo scopo di questa struttura. Nei pressi del tempio D abbiamo trovato anche un tetto, materiali votivi e altri reperti ma non abbiamo ancora trovato l’edificio: è forse sotto il tempio D o, ancora, ne è stato inglobato? Questo è quello che analizzeremo».
Tra le meraviglie ritrovate dagli archeologi anche un tetto in marmo di Paros, l’isola greca da cui si estraeva il prezioso materiale lapideo.
«Nei prossimi giorni esamineremo questo marmo — dice Adornato — ma da una prima analisi sembra proprio di Paros; dunque un materiale importato e messo in opera nella metà del V secolo avanti Cristo, sicuramente da maestranze greche perché gli agrigentini non avevano dimestichezza con questo tipo di marmo. Abbiamo trovato un tetto, tracce del pavimento e della cella con chiari segni di bruciato e, appare certo, che siano indizi dell’incendio del 406 avanti Cristo con cui i Cartaginesi distrussero parte della città. Ecco, abbiamo trovato testimonianze dirette di quanto ci tramanda la grande storia antica».
Ma la ricerca non si ferma ancora. In campo anche la Freie Universitat di Berlino che, sotto la guida della professoressa Maria Truemper, cura una campagna di indagini geognostiche nell’area del ginnasio mirata alla ricostruzione del paesaggio urbano che si sviluppa intorno all’importante edificio di età augustea.
Autore: Isabella di Bartolo
Fonte: www.repubblica.it, 17 nov 2020