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AFRICA (Somaliland): Una Cappella Sistina dipinta nel neolitico.

Scoperta degli archeologi francesi nel Somaliland. decine di figure di animali e di uomini realizzate con colori molto vivaci . “La rappresentazione ha uno stile che non si era mai visto in Africa”. “Questo era un luogo sacro, che è stato decorato nel corso di millenni”.

La parola a uno degli scopritori, l’archeologo francese Xavier Gutherz.
“La roccia è costellata di forme animali e umane dai colori eclatanti, ocra, granata, bianco, nero, e dallo stile totalmente inedito. Ci sono mucche che portano piastre ornamentali e grandi corna, dal tracciato ad arco. Ci sono anche personaggi misteriosi di piccola taglia con le braccia levate al cielo”.

Meglio prendere fiato un momento. E’ già stata definita la Cappella Sistina del Neolitico e il bello viene adesso. Trovarla è stato un caso fortunato, grazie alla memoria ferrea di un pastore di nome Mohamed Omar Ismael. Studiarla sarà molto più difficile. Decifrarla l’impresa di una vita.

Si estende all’interno di un massiccio di granito nel Somaliland, nella zona desolata chiamata Las Geel, che per le tribù locali significa “il punto d’acqua dei dromedari”. Le scene sono intense, affollate. Nell’eccesso di linee e di macchie cromatiche, che fa pensare a una prepotente visione estatica, sono state contate decine e decine di figure. Si mischiano capre, giraffe, antilopi, cani, … Galleggiano sulla roccia e si inseguono secondo una logica per ora impenetrabile. E ci sono quelle enigmatiche mucche dal collo esageratamente lungo: la testa non appare mai di profilo, ma è rappresentata dall’alto, secondo un disegno che non si era mai registrato in Africa. Al di sotto, come circondato e protetto dal collo dell’animale, ecco materializzarsi un uomo con un’ampia tunica bianca. Sembra fissarlo e, forse, evocare una preghiera. Se non è un capo, è almeno un sacerdote. Oppure un dio, “In ogni caso, – aggiunge Gutherz – siamo oltre le semplici rappresentazioni quotidiane: qui ci si immerge in pieno universo simbolico. Nella dimensione sacra”.

Anche il collo degli archeologi francesi ha dovuto allungarsi per vedere bene e catalogare questa sorta di fumetto primordiale, dalle armonie generali fino ai particolari. “E’ come se tutti gli spazi disponibili dovessero essere intrisi di immagini. Visto dal basso, lo spettacolo risulta mozzafiato”. E il respiro si è fermato, quando Gutherz e la sua équipe hanno scoperto i danni inferti dal tempo, le fessure nella roccia e le scene che d’improvviso si rivelano amputate. “Ora dobbiamo registrare ogni punto per cercare di ricostruire l’immagine complessiva, com’era in origine”, forse 5 o 4 mila anni fa. “Soltanto così – aggiunge Roger Joussaume – sarà possibile cominciare a conferirle un senso”.

A fine 2004 le esplorazioni degli archeologi francesi riprenderanno e si darà il via ai primi lavori di consolidamento e di restauro. Si deve salvare questa capsula temporale che si aggiunge agli altri santuari espressivi dei nostri progenitori, dal Tassili a Lascaux, da Chauvet ad Ayers Rock: “In quei luoghi le nostre categorie aristoteliche non valgono: sacro e profano sono tutt’uno e si esprimono attraverso un linguaggio che ha anticipato la scrittura ed è composto di segni e simboli – spiega uno dei maggiori studiosi italiani di arte rupestre, Umberto Sansoni, direttore del Centro Camuno di Studi Preistorici – Lì c’è tutto: l’astrazione e le emozioni, la filosofia e la ritualità, secondo una visione complessiva della realtà che continua a sfuggirci, ma in cui è probabile che si fondessero sapere pratico e sapere sciamanico”.

Di certo la passione per la pittura, così come per la danza, per la parola, per il canto, sono il tratto distintivo della nostra specie, una specie di instancabili comunicatori e saltimbanchi. “E sono convinto che a Las Geel tante generazioni di artisti si siano succedute in tempi diversi – spiega Joussaume – Tra queste rocce percepivano di essere in un luogo speciale”.

Fonte: La Stampa 11/05/04
Autore: Gabriele Beccaria
Cronologia: Preistoria

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