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AFGHANISTAN. Nuova luce sui Buddha di Bamiyan.

bamiyan
Nella regione di Hazarajat, in Afghanistan centrale, circa 250 chilometri a nordovest di Kabul, a Bamiyan, luogo di incontro tra le civiltà asiatiche lungo la Via della Seta, sorgevano due statue scolpite nella roccia, due Buddha, uno più maestoso (55 metri) l’altro più piccolo (35 metri).
Erano lì dal 500 d.C. circa. Sono stati lì a vegliare sulla valle per quindici secoli fino al 2 marzo 2001, quando furono fatti saltare in aria.
L’Unesco aveva cercato invano di preservare i due Buddha, ma un editto dichiarò che erano fuori legge. A dieci anni dalla loro distruzione vengono rivelate nuove scoperte che li riguardano e annunciate possibili ricostruzioni grazie a nuovi strumenti e alle tecnologie applicabili ai beni culturali.
Secondo i ricercatori della Technische Universitaet di Monaco (TUM), che hanno esaminato i frammenti dei due Buddha, le statue erano colorate. Non erano quindi dello stesso colore della pietra, secondo quanto siamo abituati a vedere dalle immagini di repertorio. Nei secoli i colori venivano ravvivati ogni volta che la tinta sbiadiva. Quando l’intera regione si convertì all’Islam le statue furono lasciate scolorire. Grazie agli studi fatti in Germania oggi viene ricostruita la loro storia cromatica e non solo. Infatti con la tecnica della spettrometria di massa è stata confermata la datazione dei due giganti: il piccolo Buddha è stato costruito tra il 544 e il 595, mentre il grande Buddha tra il 591 e il 644.
I dettagli della tecnica utilizzata per forgiare le gigantesche icone non erano invece del tutto conosciuti. Sapevamo già che le sagome furono incise direttamente nella roccia mentre le vesti venivano plasmate altrove e aggiunte in un secondo tempo, ma ignoravamo alcune finezze della lavorazione. Nell’impasto di argilla che componeva gli abiti i ricercatori del TUM hanno trovato tracce di paglia sapientemente inserita per assorbire l’umidità, peli di animali che rendevano lo stucco compatto e quarzo e altri minerali che ne prevenivano la deformazione. Il composto ottenuto raggiungeva uno spessore di otto centimetri. “Ciò spiega come questi manufatti abbiano resistito non solo ai 1500 anni di storia, ma anche all’esplosione del 2001”, dice Erwin Emmerling che ha guidato il team tedesco e che annuncia entusiasta la prossima impresa del suo laboratorio: ricostruire il piccolo Buddha dai frammenti dell’esplosione grazie a un composto organico di silicio iniettato nelle pietre.
C’è un piccolo grande problema da risolvere: dove conservare i resti. In emergenza sono stati depositati nella stessa valle grazie all’intervento delll’international Council on Monuments and Sites (Icomos).
Data la coposizione delle pietre, molto porose e destinate a deteriorarsi, è necessario trovare una soluzione anche in virtù del fatto che sono difficilmente trasportabili.
L’unica soluzione efficace, suggerisce Emmerling, sarebbe la costruzione di una fabbrica-laboratorio a pochi metri dalle inquietanti nicchie vuote.
La valle di Bamiyan si può visitare nei minimi dettagli attraverso le foto navigabili (360°x180°) nel sito 1001wonders.org.

Autore: Sandra Leonardi

Fonte: Archeomatica.it, 03/03/2011

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